Il 2024 è un anno di elezioni. Nel corso dei dodici mesi, pressoché metà della popolazione mondiale è chiamata a esprimere le proprie preferenze in consultazioni di ogni ordine e grado, con gli occhi degli osservatori puntati soprattutto su Unione europea e sulle presidenziali di novembre negli Stati Uniti. Se questi appuntamenti erano già in calendario, non mancano le sorprese. Voto anticipato in Iran per scegliere il successore di Ebrahim Raisi, in Francia, dopo che il presidente della Repubblica Emmanuel Macron, alla luce dei risultati delle europee, ha sciolto l’Assemblea nazionale e “convocato” i francesi ai seggi il 30 giugno e il 7 luglio, infine nel Regno Unito. In quest’ultimo caso, il primo ministro britannico Rishi Sunak ha precorso i tempi di qualche mese, annunciando le elezioni legislative per il 4 luglio quando tutti se le aspettavano alla scadenza naturale della legislatura, in autunno-inverno.
14 anni
Una tornata elettorale che può segnare la fine di 14 anni di governo del Partito conservatore e riportare un laburista al numero 10 di Downing Street, la sede del premier. La corsa per il rinnovo dei 650 componenti della Camera bassa del parlamento più antico del mondo vede, secondo i sondaggi, il Partito laburista guidato da Keir Starmer al 40%, i tories (come sono chiamati i conservatori) al 20% e Reform Uk, il partito dell’uomo-simbolo della Brexit Nigel Farage, al 16%. Le prime elezioni successive all’uscita del Regno Unito dall’Ue, dopo la pandemia, la guerra in Ucraina, l’avvicendamento di tre primi ministri, vedono come temi principali della campagna elettorale l’immigrazione – è recente l’approvazione della discussa legge sul trasferimento in Ruanda delle persone migranti arrivate illegalmente nel Paese – e l’economia, con i rincari che hanno pesato nelle tasche dei britannici.
L’intervista
Per approfondire la tornata elettorale britannica, Interris.it ha intervistato Domenico Maria Bruni, docente di Storia dei sistemi politici all’Università di Siena ed esperto di Regno Unito.
Professore, perché elezioni anticipate?
“Credo che il premier Sunak abbia preso questa decisione in base a una serie di calcoli. Il primo sull’immigrazione: il premier vuole sfruttare il fatto di essere riuscito ad approvare la legge sul trasferimento in Ruanda dei migranti illegali prima che la realtà dei fatti nei mesi estivi possa smentirne l’efficacia. Un altro sull’economia, evidentemente ipotizzando che l’andamento del secondo semestre del 2024 non dovrebbe essere tale da rendere probabile un maggior consenso elettorale. In ultimo potrebbe anche esserci stata l’intenzione di spiazzare il Reform Uk di Nigel Farage, che mette in difficoltà i conservatori. Calcoli che, alla luce di tutti i sondaggi, paiono errati: tutti danno per scontata la vittoria del Partito laburista, sembra quasi impossibile per i conservatori recuperare lo svantaggio”.
Che risultato può uscire dalle urne? Eventuali alleanze?
“Potrebbe nascere un governo laburista monocolore, senza alcun tipo di alleanze. Così come non credo si porrà problema di accordi parlamentari tra i conservatori e Reform Uk, perché Farage può avere un sostegno consistente in base ai sondaggi, togliendolo ai tories, ma non così concentrato in specifici collegi da consentirgli di trasformare le preferenze in seggi, visto che nel sistema maggioritario uninominale britannico vince seggi solo chi arriva primo nel collegio. Certo, per i conservatori rimarrà il problema politico di come sgonfiare il successo di Reform Uk”.
Come mai dopo 14 anni di potere i conservatori sembrano così in crisi?
“Secondo i sondaggi l’elettorato non punisce tanto le loro politiche, piuttosto non li ritiene credibili. Tralasciando David Cameron, che sbagliò i calcoli scaricando sul referendum sulla Brexit il peso di una scelta che non voleva fare per non spaccare il partito, con l’avvicendamento veloce e rocambolesco di tanti leader è passata l’immagine di una forza politica incapace di selezionare una figura che sappia cogliere gli umori del Paese e di scegliere la strategia vincente. Se non c’è chi sa guidare una squadra di governo in modo efficace e con autorevolezza, qualsiasi programma, anche il più bello, è indebolito”.
Il forte vantaggio dei laburisti è dovuto anche al profilo riformista Starmer, dopo la stagione di Jeremy Corbyn?
“Il leader laburista ha spostato il partito su posizioni più centriste riguardo l’immigrazione, almeno stando alle sue ultime dichiarazioni, e si è molto preoccupato di sottolineare che un governo a guida labour manterrebbe la spesa pubblica per la difesa in linea con le esigenze del Paese e della Nato, vista la contingenza del sostegno all’Ucraina. Anche sulla questione Medio Oriente, che poteva essere rischiosa per gli equilibri interni, ha evitato lo scivolamento su posizioni anti-israeliane. Riguarda la politica interna, i laburisti puntano a garantire un pieno welfare ma anche tenere a posto i conti dello Stato. Il problema però è che tenere insieme tutto questo sarà molto difficile senza un aumento della pressione fiscale”.
Come si spiegano le percentuali di Farage?
“Una parte consistente di elettorato è fortemente disilluso dall’establishment britannico e lì il politico in grado di cavalcare questi umori trova terreno fertile. Dal 2010 in poi i conservatori sono stati condizionati dall’esistenza di questo nocciolo duro, in qualche modo riconducibile a un’area conservatrice e con cui i tories hanno sempre dovuto fare i conti. In parte Boris Johnson era riuscito a riassorbire quest’area di malcontento alle elezioni del 2019, ma poi il problema è riesploso e Sunak non si è saputo proporre come portatore di efficaci risposte a queste istanze. Farage sa intercettare quel malcontento, poi bisognerà vedere quanto di questo consenso d’opinione si trasformerà in consenso politico e, soprattutto, in rappresentanza parlamentare. La capacità di ridurre il protagonismo politico di Farage dipenderà dalla capacità delle classi dirigenti di saper dare rappresentanza politica a questa insoddisfazione”.
La Brexit è stata un successo o un fallimento?
“Mi pare che non si siano avverate né le ipotesi catastrofiste né quelle iper-ottimiste. L’effettiva uscita dall’Ue nel breve periodo è stato un effettivo successo dell’esecutivo, ma in seguito il governo non ha trovato una chiave sul ‘dopo’, né sotto il profilo interno né in quello internazionale. Si sono rafforzati i rapporti con Australia e Nuova Zelanda, mentre non mi pare si siano fatti particolari passi avanti in altri scacchieri. Il prossimo inquilino di Downing Street dovrà fare delle scelte”.
Con il nuovo esecutivo si prospettano nuovi rapporti tra Regno Unito e Unione europea?
“Non credo che la vittoria dei laburisti si trasformerà in volontà di cancellare la Brexit, mi pare l’abbia escluso anche Starmer – sarebbe il modo migliore per dare fiato ai conservatori. Sicuramente il leader laburista potrebbe voler definire nuovi accordi commerciali con l’Unione europea, ma siccome gli accordi si fanno in due, ciò dipenderà anche dalla volontà della nuova Commissione”.