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Cani e conduttori: insieme si salvano vite

L'addestramento di cani e conduttori come supporto all'assistenza dei bagnanti. Gasbarri (Sics): "La relazione tra i due è fondamentale"

La prevenzione gioca un ruolo essenziale anche nell’ambito della sicurezza nei luoghi delle vacanze estive. Avere coscienza delle norme da rispettare, essere preparati ad affrontare eventuali situazioni di rischio e, ancor meglio, conoscere le giuste soluzioni per evitarle… Tutto contribuisce a ridurre al minimo le occasioni di pericolo e godersi appieno il meritato riposo. Tuttavia, se c’è chi è tenuto a conoscere le regole base di prevenzione del rischio, c’è anche chi deve essere perfettamente istruito ad fronteggiare eventuali condizioni di emergenza, specie nel contesto marittimo. È chiaramente il caso dei bagnini di salvataggio che, in spiaggia quanto negli specchi d’acqua interni adibiti a mete balneari, garantiscono la sicurezza dei bagnanti. Una figura essenziale, a fronte di rischi che, in estate, si moltiplicano proporzionalmente all’incremento dei fruitori dei lidi. Negli ultimi dieci anni, ad esempio, sono state oltre 3.700 le vittime di annegamento e, non a caso, il 25 luglio ricorre la Giornata tematica dedicata alla prevenzione.

Cani da soccorso, eccellenza italiana

È innegabile che, nell’ambito dell’assistenza, la formazione giochi un ruolo primario. Meglio ancora se questa fosse combinata con l’ausilio di ulteriore “personale” adibito all’intervento, anch’esso perfettamente addestrato alle pratiche di soccorso. L’Italia, in questo senso, è un’eccellenza: la Scuola Italiana Cani Salvataggio, infatti, è la maggiore organizzazione a livello mondiale dedita alla preparazione di cani e conduttori attraverso tecniche che hanno fatto (e fanno tuttora) scuola anche per altri Paesi. Come spiegato a Interris.it da Roberto Gasbarri, responsabile Sics dell’Area Mediterraneo, “l’Italia è pioniera in questo settore della cinofilia”.

Roberto, da dove nasce l’impegno di addestrare dei cani a svolgere funzioni di soccorso in mare?

“Nasce sicuramente da una forte passione. Innanzitutto per i cani e poi per il volontariato. Sono attività che si fanno in ambito di Protezione Civile, guidate da una passione che, in alcune occasioni, potremmo definire anche estrema. L’impegno necessario è anche più elevato rispetto a quello richiesto per la formazione di un normale assistente bagnanti. C’è la ‘componente cane’ che non è assolutamente da poco”.

Come si articola il processo di formazione?

“Si inizia con un percorso formativo che riguarda anche la sfera relazione: cane e proprietario vivono assieme, anzi, il cane è di proprietà del componente della squadra e vive con lui. Entrambi, in sostanza, fanno già parte di un nucleo. Da questo presupposto parte la formazione che viene fatta a terra e che riguarda l’ambito di educazione-relazione”.

Poi si passa all’acqua. E lì le condizioni cambiano…

“A differenza di quel che accade per altre tipologie di cani che operano nell’ambito della Protezione Civile, il cane da salvataggio si muove in un ambiente più caotico e carico di distrazioni, come può essere una spiaggia affollata piena di rumori. Per questo bisogna preparare il cane a poter operare in un ambiente così complesso nella maniera più performante possibile. In questo senso, la formazione dell’unità cinofila nella relazione con il pubblico è preponderante”.

Un ambiente simile non è solo caotico ma, spesso, può produrre rumori che l’orecchio canino può percepire in modo differente rispetto a quello umano. Come si educa un cane a gestire questi input esterni?

“Stimolando, attraverso un percorso addestrativo, questa strettissima unione e simbiosi con il conduttore. È lui che indica al cane se attivarsi o meno, se reagire oppure no a un determinato suono. Per questo la necessità primaria è quella di agire sulla sfera relazionale tra cani e conduttori”.

Rafforzato questo aspetto, andranno poi trasmesse anche le nozioni di salvataggio…

“Quando si raggiunge un determinato standard educativo nella coppia uomo-cane, si passa alla fase operativa, nella quale vengono insegnate tutte le tecniche che la scuola italiana di salvataggio ha messo a punto in 35 anni di esperienza e che ci vengono richieste da tutto il mondo. L’Italia è stata pioniera in questo settore della cinofilia e, oggi, ne è leader mondiale, tanto da essere impegnata a insegnarle alle squadre di tanti Paesi”.

Quali sono quelle essenziali?

“La seconda fase dell’educazione prevede la trasmissione di tecniche in primis per il trasporto di persone, anche due o tre a seconda dei casi. Spesso, infatti, accade che il personale di salvataggio possa mettere a repentaglio la propria vita se va in eccesso di stanchezza. Il cane, rispetto all’uomo, ha la capacità di trasportare un peso maggiore, garantendo più sicurezza anche all’operatore. Ogni unità è dotata di un salvagente che lo segue ovunque e che, in caso, potrà essere utilizzato anche dallo stesso conduttore in condizione di stanchezza eccessiva”.

Chiaramente, alcune razze di prestano più di altre…

“Parliamo soprattutto di Labrador, Golden Retriver e Terranova che, oltre ad avere caratteristiche morfologiche specifiche, hanno anche un’indole comportamentale maggiormente socievole”.

Come e dove agisce l’unità dei cani da salvataggio?

“Lavoriamo per l’interesse pubblico, sempre nell’ambito del volontariato, quindi non per i privati. Bisogna poi notare che il turismo balneare è cambiato, la maggior parte dei fruitori si riversano in due giorni, e questo rende le cose più complicate. Ci sono picchi di affluenza difficili da gestire. L’unità cinofila non fa il lavoro del bagnino standard, non si sostituisce ma, come volontariato, va a dare un contributo al bagnino in quei particolari luoghi in cui è richiesto un aumento della capacità di risposta dal punto di vista della sicurezza in mare”.

A questo proposito, aumentando la concentrazione dei bagnanti cresce proporzionalmente anche il rischio. I fruitori della spiaggia hanno la giusta percezione dei pericoli?

“Negli anni, l’educazione balneare è rimasta sostanzialmente la stessa, forse è anche migliorata per certi versi. Ciò che mette in difficoltà è il sovraffollamento ma, per quel che riguarda il numero di interventi, siamo rimasti su numeri standardizzati. Molto dipende anche dal maltempo, dallo sviluppo di correnti che, da terra, allontanano le persone dalla riva. Le condizioni meteo sono la componente primaria che determina il numero di interventi”.

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