La Giornata Internazionale della Pace è stata istituita il 30 novembre 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 36/67. Questa celebrazione nasce dalla volontà di creare un giorno all’insegna della pace mondiale e della non violenza.
La storia della giornata
Inizialmente la Giornata Internazionale della Pace veniva celebrata il terzo giovedì di settembre, ma dal 2001 è stato individuato un unico giorno: si celebra il 21 settembre di ogni anno.
Una risoluzione simbolica ma importante, che esorta gli Stati membri dell’ONU, le organizzazioni governative e non e certamente tutti gli individui a impegnarsi in questo giorno nel promuovere azioni educative che sensibilizzino sul tema della pace globale.
In un mondo tanto martoriato dai conflitti, questa giornata suona oggi come il classico “pugno nello stomaco”.
Dai recenti fatti dell’Afghanistan, ai conflitti ormai endemici come la guerra in Siria e quella in Yemen, fino ai conflitti meno veicolati dai media, come quelli che interessano tantissime minoranze nel mondo. Questa giornata vuole far luce su tutte le guerre, perché il primo passo per la fine di ogni ostilità risiede nella consapevolezza comune che la guerra è sempre ingiusta.
Abbiamo parlato con chi ha raccolto la testimonianza di un grande uomo di pace, il Servo di Dio Tonino Bello, per nove anni del movimento pacifista internazionale Pax Christi: Renato Brucoli, giornalista scrittore ed editore di molti libri e scritti sul vescovo leccese, è stato a fianco di don Tonino negli anni del suo episcopato molfettese come direttore del settimanale diocesano Luce e Vita.
È ancora possibile sperare in un futuro di pace in un mondo tanto malmesso, dove la pandemia non ha fatto altro che acuire le sofferenze e le diseguaglianze?
“Il motto popolare dice che la speranza è l’ultima a morire. Vale anche per la pace. Con l’accortezza, suggerita da don Tonino Bello, che ‘chi spera, intende cambiare la storia, non subirla; costruire il futuro, non attenderlo soltanto; diventa coscienza critica del mondo, non rimane succube delle sue dominanti culturali’. La pandemia ha introdotto un momento assolutamente critico per le sorti dell’umanità, non ancora del tutto superato. Ma non è il primo, e forse non sarà l’ultimo. A ben vedere, le maggiori insidie sono derivate dall’irresponsabilità di alcune persone preoccupate solo di se stesse, e dall’indisponibilità di quanti reggono le sorti dei popoli ad affrontare la pandemia su base planetaria. Il pari per la pace: è frenata dalla corazza di egoismo e d’indifferenza che in ci portiamo addosso, preoccupati più dell’“io” che del “noi”. Non ci sono, allora, vie d’uscita? Direi proprio di no: le difficoltà non hanno mai frenato, ad esempio, l’azione profetica dei testimoni di pace. Forse che don Tonino non si è recato a Sarajevo con altri cinquecento “folli” in piena guerra dei Balcani? Forse che san Francesco d’Assisi si è astenuto dal raggiungere il sultano Malik-al-Kamil ‘armato’ di solo saio e fede? Il cristiano autentico sa che il Vangelo non è omologabile alla mentalità corrente, e la sfida per sovvertirla. Anche e soprattutto nella difficoltà”.
Come giudica l’uscita di scena dell’Occidente dall’Afghanistan, consegnato al regime talebano?
“L’occupazione occidentale dell’Afghanistan non ha coinciso con la “missione di pace” venduta per vent’anni con furbo eufemismo dall’ambito politico. È impossibile suscitare la pace, come la democrazia, armi alla mano. Credo lo capiscono anche i bambini. Il fallimento è in questa modalità d’intervento. Io sono amico di un militare di carriera che è stato in Afghanistan per due semestri, a guardia di una base italiana. Ha guadagnato bene, circa cinquemila euro al mese. L’esperienza ha arricchito il suo curriculum militare. Ma quando gli ho chiesto se gli è sembrato di aver lavorato in qualche momento per favorire la crescita di un clima di pace presso la popolazione afghana, mi ha risposto con un secco e risoluto “no”. Per circa un anno ha tenuto l’arma puntata contro chiunque si avvicinasse alla base militare, durante estenuanti turni di guardia. La pace è altra cosa. Don Tonino Bello diceva che è alterità, dialogo, accoglienza, uguaglianza, giustizia, rispetto della dignità altrui, solidarietà, promozione umana… “
“Giustizia e pace si baceranno” recita il salmo, ma la giustizia sembra essere un’utopia irraggiungibile. Che cosa si deve cambiare per ottenere veramente un mondo più pacificato?
“Citi il salmo 85, ma potresti anche citare il profeta Isaia 32,17 che sostiene: ‘frutto della giustizia sarà la pace’. Allacciamenti adulterini, si chiedeva don Tonino Bello? Tutt’altro: verità bibliche! Intuizioni profonde, portentose, che legano la pace non solo al disarmo, laddove il denaro equivalente potrebbe comunque essere speso per alimentare milioni di persone che ancora soffrono la fame e la denutrizione nel mondo, o per costruire scuole e ospedali, ma anche per conseguire azioni più radicali, come ridurre il divario economico tra i Nord e i Sud della terra o rimettere il debito pubblico dei paesi in via di sviluppo. Al contrario, lo sfruttamento indiscriminato di persone e risorse per avidità, ha generato logiche coloniali e imperialiste nel passato, come l’impoverimento ambientale e di intere popolazioni nel presente, dando luogo a conflitti sociali e flussi migratori. Voglio dire che la pace non è un colpo di magia, ma è strettamente collegata con azioni di giustizia e salvaguardia del creato a livello planetario. È di forte ostacolo alla pace, ad esempio, che ristretti gruppi di persone detengano il grosso delle ricchezze e degli interessi economici mondiali. È a favore della pace, invece, il cambio degli stili di vita ora appiattiti sulla necessità del consumo in ascesa esponenziale. In questo modo l’utero della pace rimarrà sterile a lungo, e inappagato il desiderio di giustizia”.
Che cosa direbbe oggi ai giovani, sulla pace, il Servo di Dio don Tonino Bello?
“Due cose, principalmente: affermerebbe una consapevolezza e rilancerebbe un invito. La consapevolezza è che la pace è sempre ‘a caro prezzo’. Non illudiamoci che possa essere diversamente! Non la si consegue se non con il sacrificio, l’impegno, la conoscenza della realtà, il coinvolgimento personale, il gesto umano, gratuito e solidaristico. Quindi rivolgerebbe ai giovani un invito: ad essere ‘artigiani di pace’. Cioè a promuovere questo valore nella vita di ogni giorno: a scuola, in famiglia, con gli amici, accogliendo e sostenendo il coetaneo afghano o nigeriano che vive nel quartiere… E la stessa cosa proporrebbe agli adulti desiderosi di promuovere la pace dal basso: gesti concreti di perdono, di accoglienza, di rispetto altrui. La convivialità delle differenze si consegue anche per questa via. Nessuno dovrebbe sentirsi troppo piccolo e inutile, in questo cammino. Nessuno dovrebbe tirarsi fuori. ‘Per la pace fatti in quattro pure tu’, direbbe don Tonino. Ancora oggi”.