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Brexit, lo scoglio del pesce: “I quattro compromessi per sciogliere il nodo”

Un braccio di ferro con la Francia più che con l'Europa. Ma la diatriba nella Manica sugli spazi di pesca può davvero ostacolare le trattative per l'addio di Londra a Bruxelles?

Il peso specifico forse non è pari ad altri settori. Ma fino a un giorno fa, lo stallo sul comparto ittico teneva ancora appesa l’infinita trattativa Brexit. Niente passi indietro da Londra, tantomeno da Parigi, dove la questione sembra ormai di importanza vitale, soprattutto nell’ottica delle elezioni presidenziali del 2022. Un appuntamento lontano ma la Brexit va risolta adesso. Il che rende tutti i dossier futuribili assolutamente attuali. E da decidere in fretta a chi infine andranno ad arridere. Lo stallo sugli spazi di pesca nel Canale della Manica tutto è fuorché qualcosa di marginale. Economicamente forse, ma nemmeno tanto, considerando che il Regno Unito potrebbe decidere, una volta recuperata la propria sovranità sganciata dall’Europa, di investirci sopra. In ballo, fino alla risoluzione del nodo, c’è uno stock di pesce pari al 60% che al momento viene raccolto da navi straniere. Una tendenza che Londra ha tutta l’intenzione di invertire, come promesso dallo stesso Boris Johnson all’epoca delle politiche britanniche.

Battaglia del pesce? Forse no…

Eppure di soluzioni sul tavolo sembrano essercene parecchie. A cominciare dal modello norvegese, che Downing Street cercherà di applicare anche al resto d’Europa. E dall’altra parte, più che Bruxelles, l’interlocutore è ancora una volta la dirimpettaia Parigi. Interris.it ne ha parlato con Bepi Pezzulli, direttore di Italia Atlantica.

 

Dottor Pezzulli, la questione degli spazi di pesca viene ormai da qualche tempo annoverata fra quelle che maggiormente stanno rallentando l’ultima fase delle trattative di Brexit. Johnson si impegnò in fase elettorale a restituire alla Gran Bretagna la sovranità delle proprie acque ma, nel concreto, la disputa con la Francia sul pesce può realmente ostacolare la risoluzione del dossier? 
“Non è una questione economicamente marginale. Ci sono due dipartimenti francesi, la Bretagna e la Normandia, dove l’industria ittica è enorme. In questo momento, i pescherecci francesi catturano l’85% del loro pesce in acque territoriali britanniche. Emmanuel Macron deve fare la rielezione alla presidenza e non può alienarsi Normandia e Bretagna, né tantomeno l’industria alimentare francese. Per questo ha assunto linea dura sui diritti di pesca. Macron chiede però una cosa impossibile: nessun Paese al mondo, dopo Brexit, consente l’accesso alla propria zona economica esclusiva a navi straniere. E questo è un dato di fatto del diritto del mare. Su questo punto, Macron vorrebbe un accordo nell’accordo commerciale post-Brexit.

Di quale accordo si parla?
“Si troverà compromesso perché anche gli altri Paesi dell’Unione europea, Germania in testa, si rendono conto che questa cosa non è possibile. Il primo compromesso è che l’Europa risarcisce l’industria ittica francese attraverso i fondi strutturali europei con 5 miliardi di euro. Il secondo è che l’Inghilterra consenta ai pescherecci francesi di pescare al largo delle isole del Canale, Guernsey e Jersey, parte dell’Inghilterra ma vicine alla Francia. La terza possibilità è che si trovi con l’Ue lo stesso accordo che Londra ha fatto con la Norvegia, legata all’Europa dal trattato Efta, lo Spazio economico europeo. Il quarto possibile compromesso è che, per salvaguardare le elezioni presidenziali, si faccia periodo transitorio sulla pesca: per tre anni si consente ai pescherecci francesi di pescare in acque inglesi e uscire da questo diritto”.

Ipotesi già sul tavolo o verranno definite una volta sbrogliata la matassa?
“Sono accordi già sul tavolo delle trattative. Il problema è che quello che doveva essere un negoziato anglo-europeo, è diventato anglo-francese. Di fatto, qui si parla solo ed esclusivamente di temi che interessano alla Francia. E del resto è sempre stato così. Alla Germania non interessa molto dei diritti di pesca, quanto più l’accesso della produzione automobilistica nel mercato interno inglese. Questi temi residui, che impediscono la risoluzione dell’accordo, sono temi fondamentalmente francesi. E a Bruxelles esiste anche un certo malumore nei confronti della Francia”.

Parliamo di un’industria, quella ittica, sulla quale il Regno Unito ha tenuto finora una strategia che la collocava solo marginalmente fra i punti di forza a livello industriale. Con la Brexit si potrebbe assistere a un rafforzamento?
“Economicamente non è particolarmente importante ma alcuni argomenti sono rilevanti. Non è possibile che le risorse alimentari di un Paese vadano al 95% a Paesi stranieri. Il secondo problema è che la politica di pesca comune sta facendo esaurire lo stock ittico nel mare britannico, perché non basata sul criterio dell’attaccamento zonale ma su quote di pesca stabilite indipendentemente dalla stagionalità. E il terzo problema è che l’Inghilterra finora non ha investito nell’industria ittica proprio perché c’è una politica di pesca comune. Ma, uscita dall’Unione europea, certamente quello è un segmento che può sviluppare molto. La capacità di applicare nuove tecnologie nella catena alimentare è sicuramente uno di quei temi che il Regno Unito vuole sviluppare con la ritrovata sovranità nazionale”.

Nei mesi scorsi, la contesa sugli spazi di pesca aveva prodotto anche qualche scaramuccia fra i pescherecci. L’eventuale stretta di mano risolverebbe anche le contese in prima linea?
“Questo non è un grosso problema. Con l’uscita del Regno Unito, le acque territoriali tornano a essere esattamente a metà del Canale della Manica. Sia Francia che Inghilterra avrebbero ciascuna la propria metà e diverrebbe difficile produrre altri incidenti. Se ci sono diritti di pesca, accessi, è ancora meno probabile. Va comunque tenuto conto del clima elettorale in Francia. Nel 2022 ci sono le presidenziali francesi e Macron, in una certa misura è già in clima pre-elettorale”.

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