Caleffi: “Il valore del viaggio apostolico di Papa Francesco tra dialogo e fratellanza”

Il teologo don Simone Caleffi offre a Interris.it un'analisi approfondita del viaggio apostolico di Papa Francesco in Asia e Oceania, con particolare attenzione ai contesti a maggioranza musulmana come l'Indonesia e alla centralità del dialogo interreligioso nella teologia del Pontefice

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Nel corso di questo viaggio apostolico in Asia e Oceania – il 45esimo del suo pontificato – Papa Francesco continua a dimostrare la sua attenzione alle periferie del mondo, sia geografiche che esistenziali. Con oltre 40.000 chilometri da percorrere in soli 12 giorni, il Pontefice non solo incontra comunità cristiane numericamente esigue, ma ribadisce con forza l’importanza del dialogo interreligioso, specialmente in contesti a maggioranza musulmana come l’Indonesia. Interris.it ne ha parlato con don Simone Caleffi, esperto di teologia e dialogo interreligioso alla Lumsa, che ha offerto un’analisi profonda del significato di questo viaggio apostolico, dai tanti gesti simbolici compiuti dal Papa al messaggio di pace e fratellanza universale che Francesco ha voluto trasmettere al mondo dalla grande moschea indonesiana di Istiqlal.

Nel riquadro piccolo: don Simone Caleffi, foto propria. Nella foto grande: a sinistra la moschea di Istiqlal e, in basso a destra, la Cattedrale dell’Annunciazione a Giacarta, In Indonesia. Foto di Rifki Kurniawan su Unsplash

L’intervista a don Simone Caleffi

Perché la scelta da parte del Pontefice di voler realizzare un viaggio apostolico in Asia e Oceania?

“Direi che Papa Francesco desidera fare per primo ciò che chiede agli altri, ovvero avere a cuore le periferie geografiche ed esistenziali, non solo come modo di dire, ma anche recandovisi personalmente, nonostante l’età e gli acciacchi di salute. Certamente, Asia e Oceania rispetto a Roma sono una periferia geografica – il Pontefice percorre infatti grosso modo quarantamila chilometri in dodici giorni – ma anche esistenziale per il piccolo gregge da visitare: si pensi a un timido tre per cento di cattolici in Indonesia o a quando anche san Paolo VI si era recato in un’isola del Pacifico per celebrare l’Eucaristia per un centinaio di persone”.

Come interpreta l’enfasi del Papa sulla tolleranza religiosa e il dialogo interreligioso in un Paese a maggioranza musulmana come l’Indonesia?

“Francesco non è nuovo al dialogo, specialmente coi nostri fratelli di fede islamica. In un contesto di ‘terza guerra mondiale a pezzi’, per usare il suo stesso gergo, il vescovo di Roma, garante dell’unità cattolica e uomo-immagine di etica umana, riconosciuto dai più, non può che far leva su quanto è in suo potere di dire e di fare e a proposito di ciò che lo riguarda più da vicino. Ovviamente, il Papa, come ogni altra persona, può parlare di economia, inquinamento, sviluppo, medicina e quant’altro, non perché abbia la scienza infusa, ma supportato da un entourage di esperti dei vari settori. Ma quando egli parla di religione questo è propriamente quanto ci si aspetta da lui. Dunque, non perde occasione di indulgere sul tema della tolleranza e del dialogo. L’Indonesia è il più grande Paese musulmano nel globo. Non è un Paese arabo (Francesco ha già visitato gli Emirati Arabi Uniti, solo per citarne uno) e nonostante professi un islam moderato ha avuto a che fare con alcuni attentati di estremisti che non vogliono la convivenza pacifica fra religioni, culture e tradizioni diverse. Inoltre, apparteneva a questo Stato fatto di isole anche un’altra nazione ora sovrana che ha ricevuto la visita del Papa: Timor Leste. Non è stato facile il processo di indipendenza, ma al momento attuale si è trovato un modus vivendi che consente a tutti la pace”.

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Papa Francesco in Indonesia. Copyright: Vatican Media

Il 5 settembre a Giacarta si è svolto l’incontro interreligioso nella Moschea Istiqlal, la più grande di tutto il sud est asiatico, collegata alla cattedrale dell’Assunzione dal “tunnel dell’amicizia”, dove il Papa e il Grande Imam hanno camminato insieme per mettere la firma di una Dichiarazione congiunta. Crede che si tratti di un evento storico? Come la dichiarazione aiuterà il dialogo cristiano-musulmano?

“Certamente sì, nonostante Francesco abbia già firmato l’ormai famoso documento di Abu Dhabi con un altro Grande Imam, quello dell’università-moschea Al Azhar del Cairo, Ahmad Al Tayyeb, nel 2019. La dichiarazione congiunta sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune in seguito ha ispirato la risoluzione delle Nazioni Unite che ha designato il 4 febbraio come Giornata Internazionale della Fratellanza Umana. La disumanizzazione che nei conflitti diffusi provoca ‘un numero allarmante di vittime, soprattutto donne, bambini e anziani’, mentre ‘il ruolo della religione dovrebbe includere la promozione e la salvaguardia della dignità di ogni vita umana’ e la sfida dell’abuso del creato da parte dell’uomo con ‘conseguenze distruttive come i disastri naturali, il riscaldamento globale e condizioni meteorologiche imprevedibili’ sono i due ambiti di impegno contenuti nella Dichiarazione Congiunta di Istiqlal ‘Promuovere l’armonia religiosa per il bene dell’umanità’”.

Quale impatto pensa che questo viaggio abbia sulla comunità cattolica locale in Indonesia?

“Il grande arcipelago, dopo aver accolto Paolo VI nel 1970 e Giovanni Paolo II nel 1989 riceve ora la kindly light – per usare un’espressione di san John Henry Newman – di Francesco. Egli si è rivolto ai cattolici indonesiani chiedendo loro di essere luce che ‘rischiara, con la vostra amicizia, la concordia che coltivate, il sostenervi a vicenda, e con il vostro camminare insieme che vi conduce, alla fine della strada, verso la piena luce’. Il Papa ha usato l’immagine del tunnel che ha percorso fisicamente col Grande Imam, chiedendo di guardare in profondità perché così ‘ci scopriamo tutti fratelli, tutti pellegrini, tutti in cammino verso Dio, al di là di ciò che ci differenzia’. Inoltre ha chiesto alla comunità locale di ‘avere cura di coltivare legami di amicizia, di attenzione, di reciprocità’, in special modo con gli altri credenti musulmani”.

C’è stato qualche gesto o discorso durante la visita in Indonesia che ritiene particolarmente significativo dal punto di vista teologico?

“Forse la più grande teologia l’ha fatta l’imam Nasaruddin Umar aiutando Francesco con la sedia a rotelle e baciandolo; gesto che il Papa ha ricambiato. Insieme al gesto sono importanti proprio dal punto di vista teologico le parole del Pontefice: ‘Ci impegniamo a ricercare insieme la verità imparando dalla tradizione religiosa dell’altro, a venirci incontro nelle necessità umane e spirituali’. I legami che si possono creare ‘ci permettono di lavorare insieme, di marciare uniti nel perseguire qualche obiettivo, nella difesa della dignità dell’uomo, nella lotta alla povertà, nella promozione della pace. L’unità nasce dai vincoli personali di amicizia, dal rispetto reciproco, dalla difesa vicendevole degli spazi e delle idee altrui. Che possiate sempre avere cura di questo’. Nello spirito di Laudato si’, ritengo molto significativo il passaggio della Dichiarazione succitata dove si legge: ‘Riconoscendo la necessità vitale di un’atmosfera sana, pacifica e armoniosa per servire autenticamente Dio e custodire il creato invitiamo sinceramente tutte le persone di buona volontà ad agire con decisione per preservare l’integrità dell’ecosistema e delle sue risorse ereditate dalle generazioni precedenti, che speriamo di trasmettere ai nostri figli e nipoti’. E nello spirito di Fratelli tutti mi pare utile ricordare un’altra parte del testo che afferma:
‘Poiché esiste un’unica famiglia umana globale il dialogo interreligioso dovrebbe essere riconosciuto come uno strumento efficace per risolvere i conflitti locali, regionali e internazionali, soprattutto quelli provocati dall’abuso della religione. Inoltre, le nostre credenze e rituali religiosi hanno una particolare capacità di parlare al cuore umano e promuovere così un più profondo rispetto della dignità umana’”.