Il basket è uno sport che eleva verso il cielo perché porta a guardare in alto, ha detto papa Francesco nel 2021 ricevendo la delegazione della Federazione italiana pallacanestro (Fip) nel centenario della fondazione. E ha cominciato a farlo il 21 dicembre 1891, quando in un college statunitense si è disputata per la prima volta, in via sperimentale, una partita, su un’idea di un professore di educazione fisica, James Naismith, che cercava un’attività da far fare al chiuso ai suoi studenti durante l’inverno. Così l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha istituito la Giornata mondiale della pallacanestro proprio in questa data. “Il basket è stato riconosciuto fin da subito come utile e importante per la formazione delle persone e si aggiorna di continuo, pur mantenendo il proprio spirito”, dice a Interris.it il “vate” della pallacanestro italiana Valerio Bianchini, “è uno sport che richiede il rispetto morale e fisico dell’avversario”.
Il “vate” della palla a spicchi tricolore
Recente Palma d’oro al merito sportivo CONI, riconoscimento assegnatogli l’11 novembre al Consiglio federale della Fip, Bianchini è stato il primo italiano a vincere tre scudetti con tre differenti squadre, a Cantù, a Roma e a Pesaro. Il suo palmares comprende anche due Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Coppa delle Coppe, oltre a un biennio sulla panchina della nazionale a metà degli anni Ottanta. Tutto è iniziato dall’incontro con la palla a spicchi all’oratorio, nella Milano del Secondo dopoguerra. “Ero un bambino immerso nei libri d’avventura, finché mia madre non mi ha portato in parrocchia. Lì ho conosciuto il basket e l’Azione cattolica. Grazie a questo sport ho incontrato la vita vera, autentica”, racconta Bianchini. “Per me fede e sport sono andate di pari passo, è stato piuttosto naturale”, aggiunge.
Disciplina nello sport e nella vita
Nel suo discorso di tre anni e mezzo fa, il Santo Padre ha sottolineato l’importanza della disciplina, sia fisica che interiore, che lo sport richiede a chi lo pratica e lo aiuta a “mettere ordine nella propria vita”. “La retta via per un atleta, intesa in senso laico, sono il corpo e la mente”, commenta Bianchini, “senza l’impegno, la fatica e la passione non si raggiungono gli obiettivi”. Un ragazzino che entra in una squadra comincia una nuova vita, ragiona l’ex allenatore, fatta delle regole da rispettare, in campo ma non solo, per imparare l’ubbidienza, l’empatia, il controllo delle emozioni. “Lo accetti solo se hai una grande passione, una fede”, chiosa, “lo sport insegna tante cose, è un formidabile elemento formativo”.
Fratelli di squadra
Gli sport di squadra sono una “medicina contro l’individualismo delle nostre società” perché ci ricordano il valore della fraternità, ha detto papa Francesco. “Lo sport ‘impone’ la fratellanza”, afferma Bianchini, “il singolo atleta vince quando vince tutta la squadra”. L’ex allenatore ricorda la sua esperienza in Libano, sulla panchina di un college cattolico: “Quel Paese è un mosaico di religioni diverse. In squadra avevo giocatori di fede islamica, i cristiani maroniti e altre confessioni, ma quando entravano in campo erano tutti fratelli, senza differenze”.
Il messaggio
Alla fine dei tempi regolamentari e dell’eventuale extra time, c’è una squadra che esce dal parquet festeggiando la vittoria e l’altra triste per la sconfitta. “Nella poesia ‘Se’, lo scrittore inglese Rudyard Kipling ci dice che dobbiamo imparare a trattare come impostore sia l’una che l’altra”, osserva Bianchini. Se la prima ti esalta al punto da farti perdere contatto con la realtà, la seconda rischia di far venire meno la motivazione. Ciò che conta è l’atteggiamento nei confronti dei risultati. “Nello sport si vince e si perde: ho vinto tre scudetti giocando sei finali. E’ una la logica che ti insegna a tenere duro. Se hai quella passione, quella fede, superi tutto e torni a vincere. Il messaggio, meraviglioso, è non rinunciare mai”, conclude.