Quest’anno ricorre il trentunesimo anniversario dalla strage di Capaci in cui il 23 maggio 1992 per mano della mafia hanno perso la vita, lungo l’autostrada per Palermo, il magistrato Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta. Cinquantasette giorni dopo, il 19 luglio, in un secondo attentato, in via D’Amelio, sono stati uccisi Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta. Nello stesso giorno si celebra la Giornata della Legalità per ricordare tutte le vittime della mafia. Interris.it ha intervistato il dottor Giuseppe Maria Ayala – magistrato, collega e amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – che ha scritto alcune delle pagine più importanti e memorabili della lotta alla mafia, tra cui il maxiprocesso di Palermo che ha segnato un momento di fondamentale importanza nell’affermazione della legalità nel contrasto al fenomeno mafioso. È stato senatore e membro della Commissione Giustizia nonché Sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia dal 1996 al 2000.
L’intervista
Dottore, il 23 maggio ricorre l’anniversario della strage di Capaci. Cosa ricorda di quei drammatici momenti?
“Quel weekend, mia moglie, che era rimasta a Palermo, ha manifestato il desiderio di raggiungermi a Roma e passare lì il fine settimana. Questo è il motivo per cui non mi trovavo sull’aereo e poi sulla macchina con Giovanni Falcone, come spesso accadeva. Potevo essere anche io insieme a lui, come molte altre volte. In quel momento mi trovavo a Roma, mi ha chiamato mio figlio dicendomi di accendere la televisione perché era successo qualcosa a Giovanni. Ho appreso così quello che era successo. Mi sono fiondato all’aeroporto e li è successo un episodio che ricordo con gratitudine: il personale di terra mi ha detto che l’aereo per Palermo era pieno e quindi non avrei potuto prenderlo. Dopo pochi minuti, mi hanno comunicato che un passeggero mi aveva ceduto il posto. Non ho mai saputo chi fosse ma, in quel momento, mi è sembrato il più bel regalo che mi si potesse fare. Quindi, nel tardo pomeriggio, sono giunto a Palermo, la scorta mi ha portato all’Ospedale Civico e, purtroppo, sono andato nella camera mortuaria dove c’era Giovanni. Mi è venuto d’istinto di prendergli le mani e sono scoppiato a piangere. Da quel momento mi sono dovuto abituare all’idea di non avere più accanto a me il più grande amico che io abbia mai avuto nella mia vita. Tra di noi c’era un legame nato per motivi di lavoro che però era diventato fraterno. Mi chiamava il fratellino minore perché eravamo nati lo stesso giorno dello stesso mese, il 18 maggio, lui del ’39 ed io nel ’45 e abbiamo festeggiato insieme dieci compleanni. Visto la forza del legame che ci ha uniti, molte volte, mi capita di dire a me stesso ‘se ci fosse Giovanni’ e ‘se ne potessi parlare con Giovanni’. Lui è sempre presente nel mio cuore e nella mia mente”.
Cosa ci ha insegnato Giovanni Falcone nella lotta alla mafia?
“Quando mi chiedono di definire Giovanni Falcone con una sola parola, uso il termine ‘innovatore’. Lui aveva un orizzonte molto al di là di quello comune. Ha inventato il cosiddetto ‘metodo Falcone’, ovvero una metodologia completamente innovativa, pur sfruttando le norme che esistevano da tempo e per cui è nato il pool antimafia. Questo metodo ha riguardato anche me, in quanto io non ero giudice istruttore ma un pubblico ministero. Giovanni però ha avuto un’idea innovativa: il giudice istruttore, terminata l’istruttoria, usciva di scena, ma tutta la partita si giocava al processo nel quale, i giudici istruttori, non potevano andare. Giovanni pensò quindi di coinvolgere un pubblico ministero nelle indagini al fine di metterlo nelle migliori condizioni per sostenere il lavoro del giudice istruttore al dibattimento, cioè al momento della partita vera che è rappresentata dal processo. Quindi, io sono stato coinvolto da Giovanni con una manifestazione di stima e di fiducia. Eravamo in 25 alla Procura della Repubblica, io ero l’ultimo arrivato, ma la scelta è caduta su di me. Da quel momento è iniziata una fortissima collaborazione, ed anche questo suo aspetto innovativo è stato estremamente importante. Quando, ad esempio, cito il maxiprocesso, avendo seguito l’istruttoria, padroneggiavo l’enormità di questo processo. Invece, se me lo fossi trovato senza averci mai messo mano prima, sarebbe stato un po’ più complicato. Il risultato del maxiprocesso è sotto gli occhi di tutti: 19 condanne all’ergastolo, tra cui tutti i capi di Cosa Nostra e, tra gli altri imputati, sono stati distribuiti 2665 anni di carcere. Lo Stato non aveva mai raggiunto un risultato di questo genere. Quella sentenza è importante non solo per le condanne che ho ricordato, ma perchè c’è tutto ciò che bisogna sapere in merito alla mafia, sulla quale invece prima, si sapeva ben poco. Ciò è avvenuto anche grazie ai collaboratori di giustizia, basti ricordare Tommaso Buscetta che è il più noto di tutti. Quindi, tale sentenza, è un patrimonio lasciato ai colleghi più giovani che sono venuti dopo di noi e si sono ritrovati con una conoscenza approfondita sul tremendo fenomeno criminale che la magistratura deve fronteggiare. Quindi, questa è stata la grande eredità del pool antimafia che vale ancora oggi. Non si pensi che, ad oggi, la mafia sia stata sconfitta, ma sono sicuro di due elementi: ha cambiato strategia e non uccide più da oltre 31 anni, abbandonando le azioni stragiste che, purtroppo, fino al 1993, hanno ampiamente messo in opera. Non si pensi però che questo fenomeno criminale è stato sconfitto. Mi sento di affermare che, la mafia, sta attraversando un periodo di difficoltà e non è in buona salute. Non dobbiamo pensare che, siccome non ci sono più stragi e omicidi, la mafia non ci sia più. C’è sempre, è indebolita, ma bisogna continuare a contrastarla con assoluta determinazione”.
Nella giornata del ricordo della strage di Capaci si celebra anche la Giornata della Legalità, che messaggio vorrebbe lanciare alle giovani generazioni?
“È un elemento in cui credo moltissimo ed è la finalità della Fondazione Falcone di cui la sorella di Giovanni è presidente ed io vicepresidente. Da molti anni siamo impegnati nel dare un contributo alla formazione dei giovani, parlando con le scuole e le università, sia per ricordare in quanto, la memoria, anche quella drammatica, è un patrimonio molto importante, ma soprattutto serve ad aiutare i giovani a comprendere la straordinaria importanza che, nella società civile, deve avere il rispetto delle regole e l’affermazione del primato della legalità in generale, non soltanto con riferimento alla mafia. Credo che questo sia un obiettivo fondamentale perché, molti dei giovani di oggi, saranno la futura classe dirigente del paese e quindi è importante aiutarli a comprendere l’essenzialità della legalità per la qualità della vita sociale e civile. Ciò è una priorità e, tutti quelli che sono impegnati su questo fronte, rendono un servizio importante alla collettività.”