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Diritti negati e braccianti invisibili. Così il caporalato sfrutta chi raccoglie la frutta per le nostre tavole

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Vittime dello sfruttamento in agricoltura: donne braccianti nella moderna schiavitù del caporalato. Tra violenze e diritti negati. La vita delle donne invisibili e sfruttate che raccolgono la frutta delle nostre tavole. Una vulnerabilità che è alla base della loro esclusione. ActionAid lancia l’allarme attraverso il rapporto “Cambia Terra”. Un’indagine sulle condizioni delle donne impiegate nei campi e nelle serre dell’Arco Ionico. Per raccontare le storie e le violazioni dei diritti delle lavoratrici straniere più vulnerabili. Adriana, ex bracciante rumena, è una delle leader comunitarie di ActionAid. 

Senza formazione

Uno dei problemi di cui non si parla è quello della maternità– evidenzia-. La gestione dei figli è davvero difficile per le lavoratrici agricole. Quando la campagna inizia presto, alle due o alle tre di notte, prendono i bambini addormentati. E, se non hanno familiari di riferimento, li portano a casa di estranee. Che ne accudiscono cinque, sei, o dieci nelle loro case. Li tengono fino a quando le madri non tornano a prenderli, il pomeriggio. Mandarli all’asilo non è possibile. L’orario non lo permette”. In Calabria esistono gli “asili nido irregolari”. Servizi a pagamento, in nero. Con personale senza alcuna formazione che si occupa dei piccoli fino all’arrivo dei genitori. E qualcuna si porta i figli nelle serre. Facendoli dormire in cassette di legno.

Braccianti sfruttate

Braccianti, operatrici, ricercatori, psicologhe, sindacaliste. Tutte raccontano un fenomeno radicato anche nell’Arco Ionico. L’area che comprende le provincie di Matera, Taranto e Cosenza. Molestie sessuali. Ricatti. Paghe da fame. Liste nere dei caporali. In questa vasta zona del Sud Italia il clima e la terra fertile favoriscono le coltivazioni di ortofrutta. Dalle fragole all’uva da tavola fino agli agrumi. Sono le donne a essere richieste. Per garantire maggiore cura per le stagioni di raccolta e lavorazione della frutta più delicata. Sono le donne a vedere violati i propri diritti più elementari. Soprattutto le straniere originarie della Romania e Bulgaria.

Disumane condizioni di lavoro

Catalina è una lavoratrice rumena in Basilicata. Nel rapporto “Cambia Terra” è una delle 119 donne impiegate in agricoltura di origine rumena e bulgara. “Guadagno trentotto euro al giorno– spiega- Chi riesce lavora senza interruzioni, dal lunedì alla domenica. Gli uomini ricevono due euro in più all’ora perché hanno compiti più pesanti. Stamattina mi sono alzata presto. Cominciamo alle sei. Prepariamo il terreno per piantare le fragole. Lo concimiamo. Devo stare sempre piegata. Adesso che sono incinta è faticoso. Mi sento sfiancata. Però sono obbligata ad andarci. Ho bisogno di soldi”. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura. ActionAid da sei anni si occupa di indagare e intervenire sulle condizioni di vita e di lavoro delle donne in agricoltura. In Puglia, Basilicata e Calabria. Per tutelare i loro diritti.  Il corteo di protesta dei braccianti della tendopoli di san Ferdinando

Lavoro sommerso e sottopagato

Non esistono dati certi sul numero di operaie agricole in Italia. Il fenomeno del lavoro nero caratterizza il settore agricolo. Attraverso il reclutamento illecito. Le irregolarità contrattuali. O la totale assenza di un contratto di lavoro. Con la conseguente assenza di previdenza e protezione sociale. Il caporalato muove un’economia illegale e sommersa. Un giro d’affari di oltre cinque miliardi di euro. Secondo le stime sarebbero tra 51 e 57 mila le lavoratrici sfruttate in Italia. Nell’Arco Ionico le operaie agricole regolari sono 22.702. 16.801 italiane. 5.901 straniere. Di cui il 76% è costituito da comunitarie. Soprattutto rumene e bulgare. Un numero inferiore alle reali necessità della raccolta stagionale di frutta e verdura. Che richiede il doppio della manodopera. “In agricoltura si lavora ancora in schiavitù”, testimonia Maria. Da 37 anni nei campi. A peggiorare la vita delle donne sono le disuguaglianze strutturali di genere. Come la disparità salariale tra donne e uomini. Nelle campagne le donne arrivano a guadagnare anche solo 25/28 euro al giorno. Mentre gli uomini ne ricevono 40. E’ molto diffusa la pratica dei datori di lavoro sleali. Che dichiarano in busta paga un numero inferiore di giornate rispetto a quelle lavorate. Impedendo alle donne non solo di accedere all’indennità di infortunio, malattia e disoccupazione agricola. Ma anche a quella di maternità.  

Il calvario delle invisibili

“Nel barese, da anni va avanti un metodo collaudato. La mattina, quando nelle piazze arrivano i furgoni per portare le operaie agricole nei campi, la “prescelta” viene fatta salire davanti. Nello spazio accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè caldo, comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare l’avances sessuale. E quindi ottenere l’ingaggio. Rifiutando, invece, il giorno dopo si viene lasciate a casa”, sottolinea Annarita Del Vecchio. Psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia. Le donne in agricoltura sono esposte a violenza e molestie sui luoghi di lavoro. Sui mezzi di trasporto che le conducono sui campi. Nelle serre. Nei magazzini. Nelle fabbriche di confezionamento. Negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro. La violenza è esercitata in molteplici forme (verbale, fisica, psicologica e sessuale). Ed è accompagnata da minacce. Come quella di perdere il posto, di essere demansionata o non pagata. Reagire può significare finire nelle “liste nere”. I caporali si telefonano l’uno con l’altro per “segnalare le “piantagrane”, precisa Annarita Del Vecchio. C’è uno “scambio di manodopera e quindi di informazioni”.

Giacomo Galeazzi: