“La pandemia ha dato il colpo di grazia alle famiglie italiane, che già vivevano una situazione critica che si protraeva dal 2008”. A raccontarlo a In Terris è Lidia Borzì, presidente della sede romana Acli (Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani) e Consigliere Nazionale Acli con delega alla Famiglia e agli stili di vita.
La Giornata mondiale della popolazione
A Borzì, esperta di politiche sociali con alle spalle una lunga esperienza come dirigente nelle ACLI, a contatto quotidianamente con i cittadini e le loro problematiche quotidiane, chiediamo di raccontarci le fatiche e i punti di forza della famiglia italiana nel post pandemia. Lo facciamo oggi, 11 luglio, nella Giornata mondiale della popolazione indetta dal consiglio direttivo del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) nel 1989. L’obiettivo della giornata è quello di aumentare la consapevolezza sulle problematiche riguardanti la popolazione mondiale, dalla povertà dei nuclei familiari al calo demografico, dalla salute delle donne ai diritti di anziani e bambini.
L’intervista a Lidia Borzì
Dottoressa Borzì, qual è la situazione delle famiglie italiane dopo un anno e mezzo di pandemia?
“Purtroppo drammatica, la pandemia ha dato il colpo di grazia a una situazione già critica, che si protraeva dal 2008. Secondo una recente ricerca dell’IREF ACLI una diminuzione rilevante di reddito familiare durante il lockdown è stata registrata tanto nei nuclei familiari che già vivevano una condizione di estrema fragilità, quanto nel ceto medio che ha subito uno slittamento significativo verso il basso. Addirittura, la presenza di figli minori ha esposto le famiglie al rischio di cadere nella povertà assoluta. Un rischio inaccettabile per una società che ha a cuore il suo futuro. Va detto però che, nonostante tutto, la famiglia ha ‘tenuto botta’, dimostrando tutta la sua resilienza e il suo essere una risorsa preziosa per il Paese”.
In che modo?
“Pensiamo ai genitori che hanno fatto da insegnanti con la DAD, da istruttori sportivi con le palestre chiuse, terapeuti con i più fragili, come anziani e disabili. Per questo occorre adesso innanzitutto valorizzare le famiglie come soggetti sociali e sostenerne la loro generatività portatrice di valori per la demografia, in quanto sorgente di trasmissione della vita, per il sociale, in quanto contesto delle relazioni primarie che alimentano la coesione sociale, per l’educazione, in quanto perno dell’alleanza educativa, e per l’economia, in quanto motore e promotrice di un nuovo modello di sviluppo”.
Di cosa hanno bisogno le famiglie ora?
“Adesso le famiglie hanno bisogno di ripartire, hanno bisogno di tornare a sperare. Lo ha detto anche Papa Francesco di recente agli Stati Generali della natalità: ‘Se la famiglia riparte, riparte tutto’. Ma tutto questo può avvenire solo se la famiglia è riconosciuta e valorizzata come risorsa”.
Covid a parte, quali sono le altre problematiche principali delle famiglie italiane?
“La pandemia ha sollevato un sistema di welfare non performante, basato sull’emergenza, anzi, su una somma di emergenze stratificate risultando sempre una coperta troppo corta. Inoltre, questo lungo confinamento ha isolato le famiglie avvitandole nelle loro problematiche interne, ha eroso le reti parentali e informali di welfare, mettendo a dura prova il contesto familiare. Il peso maggiore è ricaduto sulle donne, tanto per cambiare, per la crisi della scuola in presenza, per la perdita del lavoro o per la diffusione dello smart working che dovremmo chiamare home working e che non è equivalente a una misura di conciliazione tout court. Insomma, con la pandemia si sono amplificate una serie di sofferenze che c’erano anche prima e che vanno risolte al più presto”.
Stiamo uscendo dal covid grazie alla campagna vaccinale; stiamo uscendo anche dalla povertà innescata dal lockdown e dalle restrizioni?
“Purtroppo no, assolutamente no. Lo ha confermato l’Istat: in Italia 5,6 milioni di persone sono in povertà assoluta e il dato si riferisce al 2020; il prossimo sarà ancora peggio con l’onda lunga della pandemia che ha innescato una serie di povertà che spesso vanno a braccetto. Ma oltre all’erosione dei redditi, occorre considerare come fattore di rischio la frammentarietà delle politiche sociali e la logica emergenziale nella quale sono spesso formulate, seguendo piuttosto che governando le turbolenze dell’economia. Per questo adesso servono misure lungimiranti e auspichiamo che nel disegno complessivo del PNRR, l’uso e la ripartizione delle sue risorse vadano in questa direzione, e che il Family Act sia la cornice normativa di un sistema di misure incisive e organiche, di politiche familiari strutturali che possano ridurre l’incertezza del futuro. Insomma, serve speranza, no illusione”.
Quanti sono in Italia e quanto ha inciso la pandemia sui cosiddetti working poor?
“La pandemia ha svelato larghe fasce di lavoratori con basse tutele e bassi salari, molti dei quali hanno anche faticato a rientrare tra i destinatari delle varie misure di sostegno. Secondo una recente indagine del Censis, in Italia ci sono 3 milioni di working poor, lavoratori a basso reddito. In media, 3 famiglie su 10 hanno subito una riduzione del reddito nel 2002 con la pandemia. Già prima della pandemia, il ‘lavoro povero’ (con meno di 9 euro all’ora) riguardava quasi 3 milioni di occupati, di cui il 53,3% era rappresentato da uomini e il 46,7% da donne. Per questo il lavoro dignitoso è la via maestra della ripartenza e va posto in cima alle priorità della politica”.
Come le Acli sono di sostegno alle famiglie?
“Questa nuova presidenza guidata dal presidente Emiliano Manfredonia, ha messo la famiglia tra le tre priorità di mandato, insieme a lavoro e welfare. Stiamo portando avanti un lavoro di sistema per mettere al centro la famiglia come soggetto sociale sostenendola e accompagnandola nella sua quotidianità problematica. Il nostro è un sostegno a 360 gradi attraverso una rete articolata nel territorio di circoli e servizi, tra cui Caf e Patronato, veri e propri presidi di welfare che solo durante la pandemia hanno aiutato oltre 4 milioni di persone, e poi progetti iniziative diffuse in maniera capillare. Questo ci consente di sviluppare un modello di azione sociale a tutto tondo che offre risposte ai bisogni materiali, tra cui cibo, medicine, materiali scolastici per bambini, esigibilità dei diritti, politiche attive del lavoro, sostegno psicologico, attività aggregative. Purtroppo i nostri circoli sono stati molto penalizzati dalle chiusure per il covid, solo dal 1° luglio potranno riaprire le loro attività e insieme alla nostra Unione Sportiva (US Acli), con il Centro Turistico (CTA) e la Federazione Anziani Pensionati (FAP) saranno fondamentali con le loro iniziative per ricostruire la socialità”.
Quali passi proponete al Governo per aiutare le famiglie?
“Siamo stati impegnati a presentare le nostre proposte sulla rimodulazione dell’assegno unico accolte anche dalla ministra Bonetti. Chiediamo una riforma per gradi, evitando di azzerare in un colpo solo degli istituti molto diversi tra loro, sia per storia che per natura. A nostro avviso sono due i criteri che dovrebbero muovere l’assegno unico: l’universalità, perché riconosce il valore sociale di un figlio, che non è più solo un fatto privato e l’equità, perché visto che non ci sono le risorse per tutti, bisogna tutelare le famiglie con redditi medio bassi, intanto guardiamo con fiducia a questa misura ponte dell’AUUF che è entrata in vigore il 1 luglio.
Inoltre?
“Inoltre, come Acli auspichiamo che le famiglie beneficino di risorse sufficienti e siano poste in testa alle scelte politiche di distribuzione dei sostegni e attivazione dei servizi. L’Italia ha molto da recuperare rispetto al resto dei Paesi europei e può cogliere l’occasione delle riforme che in questa fase il nostro Paese sta mettendo in cantiere per farlo. Per questo intendiamo l’AUUF un punto di partenza per un fisco a misura di famiglia per permettere alle famiglie di generare un mondo nuovo e sostenibile. Non faremo infine mancare il nostro pungolo affinché si attui un vero family mainstreaming, ovvero la valutazione d’impatto delle politiche sulle famiglie, in questo caso, che vale però per tutti gli ambiti, in modo che ci siano sempre risposte sartoriali ai bisogni”.
Cosa pensa di questo Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” e della sua attenzione ai poveri e alle famiglie?
“Papa Francesco è un faro che illumina e orienta. Le Acli devono a lui la quarta fedeltà, che il Papa ci ha donato in occasione del 70esimo, che rinnova tutte le altre fedeltà, come se il nostro Pontefice ci avesse donato degli occhiali con cui mettere a fuoco le periferie geografiche ed esistenziali, per cercare di far fronte alle molteplici forme di povertà economiche, materiali, relazionali ed educative. Durante la pandemia, con i suoi gesti consegnati alla storia e le sue parole, è stato una mano dolce e potente che ci ha accarezzati e incoraggiati a vedere la luce in fondo al tunnel e, soprattutto, ci ha ricordato una cosa fondamentale: nessuno si salva da solo. E questo ci chiama tutti in causa per un supplemento di responsabilità che diventa la corresponsabilità della rivoluzione della cultura della cura nella comunità, ovvero non solo una cura sanitaria, ma cura delle relazioni, ma anche cura sociale, intesa come cura del Bene Comune, e cura dei legami solidali. Mettendo sempre al centro la famiglia”.