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Arcivescovo Massara: il grido dei lavoratori non cada nel silenzio

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Sono passati tre decenni dalla storica visita di San Giovanni Paolo II alle fabbriche di Fabriano e Matelica. Si resta sgomenti nel riscontrare la drammatica lungimiranza della sua profetica analisi sociale ed economica: “V’è un obbligo morale di provvedere ad una sana politica di investimenti nella qualità dei prodotti e nel rinnovamento tecnologico, ma v’è anche un concomitante obbligo morale di rispetto…” disse Karol Wojtyla. Rispetto per chi e per cosa? Innanzitutto per la dignità dei lavoratori e per la tutela dell’ambiente. Poi rispetto per il contenuto etico dell’occupazione che non può mai essere sostituito dai pur necessari sussidi temporanei o interventi di sostegno che rischiano di risolversi in un boomerang per la dignità della persona. “Chi è disoccupato o sottoccupato, finisce ai margini della società, diventa vittima dell’esclusione sociale. Il lavoro è portare il pane a casa con dignità”, ha ribadito Papa Francesco, incontrando le maestranze dell’acciaierie in crisi.

Qui entra in campo l’indispensabile ruolo di portavoce di chi non ha voce tradizionalmente svolto dalla Chiesa nei momenti più bui di una comunità. Per secoli, in mezzo a carestie e privazioni collettive, le guide spirituali del popolo di Dio si sono fatte carico delle sofferenze della gente, portando alle istanze superiori il grido di aiuto delle fasce più deboli e sfruttate. La necessità non è solo quella di approntare “una tantum” misure emergenziali, bensì prioritariamente quella di intervenire strutturalmente per mettere fine alla tragica insicurezza che mina alle basi la convivenza civile e la progettualità familiare.

Il Concilio Vaticano II ha ricucito la frattura tra fede e vita. Pochi anni dopo la liberazione dell’Europa orientale è avvenuta proprio dallo slancio religioso delle masse di operai, contadini. E studenti a partire dal sindacato di Solidarnosc. Oggi, in Italia e nel resto dell’Occidente, quel vento di solidarietà e di mobilitazione delle coscienze, sembra sopito. Invece mai come ora si avverte l’urgenza di un’interlocuzione a tutto campo, che riporti allo stesso tavolo, per una costruttiva concertazione, i soggetti del processo produttivo nella nostra società globalizzata.

Non fatico a mettermi nei panni di un operaio che dopo decenni di competente e responsabile impegno lavorativo trova chiusi i cancelli della sua azienda. Frustrazione, senso di impotenza e alienazione albergano nell’animo di chi vede minacciato il suo status e la propria vocazione lavorativa. Evangelicamente a repentaglio non è solo il corpo ma anche lo spirito. Non manca solo il pane ma anche la consapevolezza di una presenza nel mondo.

Il contenuto valoriale dell’occupazione attiene direttamente a quella dignità umana che la dottrina sociale mette a fondamento della vita comunitaria. Gesù impara nella bottega del falegname San Giuseppe la sacralità del lavoro. Nel vostro pastore troverete sempre un compagno di strada e la mia porta è sempre spalancata. Il vostro dolore è il mio dolore e, come sono impegnato a fare per altre emergenze sociali, sono pronto ad essere portatore a qualunque livello di legittime e sacrosante richieste di dialogo.

Il mio accorato appello a tutte le istituzioni e a ciascuna responsabilità pubblica e privata è quello di non abbandonare in una logorante incertezza le tante famiglie che aspettano una sistemazione definitiva ai loro problemi. Ogni concreta mediazione, utile a sbloccare lo stallo, deve essere tentata. Sono vicino ai lavoratori della JP e sollecito paternamente e con fervida partecipazione chiunque abbia titolo ad esercitare una responsabilità a dare una risposta stabile ai lavoratori che da anni sopportano una condizione di precarietà e impossibilità a progettare il futuro. Fabriano si rialza se i suoi figli tornano ad esercitare l’operosa identità che ha scritto gloriose pagine di storia.

Nel vuoto di rappresentanza che funestava il medioevo, il Vescovo è stato “defensor civitatis”. Nessuna strada che sarà possibile intraprendere, mi resterà estranea. Non si pensi di confinare nel silenzio l’insopportabile ingiustizia del povero. San Vincenzo de Paoli ci insegna che la giustizia è la prima forma di carità e il Servo di Dio don Oreste Benzi ripeteva sempre: “Non si dia per carità ciò che spetta per giustizia”.

Mons. Francesco Massara: