Di Felice: “Cambio di mentalità per l’utilizzo della bici in città”

In occasione della Giornata mondiale della bicicletta, Interris.it ha intervistato l’ultra-cyclist romano Omar Di Felice

Nell'immagine: a sinistra foto di NoName_13 da Pixabay, a destra Omar Di Felice (foto @OspreyImagery - Kevin Gaps)

La bicicletta è un veicolo ecologico, sostenibile e salutare. Per gli sportivi è allenamento e gara, per i curiosi un’occasione di avventura e scoperta, per chi spostarsi in città un’alternativa dolce, slow, al veicolo a motore. Le qualità e i benefici dell’andare in bicicletta sono state riconosciute dall’Assemblea generale delle Nazioni unite, che nel 2018 ha istituito la Giornata mondiale della bicicletta, che si celebra il 3 giugno. Sempre l’Assemblea generale dell’Onu ha adottato, nel 2021, una risoluzione sull’integrazione della bicicletta nei sistemi di trasporto pubblico, perché per potere utilizzare questo mezzo in maniera adeguata e in sicurezza occorre pensare a spazi cittadini dedicati. Di questo e di molto altro Interris.it ha parlato con Omar Di Felice, ultra-cyclist romano attivo anche nel campo della divulgazione scientifica.

L’intervista

Perché la bicicletta è un valido strumento per la salute umana e per quella ambientale?

“E’ un mezzo di trasporto che consente di svolgere attività fisica e motoria nella nostra quotidianità, in giornate sempre più piene di impegni ci permette di ottimizzare il tempo. Un’altra conseguenza positiva è che scegliendo la bicicletta lasciamo a casa gli altri veicoli a motore, riducendo così le emissioni di anidride carbonica”.

E’ un mezzo adatto a tutti, anche persone fragili o con disabilità?

“Sicuramente è il più democratico e inclusivo, perché consente di spostarsi in maniera economica – ci sono bici per tutte le tasche – e senza essere per forza degli atleti. Chi vive in città non in piano o ha qualche patologia può ricorrere alla bici con pedalata assistita, le cosiddette e-bike. Per le disabilità c’è da distinguere caso per caso, ci sono anche biciclette pensate appositamente per loro, quantomeno in ambito sportivo”.

Come “trasformare” la mobilità urbana per rendere le città sempre più a misura di ciclista, oltre che di pedone?

“C’è bisogno di un duplice cambio di mentalità. Rendere la bicicletta un mezzo di trasporto naturale per i cittadini e pensare norme e infrastrutture che mettano al centro della strada le persone, il pedone o chi si sposta usando la bici o il monopattino, invece del veicolo a motore. Nel primo caso serve un lavoro culturale sull’utilizzo di questo mezzo, nel secondo dobbiamo ricavare spazi per chi lo usa per spostarsi”.

L’Italia è un Paese con molti centri storici antichi, progettati quando viabilità e mobilità erano ben diverse. Come coniugare quelle caratteristiche con percorsi dedicati alle bici?

“Non sono i monumenti e le vie strette a rendere impraticabile l’utilizzo della bici in città, motivando che per questo non possiamo apportare modifiche. Nel resto del mondo non sempre ci sono percorsi dedicati alle biciclette, anzi. Per fare un esempio, Amsterdam è una città di stampo medievale, con spazi molto ristretti, ma non l’hanno dovuta ‘smontare’ per renderla adatta ai ciclisti”.

Tra le vittime della strada, spesso, ci sono anche gli amanti delle due ruote. Cosa c’è ancora da fare per rendere le strade sicure?

“Le persone muoiono perché non c’è attenzione verso i più deboli, finché non capiamo che il più debole ha la priorità e maggiori diritti non ne usciamo. Dobbiamo insegnare alle persone che chi va più veloce o ha il mezzo più grande, più pesante, ha maggiori responsabilità e si deve prendere cura delle altre persone sulla strada. Questo è il primo passo da compiere, altrimenti nessuna norma o infrastruttura ci potrà salvare dai pericoli. Poi si può parlare, per esempio, di ridurre il traffico potenziando il trasporto pubblico”.

La bicicletta è anche uno strumento per la crescita personale?

“Io faccio ciclismo da trent’anni e per me è stata palestra di vita, terapia personale, modo per entrare a contatto con la natura, senza filtri che ti impediscano di cogliere ogni dettaglio di quello che ti circonda. La pratica sportiva trasmette valori importanti perché la bici non ti regala nulla e richiede dedizione, passione e costanza. Ma sa riempirti di gioia e di soddisfazione perché quando raggiungi un risultato lo fai grazie alle tue gambe”.

Un secolo fa, per la prima e unica volta, una donna, Alfonsina Strada, ha partecipato al Giro d’Italia. La bicicletta può aiutare a raggiungere la parità e l’emancipazione?

“Sicuramente è un forte mezzo di empowerment e di livellamento del gap esistente in ambito sociale. Innanzitutto ci pone tutti sullo stesso piano, in bici siamo tutti uguali, dall’avvocato che va al tribunale per l’udienza a chi fa altri lavori. Nei Paesi poveri può essere utile al processo di sviluppo e in molti casi è ancora l’unico mezzo per spostarsi da un villaggio a un altro, per cui è importantissimo promuoverne l’utilizzo. Bisogna portare le bici in quelle parti del mondo dove si coprono lunghe distanze a piedi per approvvigionarsi di cibo e di acqua, per aiutare le persone a muoversi in maniera più veloce e sicura”.