È un’eco distante, Bologna. Vicina, forse, più nello spazio che nel tempo. Perché i decenni si accumulano e della bomba del 2 agosto 1980 restano le immagini, i fiumi d’inchiostro, magari le parole, almeno per chi è disposto ad ascoltarle. Poco o nulla è rimasto del rumore, al di fuori della mente di chi c’era, di chi lo ha sentito, per presenza o per memoria storica. Il quarantaquattresimo anniversario è uno spartiacque, ma forse non tutti se ne accorgono. Perché la marcia verso il mezzo secolo è avviata, ma Bologna non è ancora un evento storicizzato. Troppo vicino per parlarne a scuola, troppo lontano per essere impresso nella memoria delle nuove generazioni… Un limbo che impone una riflessione non tanto sull’eredità degli anni di piombo e della strategia della tensione, quanto sull’impatto che gli eventi del secondo Novecento hanno nella percezione storica di chi è giovane oggi.
Bologna, un tempo fermo
L’orologio fermo della stazione di Bologna, che da oltre quattro decenni scandisce le 10.25, ricorda l’istante in cui 84 vite si fermarono per sempre. Né avanti, né indietro. Un tempo fermo, come l’archivio di una memoria. Dove, senza qualcuno che le consulti, le immagini resterebbero statiche, prive di una ragione per essere testimonianza. Un paradosso dei nostri tempi: la società dell’accesso rapido alle informazioni che ricorda in modo relativo la propria storia, conoscendo il nome dei fatti, forse, ma non la loro sostanza. Almeno per quel che riguarda coloro che, ai tempi della strage, non c’erano ancora. “Questa è storia recente ma non recentissima, vista la velocità con cui si consumano gli eventi – ha spiegato a Interris.it Francesco Grignetti, storica firma de LaStampa -. Indubbiamente, quando si parla di decenni, si parla di ere geologiche. E questo è un primo enorme problema. È chiaro che a noi giornalisti che ci occupiamo di storia recente del Paese, appare chiaro come velocemente venga superata la parte più emotiva dei fatti, quella che coinvolge di più, che scuote le coscienze. Questo però non è un bene”.
Un mandato generazionale
Il passaggio generazionale dev’essere mediato da un dialogo costante. Il rischio, altrimenti, è di ritrovarsi di fronte a un gap di memoria, a un mancato passaggio di consegne. E, di conseguenza, a una generazione priva di testimoni: “Un Paese che non ricorda, o ricorda male – e questo forse è anche peggio -, non aiuta né il presente né il futuro. Nel caso di Bologna, nonostante gli anni, alcune cose succedono ancora. Quest’ultimo processo, che chiamano ‘mandanti’ ma che, per forza di cose, non ha potuto esaminare più di tanto, ha portato a nuove condanne. Questo ci deve riportare tutti, con la memoria, a quello che erano quegli anni. Il 1980 non è un picco isolato ma, nel continuum della storia e del tempo, è un passaggio tra gli anni settanta, i cosiddetti Anni di piombo, e gli anni Ottanta”.
Leggere per conoscere
Eppure, non sempre questo avviene. Nemmeno con la riemersione dei fatti al di fuori della loro ricorrenza: “Di recente sono usciti nuovi articoli di giornale ma non so se questo ha aiutato a rinfrescare un po’ la memoria a qualcuno. Come conservare quindi la memoria? Innanzitutto informandosi. Non bisogna accontentarsi di un sentito dire, né di un titolo alla televisione. È chiaro che questo richieda sforzo e pazienza ma leggere i libri dev’essere un impegno civico. E l’idea che così tanti libri, così tanti saggi, vengano lanciati nelle librerie e poi non vengano letti, è un grande dispiacere”.
La memoria impolverata
Il pericolo è che i fatti invecchino, vengano relegati a rimembranze estemporanee, a frasi di circostanza, dimenticando di collocarli nella loro dimensione temporale. E, soprattutto, di conoscerli perlomeno nel rispetto di coloro che ne furono vittime innocenti. Tanti, nel caso della bomba alla stazione. Persone comuni, famiglie, militari in licenza, tutti in procinto di godersi le vacanze estive. Inconsapevoli di essere in viaggio verso una storia non cercata: “Nei programmi scolastici questi temi non entrano. E nel dibattito pubblico si è detto forse anche troppo nei primi dieci o vent’anni. Ma il 1980 è lontano. Tutti i giovani d’Italia non hanno vissuto in prima persona quel periodo, non possono ricordarlo per esperienza diretta. L’unica strada è leggere, approfondire, farsi un’idea personale e non qualcosa di orecchiato”.
Approcciarsi alla Storia
Un concetto che vale per ogni epoca, figurarsi per il Novecento. Il secolo breve, il preludio a una globalizzazione incontrollata e, forse, incontrollabile: “Bisogna approcciarsi al passato recente come al passato storicizzato. Sarebbe importante farsi un’idea propria, leggendo più autori e incrociando più punti di vista. So che ci sono alcune persone estremamente preparate. Giovani e meno giovani che, per questi eventi della storia d’Italia, sono informati. Ma c’è anche una massa che pensa che tutto questo non la riguardi”. E su questa occorre lavorare.