“In Africa se non hai i soldi per curarti, muori. Infatti, molti bambini con malformazioni anche operabili, muoiono prima di poter arrivare all’ospedale, senza neppure che i medici lo sappiano. Per questo i dati reali sulla mortalità infantile sono certamente sottostimati, ma impossibili da quantificare”. Lo racconta, in un’intervista esclusiva per InTerris.it, il professor Alessandro Calisti, chirurgo e urologo Pediatrico, già Professore Associato e Primario Ospedaliero, Presidente Emerito Società Italiana di Chirurgia Pediatrica.
Il professor Calisti è un profondo conoscitore della realtà sanitaria africana, avendo fatto negli anni decine di spedizioni mediche in diverse Nazioni del Continente Nero. Con lui abbiamo provato a farci raccontare come si vive (e come si muore…) in Africa, un Continente diverso dall’immaginazione comune degli occidentali, almeno dal punto di vista sanitario.
L’intervista al professor Alessandro Calisti
Quali attività ha svolto in Africa negli anni?
“Sono un chirurgo pediatrico. Ho lasciato la mia attività ospedaliera nel 2014: ero primario di chirurgia pediatrica presso l’ospedale San Camillo di Roma. Ma già da prima partecipavo a progetti – anche europei – finalizzati alla formazione di specialisti di chirurgia pediatrica nei Paesi a risorse limitate; principalmente l’Africa, ma anche l’America Latina”.
Perché proprio la chirurgia pediatrica in Africa?
“Perché – secondo una visione ormai un po’ ‘antica’ – l’Africa avrebbe ancora i problemi sanitari legati alla povertà: malnutrizione, malattie trasmissibili quali malaria, febbre gialla, pertosse ed altri problemi endemici”.
Non è così?
“Non del tutto. In realtà, l’Africa sta crescendo velocemente. Nelle grandi Capitali africane ci sono ospedali modernissimi con chirurghi formatisi anche in Paesi occidentali con un ottimo livello di capacità operativa”.
Qual è dunque il problema, perché necessitate di fare delle missioni?
“Perché gli specialisti sono ancora numericamente troppo pochi per la grande popolazione del Continente e tutti concentrati negli ospedali delle grandi città. Inoltre, il modello sanitario africano non è universalistico, come in Italia”.
Cosa si intende per modello sanitario universalistico?
“Nel senso che in Africa impera la medicina privata e dunque se non hai i soldi per pagare le cure, muori!” Inoltre, sono in aumento anche in Africa le patologie cosiddette ‘occidentali’, vale a dire i tumori, ad esempio. Ma anche obesità, ipertensione, diabete…perché le persone hanno iniziato a mangiare di più, a volte troppo. O muoiono per gli incidenti automobilistici, perché è aumentata la ricchezza e sempre più persone si spostano in auto”.
Quali sono le cause della mortalità infantile?
“Metà della popolazione dei Paesi africani è sotto i 15 anni, vale a dire che sono dei bambini. E, come tali, hanno le patologie tipiche dell’età pediatrica. Nei primi giorni o mesi di vita muoiono per le malformazioni congenite di interesse chirurgico. Tali patologie in Europa vengono trattate già dagli anni ’40 con ottimi risultati nelle prime ore di vita. In alcune situazioni, la malformazione può essere osservata già a livello fetale. In Africa tutto ciò non accade”.
Cosa succede invece in Africa?
“In Africa le malformazioni congenite ‘sfuggono’ all’osservazione del medico”.
Perché sfuggono?
“Perché gran parte dei parti, specie nelle zone rurali, non avviene in ospedale ma in casa e senza la presenza di un operatore sanitario qualificato. E il bambino muore. La cosa drammatica è che molte di queste malformazioni non sarebbero mortali. Sarebbero risolvibili con un’operazione”.
Se è curabile, perché il bambino muore?
“Per diversi motivi: perché nessuno si è accorto della malformazione o della gravità della problematica; oppure perché la famiglia non ha fatto in tempo a portare il bimbo in un ospedale, spesso molto distante da casa. O perché non c’erano i soldi per pagare le cure e i farmaci”.
Quanti bambini muoiono in questo modo ogni anno in Africa?
“Non lo sappiamo. E’ la cosiddetta ‘mortalità nascosta’. E’ certo che i dati sulla mortalità infantile siano sottostimati, ma non è possibile sapere di quanto. Non c’è una raccolta dati completa, capillare e connessa. In questo, l’Africa deve ancora crescere. Noi chirurghi pediatrici andiamo proprio per insegnare e rendere autonomi i medici locali nel far bene la propria professione. I ‘safari chirurgici’ – ‘vado, opero, torno’ ma senza insegnare nulla – non servono a niente. Serve invece trasferire il know-how ai medici locali e di portare la medicina e le cure anche nelle zone rurali. L’Africa è un continente pieno di vita, di bambini, di figli. Che cresce rapidamente e guarda al futuro con speranza. Per questo è necessario debellare la piaga della mortalità nascosta”.