Piano anti-burnout per migliorare la vita lavorativa

Ne soffre un dipendente su due: è la sindrome derivante dallo stress cronico sul posto di lavoro. Una ricerca rivela che dopo essere passati a un modello ibrido i sintomi si riducono drasticamente

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Allarme dell’Organizzazione mondiale della sanità per l’escalation globale del burnout. Di tratta, avverte l’Oms, di uno stato di stress cronico lavoro-correlato caratterizzato dalla sensazione di completo esaurimento delle proprie energie fisiche e mentali. “I medici e gli infermieri non ce la fanno più. La madre di tutte le battaglie è che il nostro personale sanitario è stremato e questa è una vera emergenza. Si devono aumentare gli stipendi ai medici, agli infermieri e a tutte le professioni sanitarie”, ha detto l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, durante un evento della Cisl a Milano. Prosegue Bertolaso: “Nel momento in cui il pubblico è competitivo, il privato si adegua. Non può essere che noi dobbiamo ricorrere al privato, deve accadere il contrario“. E per questo servono “gli strumenti e la possibilità di aumentare gli stipendi al nostro personale”. Anche perché “se non si interviene i nostri medici andranno in burnout”. E andranno a lavorare fuori dall’Italia, dove sono più incentivati, come in Svizzera “o in Germania, dove se vai offrono alla moglie o al marito un incarico parallelo”. O in altri Paesi dove “ti danno la casa o l’asilo nido gratis“, sottolinea Bertolaso. 

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Sos burnout

A un certo punto della carriera, la maggior parte dei dipendenti nel mondo ha sperimentato sintomi di burnout. Ovvero uno stato di esaurimento caratterizzato da scarsa motivazione e sensazione di inefficienza. La ricerca di Boston Consulting Group (Bcg) è intitolata “Four keys to boosting inclusion and beating burnout”. Ed è stata condotta su 11.000 lavoratori in otto Paesi di diverse aree geografiche. Ne emerge che mediamente il 48% indica che sta attualmente affrontando il burnout. “Sappiamo che nei primi 4 mesi del 2024, il numero di italiani che manifestano disagio sul lavoro è aumentato rispetto all’anno scorso, una situazione allarmante che non può essere ignorata dalle aziende”, spiega Sara Taddeo, Bcg diversity, equity & inclusion senior manager. La stragrande maggioranza dei lavoratori che sono passati a un modello di lavoro ibrido afferma di aver notevolmente ridotto i burnout nella propria vita lavorativa. E’ quanto emerge da un nuovo studio, condotto da International Workplace Group (Iwg) su oltre 1.000 lavoratori ibridi, evidenzia come tre quarti di essi (75%) abbiano riportato una drastica riduzione dei sintomi da burnout – la sindrome derivante dallo stress cronico sul posto di lavoro – dopo essere passati a un modello di lavoro ibrido.

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Work-life balance

I dati della ricerca mostrano che il 72% dei lavoratori ha avuto episodi di burnout sul posto di lavoro prima di passare a un modello ibrido che prevedesse la ripartizione del tempo tra ufficio, spazi di coworking flessibili locali e la propria abitazione. Questa modalità ha permesso a molti lavoratori di non dover più affrontare lunghi spostamenti quotidiani per raggiungere l’ufficio, lasciando più tempo libero per concentrarsi sul proprio benessere. Secondo lo studio, l’aumento del tempo libero ha portato a un migliore work-life balance (86%), a fare più esercizio fisico (54%), alla preparazione di pasti più salutari (58%) e a una migliore qualità del sonno (68%), fattori che contribuiscono a ridurre il rischio di burnout. Complessivamente, oltre due terzi dei lavoratori (68%) hanno dichiarato che la loro salute fisica è migliorata grazie al lavoro ibrido.

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Modello flessibile

 I lavoratori hanno anche riferito di sentirsi meno esausti (79%), meno stressati (78%) e meno ansiosi (72%). Con un’ampia maggioranza dell’86% che ha affermato di affrontare meglio le proprie giornate grazie a un modello di lavoro flessibile. Dato l’impatto estremamente positivo del lavoro ibrido sulla salute mentale e fisica dei lavoratori, non sorprende che tre quarti di essi (76%) abbiano affermato che il ritorno in ufficio cinque giorni a settimana influirebbe negativamente sul loro benessere. Lo studio suggerisce inoltre che ciò potrebbe avere un impatto sulla produttività aziendale. Il 74% dei lavoratori ha dichiarato infatti di essere più produttivo quando lavora in modo ibrido, e altrettanti (76%) hanno riferito di sentirsi più motivati. L’85% dei dipendenti ha inoltre affermato che il lavoro ibrido ha effettivamente migliorato la propria soddisfazione lavorativa. Le opinioni degli HR leader confermano questi dati. Quattro su cinque (86%) affermano che il lavoro ibrido è ora uno dei benefit più richiesti e che aumenta la produttività dei dipendenti (85%). Ciò riflette i risultati della ricerca condotta all’inizio di quest’anno dalla Banca d’Inghilterra, dalla Stanford University, dal King’s College di Londra e dall’Università di Nottingham, guidata dal celebre economista e accademico Nick Bloom.

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Lavoro ibrido

La ricerca ha rilevato che, per ogni giorno in cui un dipendente lavora in modo ibrido, la produttività dell’azienda aumenta di circa 19 mila dollari. Iwg, il più grande fornitore al mondo di soluzioni di lavoro ibrido con marchi come Spaces e Regus, ha aggiunto 867 nuove sedi a livello globale lo scorso anno per soddisfare la crescente domanda di lavoro ibrido. Secondo Mark Dixon, ceo di Iwg, ha dichiarato: “Il passaggio globale al lavoro ibrido porta non solo forti vantaggi finanziari e di produttività alle aziende e un miglioramento all’equilibrio vita-lavoro dei dipendenti, ma anche significativi benefici per la salute sia fisica che mentale. Ridurre gli spostamenti tra casa e lavoro permette ai dipendenti di avere più tempo per prendersi cura del proprio benessere e riduce le probabilità di andare in burnout. Le aziende devono tenere presente che, offrendo la possibilità di lavorare in modo flessibile, non solo avranno dipendenti più felici e in salute, ma anche più produttivi e motivati”, ha precisato.

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Impatto

Bcg ha quantificato il sentimento di inclusione dei dipendenti nel proprio posto di lavoro utilizzando l’indice Bliss, uno strumento statistico che ne identifica i fattori a maggiore impatto. Dai risultati emerge che burnout e inclusione sono strettamente legati in tutti i mercati analizzati: la probabilità di burnout aumenta con una bassa inclusione in ogni mercato, da 1,2 a 2,6 volte. Allo stesso tempo, quando l’inclusione aumenta, dal quartile più basso a quello più alto, il burnout si dimezza, dimostrando che l’inclusione dovrebbe essere parte della soluzione per ridurlo. Come anticipato, per alcuni gruppi di lavoratori è più frequente riscontrare i sintomi del burnout, poiché si trovano spesso ad affrontare disagi sul posto di lavoro dovuti ad atteggiamenti discriminatori, stigmatizzazione e bassa rappresentanza. I quattro elementi che hanno il maggiore impatto sul senso generale di inclusione dei dipendenti, secondo Bcg, sono accesso alle risorse, supporto da parte della leadership. Senso di sicurezza psicologica con il proprio manager diretto, opportunità eque di crescita. Quando i dipendenti sentono che questi sentimenti sono affrontati in ambito lavorativo, si sentono più inclusi e meno esausti. Sentimenti che, tuttavia, oltre a risultare particolarmente rilevanti, sono anche quelli in cui i rispondenti hanno indicato i livelli di soddisfazione più bassi. Sentirsi inclusi può significare molte cose diverse per persone diverse. Ma concentrarsi su questi quattro elementi potrebbe essere un punto di partenza per fare le domande giuste ai propri dipendenti e comprenderne l’esperienza, fino a elaborare delle soluzioni efficaci.