La guerra in Ucraina che va avanti da oltre quattro mesi, ha messo in crisi alcune certezze e impresso un segno, drammatico e profondo, su alcune situazioni di particolare fragilità nei Paesi più poveri del mondo. Per prima, la certezza della pace in Europa, con una conflitto vicino al fianco orientale dell’Unione europea, e per secondo il ritmo e la sostenibilità della ripresa economica post-pandemica per cui tutto il Vecchio Continente si era impegnato, arrivando a un terreno comune, quello del Next Generation Eu, il piano da 750 miliardi di euro per finanziare investimenti nell’istruzione, nel digitale e nella transizione ecologica. L’Ue si è infatti trovata, per via delle guerra e delle sanzioni economiche inflitte alla Russia, a dover fare i conti con una dipendenza da fonti energetiche – gas e petrolio – provenienti dal Paese aggressore prima del previsto, trovandosi in alcuni casi a dover ricorrere a piani di emergenza che prevedono anche la riattivazione di alcune centrali a carbone. Un altro drammatico effetto collaterale di questo guerra, con il blocco delle navi mercantili ucraine nel Mar Nero, è il rischio malnutrizione o carestia a cui espone molti Paesi africani, come Tunisia, Libia, Egitto e quelli del Corno d’Africa, ma anche mediorientali e asiatici come lo Yemen, il Bangladesh e l’India. Un’esacerbazione di una crisi alimentare che in alcune realtà si va ad impiantare su di una già esistente. A questo preoccupante scenario globale, si affaccia nel nostro Paese il rischio siccità, con lo stato di necessità in cinque Regioni: Emilia Romagna; Friuli-Venezia Giulia; Veneto; Lombardia; Piemonte. Un problema che, secondo Coldiretti, ha già provocato danni per oltre tre miliardi nelle campagne.
L’intervista
Per approfondire questi temi, Interris.it ha intervistato il professore ordinario di economia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e membro del Comitato promotore delle Settimane sociali Leonardo Becchetti, recentemente in librerie con il suo nuovo libro “La rivoluzione della cittadinanza attiva”, edito da Emi.
A causa della guerra il raggiungimento degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano e la messa a terra dei progetti potranno subire dei ritardi o essere addirittura vanificati, in alcuni frangenti?
“Il problema connesso alla guerra è quello dell’aumento dei prezzi dell’energia e dei costi di alcune materie prime che ha fatto lievitare i costi della realizzazione delle opere, ma adeguando i costi alla nuova situazione le opere si faranno”.
Il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi chiede un tetto al prezzo del gas, quello Usa Biden parla di price cap sul petrolio. Quali possono essere gli effetti di queste scelte?
“Mettere un tetto vuol dire che diciamo a chi ci vende petrolio e gas che li pagheremo meno. E’ una prova di forza verso la controparte che vende che funziona se noi abbiamo abbastanza potere contrattuale. Bisogna vedere quali argomenti possiamo utilizzare: il vero potere contrattuale l’avremo quando avremo conquistato l’indipendenza energetica riducendo o eliminando la dipendenza dal gas russo e riducendo al minimo quella dalle fonti fossili, così come previsto dalla transizione ecologica. Dobbiamo farlo anche per la nostra salute, per salvaguardare il clima e perché produrre energia da fonti rinnovabili costa molto di meno”.
Quali sono gli effetti collaterali della guerra sui Paesi in via sviluppo e i Paesi più poveri? Basti pensare al blocco del grano e al rischio carestia del Corno d’Africa
“Sono effetti drammatici. Alcuni di quei paesi dipendevano in larga parte dal grano tenero importato dall’Ucraina. La quota delle persone sotto la soglia di povertà assoluta probabilmente aumenterà anche perché la crisi climatica sta rendendo quelle terre sempre meno ospitali ed in grado di produrre risorse necessarie per vivere. E questo aumenterà i flussi migratori verso i nostri paesi”.
Uno degli effetti del conflitto potrebbe anche essere un temporaneo abbandono della delocalizzazione, della politica della globalizzazione, sostituito con un accorciamento della filiera produttiva?
“La globalizzazione dopo l’aggressione russa dell’Ucraina sarà integrata con le valutazioni politico-strategiche. Ci si penserà due volte a mettersi nelle mani di autocrazie o paesi come Russia e Cina dipendendo da loro per qualche materia prima o semilavorato lungo la filiera del prodotto. La globalizzazione non s’interromperà ma queste nuove condizioni saranno importanti”.
Quali nuovi scenari economici disegneranno la transizione ecologica e la guerra? I Paesi che dispongono di molte fonti energetiche non fossili detteranno le regole del gioco o saranno “presi d’assalto” (una forma di neocolonialismo 4.0)?
“La bellezza delle fonti energetiche non fossili è che sono ovunque e non concentrate in singoli paesi che possono ricattarci sfruttando la loro posizione dominante. Sole e vento sono dappertutto. La guerra deve farci accelerare verso un mondo di produzione di energia diffusa e partecipata dove l’energia non sarà più causa di conflitti e guerre. Noi in particolare siamo l’’Arabia Saudita del sole e del vento’ e la quota di produzione di energia da fonti rinnovabili è ancora scandalosamente bassa e non sfrutta il nostro grande potenziale (metto dentro anche la geotermia dove siamo dei precursori con soffioni boraciferi di Larderello)”.
La siccità di questi ultimi giorni è una dura dimostrazione dei danni del cambiamento climatico, come invertire la rotta almeno per tamponare la crisi idrica?
“La sfida climatica è la più difficile da vincere. Le cose peggioreranno sempre di più se non acceleriamo la transizione. Possiamo farlo rapidamente creando condizioni favorevoli per la diffusione delle comunità energetiche che tantissime comunità nel paese vogliono realizzare, dando slancio ai progetti di agrivoltaico ben finanziati dal PNRR. E rendendo più cospicuo il credito d’imposta per gli imprenditori che si rendono autonomi autoproducendo la propria energia. Allo stesso tempo dobbiamo investire nella qualità della rete (Smart grid) ed evitare la dipendenza nella produzione di batterie e pannelli dalla Cina. La tecnologia ci dà ampi margini di manovra da questo punto di vista…non è la stessa cosa di dipendere dai paesi arabi per il petrolio o dalla Russia per il gas “.
Quanto è “conveniente” (dal punto di vista economico) la pace? Le istituzioni, nazionali e internazionali, dovrebbero ascoltare di più la società e attivare processi generativi della cittadinanza?
“La guerra è una follia del genere umano. Certe volte mi chiedo se chiamarci homo sapiens non sia sopravvalutarci. Purtroppo la volontà di potenza di leader in paesi non democratici non trova confini o limiti e situazioni come quelle dell’invasione russa in Ucraina possono accadere anche nel terzo millennio. Non c’è dubbio che la guerra è puro masochismo e non ha nessun vincitore. Prova ne sono le sofferenze che subiscono non solo gli aggrediti ma anche gli aggressori con il pesante bilancio di vittime, distruzioni e conseguenze economiche negative . L’antidoto alla guerra e allo scoppio di nuove guerre è la cittadinanza attiva. Un dato singolare e comune di Russia e Ucraina è la bassissima presenza di società civile, reti di terzo settore e cittadinanza attiva che crea un panorama desolato di popoli fatti di persone sole che dipendono da un leader. Dobbiamo rinforzare con nuove idee e processi la cittadinanza attiva da noi per tenere sempre vivi i giusti anticorpi come scrivo nell’ultimo libro edito dall’Emi ‘La rivoluzione della cittadinanza attiva’ che racconta le migliori pratiche in materia”.