“Ai giovani d’oggi dico di avere il coraggio di osare per riuscire a scoprire i propri limiti in modo da decidere scientemente quando e come ‘alzare l’asticella’, ma sempre con lo scopo ultimo di stare bene con sé stessi ed accettarsi”. A dirlo a In Terris non è una persona qualunque, ma Arjola Trimi, campionessa paralimpica di nuoto.
Alle Paralimpiadi di Tokyo, Arjola ha conquistato i suoi primi due ori olimpici vincendo la gara dei 50 metri dorso categoria S3, e i 100m stile libero [in video, ndr]. Sempre durante la kermesse giapponese, ha vinto anche la medaglia d’argento nella staffetta mista 4×50 stile libero insieme a Giulia Terzi, Luigi Beggiato e Antonio Fantin.
La vita di Arjola Trimi
Classe 1987, albanese di nascita e trasferitasi a Milano all’età di due anni, Arjola è affetta da tetraplegia, malattia invalidante diagnosticata a 12 anni. Sportiva sin da bambina – giocava a basket – si appassiona al nuoto nel 2012, dopo aver scoperto di essere affetta dalla malattia degenerativa.
“Mi viene diagnostica una malattia ingravescente che non lascia molto al fato – ha raccontato l’atleta in diverse interviste – tetraplesi spastica degenerativa di natura verosimilmente ereditaria“.
Arjola è stata costretta ad abbandonare il basket, ma durante le sessioni di idroterapia svolte in ospedale ha scoperto una nuova passione, quella per l’acqua. Il nuovo è diventato così la sua nuova vita per il senso di libertà che questo sport riesce a darle. Debutta in una competizione internazionale ai campionati mondiali di Montréal 2013, ottenendo 2 medaglie d’argento e 2 di bronzo.
L’anno successivo, ai campionati europei di Eindhoven 2014 migliora il suo bottino di medaglie, conquistando 3 ori ed un argento. Nel 2015, ai campionati mondiali di Glasgow ottiene una medaglia d’argento ed una di bronzo. Nel 2016 prende parte ai campionati europei di Funchal, dove nei primi 4 giorni di gare ottiene una medaglia d’oro, 2 d’argento ed una di bronzo. Poi, le paralimpiadi di Tokyo, che la vedono ben due volte sul gradino più alto.
In Terris l’ha intervistata al rientro in Italia, durante il meritato riposo, prima della ripresa degli allenamenti in vista dei mondiali di nuoto.
L’intervista alla campionessa olimpica Arjola Trimi
Lei soffre di tetraparesi spastica degenerativa diagnosticata a 12 anni. Come ha vissuto la sua adolescenza e la giovinezza con questa malattia?
“Una diagnosi di questo tipo in giovane età non ti dà molto la possibilità di goderti l’adolescenza. Per poter affrontare il momento devi crescere molto velocemente e saltare/vivere in modo differente alcune tappe della vita, una tra queste l’adolescenza. Ho dovuto affrontare periodi molto lunghi di degenza ma, nonostante tutto, ricordo i weekend con gli amici, le gite, i sabato sera al bowling o al pub o semplicemente a mangiare qualcosa fuori. Piccole cose che rompono la routine da “grande” e ti fanno tornare adolescente”.
Quali sono le persone che le sono state più di aiuto nella sua carriera sportiva così come nella vita e perché?
“Diciamo che i due ruoli vanno a braccetto, la mia famiglia ha sempre creduto in me e mi ha sempre sostenuta e spronata, anche a livello sportivo oltre che nella vita di tutti i giorni. Sostenere dei ritmi come quelli dettati dalla mia routine giornaliera (lavoro, allenamenti, famiglia ed eventuali visite/fisioterapia) richiede un grande lavoro di squadra, ancor di più nei primi anni in cui non ero autonoma. Nella carriera sportiva ci sono state due donne ad aver dato una svolta alla mia vita, la prima Raffaella Agape, istruttrice per l’avviamento sportivo, mi ha insegnato a capire il mio corpo e ad affrontare da una prospettiva differente la mie abilità residue piuttosto che incaponirmi su quelle che avevo preso… passaggio fondamentale per la mia vita quotidiana e per quello che, da lì a poco, sarebbe diventato parte del mio futuro: il nuoto agonistico”.
La seconda persona?
“La seconda persona è la mia allenatrice, Micaela Biava. Negli anni (quasi 9) abbiamo imparato a conoscerci e a fidarci, io delle sue competenze e delle sue scelte, lei della mia capacità di capire i miei limiti e della necessità e caparbietà nel volerli superare/alzare l’asticella”.
Cosa le ha dato lo sport in generale e il nuoto nello specifico?
“Lo sport è una forma mentis: ti insegna ad affrontare la vita. Ti fa capire che per arrivare a vincere devi impegnarti, il talento non basta, devi essere costante, devi volerlo, devi saperti organizzare e soprattutto ‘devi saper scegliere’ perché lo sport, in questo caso il nuoto, non è un sacrificio ma è la scelta che faccio tutti i giorni, perché mi piace ma soprattutto mi fa stare bene”.
E poi arrivano anche le vittorie…
“Sì. Ma non sono le vittorie che insegnano di più; sono le sconfitte”.
Perché?
“Perché quando perdi devi riuscire a rialzarti, devi volerlo, devi capire perché sei ‘caduto’ e trovare le forze per rimetterti a lavoro. Il nuoto per me è tutto questo: la scelta giornaliera che mi fa stare bene, mi fa sentire libera e che mi permette di confrontarmi con i miei limiti (e, a volte, di superarli)”.
Quali emozioni ha vissuto nel partecipare e nel vincere i suoi primi 2 ori alle paralimpiadi? E quali sono i suoi prossimi impegni?
“Le emozioni sono immense: inizialmente sei stordito, travolto da gioia, incredulità, esultanza. Personalmente, vivo i grandi successi in modo ‘intimo’, nel preciso istante in cui capisco quello che ho fatto, è come se ripercorressi in pochi secondi tutto il percorso fatto per arrivare a quella medaglia. I prossimi impegni non lo so ancora, sono tornata da 20 giorni da Tokyo e vorrei godermi questo periodo di stop, ma spero di farmi trovare pronta per i prossimi mondiali di nuoto, nel 2022”.
Quale messaggio vorrebbe lasciare alle persone in generale e in particolare ai giovani d’oggi?
“Ai giovani d’oggi, ma lo estendo a tutti, dico di avere il coraggio di osare per riuscire a scoprire i propri limiti in modo da decidere scientemente quando e come ‘alzare l’asticella’, ma sempre con lo scopo ultimo di stare bene con sé stessi ed accettarsi. L’accettazione arriva dalla consapevolezza e di conseguenza tutto quello che si fa, lo si fa per stare bene ed essere felici”.