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Antonelli: “Come l’uomo e le specie selvatiche possono coesistere”

Nell'immagine: a sinistra Marco Antonelli (per gentile concessione). A destra, in alto foto di Pixabay: https://www.pexels.com/it-it/foto/1-elefante-accanto-a-baby-elephant-66898/, in basso Foto di Pixabay: https://www.pexels.com/it-it/foto/orso-grizzly-che-cammina-accanto-allo-stagno-162340/

Il pianeta è sempre più povero di biodiversità, per quanto riguarda gli animali selvatici. In poco più di cinquant’anni è scomparso il 69% dell’abbondanza delle popolazioni di specie che comprendono mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, tra l’1 e il 2,5% si è estinto. In Centro e in Sud America il calo delle popolazioni monitorate è stato un crollo, pari al 94%. Dati da ricordare, in occasione della Giornata mondiale della Terra, e contenuti nel Living Planet Report 2022, la pubblicazione biennale del Wwf, giunta alla 14esima edizione, che monitora lo stato delle specie viventi e degli habitat a livello globale. “I dati sono drammatici, le specie osservate hanno perso i due terzi dei loro individui”, dice a Interris.it Marco Antonelli, esperto di conservazione della fauna selvatica del Wwf Italia. Il naturalista ha risposto alle nostre domande sulle cause di questa perdita di biodiversità, sulle specie in pericolo ma anche sulle buone pratiche che consentono di salvarne altre dalla scomparsa, sia in ottica globale che locale, concludendo con una “pillola” su come comportarsi in caso di incontro un animale selvatico.

Le cause

Fattori antropici, il consumo del suolo e il traffico di specie, e ambientali, alcuni effetti del cambiamento climatico, spiegano la perdita di esemplari. “Parte della foresta equatoriale in Sud America è stata distrutta per fare spazio alle monocolture intensive, abbattendo così i livelli di biodiversità”, spiega Antonelli. Mentre animali con parti del corpo “interessanti” per il loro pregio o per usi nelle pratiche tradizionali, come gli elefanti con le zanne d’avorio – “ne vengono uccisi 20mila l’anno”, continua -, i rinoceronti per l’osso del loro corno e i pangolini per le scaglie della corazza, finiscono nel mirino del mercato nero. Anche il cambiamento climatico è un pericolo per la sopravvivenza, “l’aumento delle temperature media incide sul calo di quelle specie più sensibili a queste alterazioni”, aggiunge l’esperto dell’organizzazione ambientalista.

Buone e cattive notizie

In questo scenario negativo ci sono pure alcune popolazioni che tornano a crescere, il panda, la tigre e la lince iberica. L’animale simbolo del Wwf, da che era al limite dell’estinzione è risalito a circa duemila individui, rappresenta “un successo di conservazione”, dichiara Antonelli. Il naturalista racconta l’aumento della tigre, da duemila-2.300 esemplari ai circa cinquemila di oggi in un decennio, “grazie agli sforzi contro il bracconaggio e per la conservazione del suo habitat”, e della lince iberica, presente solo in Spagna e in Portogallo, che in vent’anni è passata da poche decine di individui a oltre 1.600, “grazie progetti di allevamento in cattività e reinserimento in natura e di reintroduzione delle specie di cui si nutre”. In “casa nostra”, per una specie che si ripopola, il lupo (3.300 individui), per il divieto di caccia e l’abbandono di aree abitate, una è a rischio estinzione, l’orso bruno marsicano. “Ce ne sono solo 50-60 esemplari, nei parchi nazionali tra Abruzzo, Lazio e Molise e nelle zone limitrofe, e ogni anno un paio sono uccisi illegalmente dall’uomo o restano vittime di incidenti stradali”, illustra Antonelli.

Coesistere

Quando lupi e orsi finiscono sulle cronache dei giornali, spesso si tratta di casi che alimentano il dibattito pubblico. Secondo l’esperto di conservazione della fauna selvatica, si può arrivare a una convivenza tra persone e animali selvatici, con la consapevolezza che il rischio zero non esiste. “Occorre lavorare sulla conservazione di questi animali, importanti per la diversità biologica, cercando di mitigare ciò che li minaccia”. E poiché potrebbero entrare in conflitto con la gente del posto, “impegnarsi per la loro accettazione sociale, anche perché rappresentano pure un valore culturale per le zone che abitano, attraverso l’informazione, la sensibilizzazione e le buone pratiche, che abbattono i pericoli e consentono di proteggere gli allevamenti”.

Come comportarsi

In conclusione, Antonelli spiega cosa è meglio fare per evitare di imbattersi un animale selvatico che potrebbe rappresentare un pericolo mentre si è immersi nella natura o quando se ne incontra uno. “Far notare la nostra presenza, parlando o in altri modi. In Nord America consigliano di attaccare un campanellino allo zaino quando si fa un’escursione. Queste specie infatti hanno sviluppato abilità elusive, se ci sentono cercano di evitarci”. In caso se ne avvisti qualcuno, “restare ad almeno 100-150 metri di distanza e, se si è più vicini, parlare, farsi notare, in modo tale che l’animale possa allontanarsi”.

Lorenzo Cipolla: