Papa Francesco, per il suo 46esimo viaggio apostolico, ha scelto come destinazione il Belgio e il Lussemburgo, Nazioni che, al di là della loro posizione geografica, rappresentano simbolicamente il “cuore” dell’Unione Europea. Questo viaggio segue di pochi giorni la lunga visita in Asia e Oceania, conclusasi lo scorso 13 settembre. Ora il Pontefice – dalle periferie del mondo – si concentra sul Vecchio Continente mentre esso affronta sfide profonde, dalla secolarizzazione alla crisi politica, dall'”euroscetticismo” alle relazioni con Stati Uniti e Cina, dall’immigrazione al ruolo crescente di Africa e India nel contesto internazionale. Per approfondire i temi centrali di questa missione, Interris.it ha intervistato don Simone Caleffi, sacerdote romano e docente di Teologia Dogmatica alla Lumsa, al fine di comprendere meglio le ragioni e il significato del 46esimo viaggio apostolico in due Paesi chiave per la storia e il futuro della UE, scelti non casualmente in un momento di profondi conflitti alle porte orientali e mediorientali d’Europa.
L’intervista a don Simone Caleffi
Dalle periferie del mondo al cuore del Vecchio Continente. Perché Papa Francesco ha scelto, dopo Asia e Oceania, il Lussemburgo e il Belgio come destinazione del suo 46esimo viaggio apostolico?
“Come ha spesso ripetuto il Pontefice, la realtà si comprende meglio dalla periferia che dal centro, ma questa puntualizzazione, oltre che essere chiaramente geografica – e la domanda lo pone ben in risalto, ricordando il viaggio appena compiuto in Estremo Oriente – è necessariamente esistenziale. Se il Vecchio Continente è malato – e le cronache ce ne danno contezza ogni giorno – è perché è malato il suo cuore. Basti pensare alle tendenze euroscettiche, ricordando come l’inizio del progetto europeo si può intravedere nel cosiddetto Benelux. Lasciando da parte i Paesi Bassi, poiché non è possibile nemmeno per il Papa fare tutto, egli si sta così recando proprio al cuore dell’Europa, appunto in Belgio e Lussemburgo”.
Saranno giorni ricchi di incontri. Quali a suo dire gli appuntamenti di maggior rilievo dal punto di vista teologico?
“Alle 16 di venerdì 27 settembre, il Papa raggiungerà l’Università Cattolica di Lovanio, fondata nel 1425 da Martino V. In questo luogo, distante circa 26 chilometri dalla capitale belga, si svolgerà l’incontro del vescovo di Roma con i docenti, alla presenza del ministro e presidente delle Fiandre, durante il quale verrà presentato un video sull’assistenza dei rifugiati. E’ previsto che, prima del discorso del Papa, prenderà la parola uno di loro per portare la sua testimonianza. Al termine, Francesco incontrerà alcuni giovani rifugiati ospitati in un centro di accoglienza lì vicino. Conoscendo le urgenze del tempo presente e pensando ai temi cari al Pontefice, posso ipotizzare che questo sarà l’appuntamento di maggior rilievo teologico, oltre alla beatificazione della carmelitana Anne de Jesus, perché da questo centro culturale che tanto ha dato alla Chiesa nei secoli passati, si irradi nel mondo una nuova cultura che abbia l’inclusione come priorità e non ceda alla controcultura dello scarto”.
In un’Europa sempre più secolarizzata, la visita del Papa all’Università Cattolica di Lovanio, una delle più antiche d’Europa, sembra porre l’accento sul dialogo tra fede e scienza. In che modo il Papa potrebbe rafforzare questo dialogo?
“Direi che sono rimasti pochi ideologi nostalgici a opporre queste due epistemologie del sapere. Anche la fede, infatti, è scientifica, cioè ha qualcosa di intelligibile e di razionale da comunicare all’uomo di oggi, come anche la scienza si deve fidare di risultati sempre perfettibili e non acquisiti una volta per tutte. Fede e scienza non si combattono, poiché la prima risponde alla domanda ‘perché il mondo?’ e la seconda alla questione ‘come il mondo?’. Il Papa tornerà su questo insegnamento ufficiale della Chiesa, magari citando l’enciclica Gaudium et spes del Vaticano II o la Fides et ratio di Giovanni Paolo II”.
Incontrando i docenti e gli studenti, che tipo di riflessione teologica e pastorale si aspetta possa emergere su temi contemporanei come l’ambiente, la giustizia sociale e la pace?
“Direi che il Papa ha più volte ribadito alcuni concetti fondamentali: la questione ambientale non è del ‘partito dei verdi’, ma riguarda tutti noi, abitanti della casa comune che è l’universo che Dio ha creato per noi; non c’è giustizia sociale senza equa distribuzione dei beni, giacché i beni della terra sono destinati a tutti e, come ha espresso anche recentemente, i problemi dei poveri sono anche i problemi dei ricchi, perché fintanto che non saranno soddisfatti i primi, i secondi non dormiranno sonni tranquilli. Infine, l’Europa racchiude in sé un progetto di pace che non è un piano filosofico tout court. Essa nasce infatti da uomini e donne, da popoli e Nazioni stanchi della guerra, avventura senza ritorno che non produce nessun bene e infligge tanti mali, anche economici e materiali, oltre che spirituali e morali”.
Il viaggio si concluderà, domenica 29 settembre, con la Messa nello stadio “Re Baldovino” da dove Francesco pronuncerà l’omelia e l’Angelus. Come la celebrazione pubblica della fede in un luogo laico come uno stadio potrebbe contribuire alla missione della Chiesa in Europa?
“Certamente, se la fede non avesse una manifestazione pubblica rischierebbe di scadere nel fideismo, la Chiesa si ritirerebbe nelle sue sacrestie e Dio non abiterebbe più la realtà mondana contemporanea. Celebrare, dunque, l’Eucaristia in un campo sportivo non è solo un escamotage perché la quinta chiesa più grande del mondo, la basilica del Sacro Cuore di Koekelberg, a 10 chilometri da Bruxelles, non può contenere coloro che desiderano celebrare insieme al Papa, ma diventa anche messaggio: la Chiesa non reputa alieno da sé, nulla che non sia alieno dall’uomo. Lo stadio che richiama il valore di una sana competizione sportiva e la gioia di momenti distesi, sempre che non diventi teatro di scontri e rivalità che non hanno nulla di sportivo, può essere una buona metafora dell’assemblea liturgica, luogo nel quale si esprime appieno la gioia del giorno festivo”.
Il Papa ha più volte esortato i leader mondiali a una politica di pace e giustizia. Come pensa che questo viaggio potrebbe riaffermare questi valori in un contesto europeo e internazionale segnato da una forte escalation di violenze?
“La violenza, sempre sbagliata, si scatena e procede da scelte politiche e sociali sbagliate. Se non si riforma il mondo, costruendo la civiltà dell’amore, ci saranno guerre sempre più fratricide. Solo la giustizia che non diventa giustizialismo ma carità può evitare tutto ciò”.