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Angelo Scelzo a In Terris: “Non lasciamo la comunicazione alle macchine”

Parla l’ex vicedirettore della Sala Stampa vaticana, unico laico a ricoprire il ruolo di sottosegretario al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Il Papa ha salutato con grande calore Angelo Scelzo al Giubileo della Comunicazione che si è svolto in Vaticano. Sulle nuove sfide dell’informazione, In Terris ha intervistato l’ex vicedirettore della Sala Stampa vaticana, unico laico a ricoprire il ruolo di sottosegretario al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. In precedenza è stato cronista al Mattino di Napoli, caporedattore di Avvenire, segretario di redazione dell’Osservatore Romano, vicedirettore del quotidiano L’Informazione, responsabile della comunicazione del Giubileo del 2000 e direttore dell’agenzia vaticana Fides. E’ anche autore di numerosi libri, tra i quali “La penna di Pietro”, sulla comunicazione vaticana dal Concilio a Papa Francesco e “Il Giubileo. La Misericordia. Francesco”, entrambi editi dalla Libreria Editrice Vaticana.

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Udienza di Papa Francesco ai giornalisti per il Giubileo della Comunicazione, 25/01/2025 (foto Vatican News)

L’intelligenza artificiale, come ha ribadito la nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, è sia un’opportunità sia un rischio per l’umanità. In che modo può incidere sull’informazione?
“Non possiamo ritenere uno strumento, in sé, come un bene o come un male. Lo strumento è ontologicamente neutro. È però evidente che le nuove tecnologie, legate all’intelligenza artificiale, incidano in modo radicale su tutti gli ambiti nei quali opera l’uomo e, inevitabilmente, anche sull’informazione. In buona sostanza, con un algoritmo, una formula matematica, si può creare un testo, si possono avere informazioni complesse in pochi secondi, creare grafiche innovative, scrivere un libro o addirittura comporre una canzone. La domanda che ci poniamo è semplice: e l’uomo? Il rischio è che anche la comunicazione possa essere ‘presa in mano’ dalle macchine che, per loro specificità, non hanno un cuore né etica”.

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Foto di Roman Kraft su Unsplash

A cosa si riferisce?
“Nel 2024 sorprese la scelta di papa Francesco nel dedicare il messaggio per la Giornata mondiale della pace proprio all’intelligenza artificiale. Il Santo Padre mise in guardia da un progresso tecnico-scientifico senza controllo che può rappresentare ‘un rischio per la sopravvivenza e un pericolo per la casa comune’. Andando nello specifico, ogni volta in cui scriviamo un articolo, pensiamo e ripensiamo al termine giusto da usare, alle ferite che una frase sbagliata può causare, alle conseguenze di quanto affermiamo. La macchina, che certamente facilita il nostro lavoro, non ha tutte queste accortezze. Le manca il cuore. E, invece, sempre papa Francesco, a ottobre scorso, ha pubblicato l’enciclica ‘Dilexit nos’ spiegandoci che ‘oggi abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore’. Tra i pericoli – sono ahinoi numerosi – aggiungo le problematiche relative alla professione giornalistica, già peraltro difficile. Il rischio è che le macchine prendano il posto dei giornalisti. E, invece, io credo che sia fondamentale consumare le suole delle scarpe, cercare le notizie, scrivere con la meticolosità degli artigiani di una volta. Le macchine non hanno cuore, i giornalisti hanno cuore e intelligenza. Inoltre l’Intelligenza artificiale utilizza materiali realizzati da esseri umani, analizzando in poco tempo miliardi di dati e parole. Il “trucco” è questo, ma le fondamenta sono gettate da uomini e donne che hanno dato il proprio tempo, e talora la propria vita, per avere informazioni e scrivere. Potremmo accusare le macchine di plagio o, nel migliore dei casi, di sapiente assemblaggio di materiale altrui”.

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Foto nicolasweldingh Unsplash

Quali sono le implicazioni etiche delle nuove tecnologie sulla comunicazione?
“Il Dicastero per la Dottrina della fede, pur rimarcando l’importanza delle innovazioni, avverte sul pericolo di un aggravamento del divario sociale, della marginalizzazione, della povertà, del divario digitale. Il potere sulle principali applicazioni dell’Intelligenza artificiale è nelle mani di poche e potenti aziende. Il pericolo vero è che anche la comunicazione, guidata dall’intelligenza artificiale, possa essere piegata al guadagno personale, a orientare l’opinione pubblica verso l’interesse di qualcuno. E, invece, credo che la comunicazione debba essere un baluardo di democrazia e di uguaglianza, fondata sulla verità e al servizio della collettività, soprattutto dei più fragili. La comunicazione nelle mani di pochi inoltre è un pericolo vero per la pace. In tempi recenti si parla con insistenza della ‘guerra ibrida’. Cioè di una guerra combattuta anche con le armi delle fake news e dell’influenza sui processi elettorali. La questione è sempre relativa all’uso che si fa delle nuove tecnologie. Un drone può essere utilizzato per portare farmaci in zone difficili da raggiungere, ma anche per bombardare una città considerata nemica. La comunicazione può essere strumento di pace, ma anche di guerra. ‘Nessuna macchina dovrebbre mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano’, ha detto il Papa al G7 di Borgo Egnazia, in Puglia, il 14 giugno 2024. Anche le nuove tecnologie, applicate alla comunicazione, possono essere parte di una strategia finalizzata a colpire civili innocenti, senza risparmiare nemmeno i bambini”.

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Foto di Nahrizul Kadri su Unsplash

Alla luce della sua lunga esperienza, quali sono le sfide più insidiose nel percorso odierno dei comunicatori?
“I comunicatori devono saper vincere alcune sfide e alcune tentazioni. La prima sfida è dominare il progresso, utilizzando le nuove tecnologie, in modo particolare gli strumenti messi a disposizione dall’Intelligenza artificiale, al servizio della verità. Facilitare il proprio lavoro non significa metterlo nelle mani di una macchina: al timone deve sempre rimanere il giornalista. La tentazione è il demandare agli algoritmi, alle tecnologie, cedere alla velocità che c’impone il nostro tempo. Un’inchiesta giornalistica richiede tempo e fatica, non si possono accettare scorciatoie che metterebbero a repentaglio la verità. Altra sfida è l’assunzione di responsabilità e consapevolezza sul proprio ruolo. Nel discorso consegnato ai giornalisti durante il Giubileo della comunicazione, papa Francesco ci ha chiesto di riaccendere la speranza, di creare ponti, di aprire porte. Mai cedere alla tentazione di dividere per dividere, di polarizzare, di semplificare la realtà. Inoltre, se la modernità ci costringe alla velocità, noi dovremmo avere il coraggio dello studio e della riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare, di metterci dalla parte dei più deboli e di chi vive ai margini della comunità umana. In ultimo la sfida è portare speranza”.

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Foto di Günther Simmermacher da Pixabay

Può farci un esempio?
“Il Santo Padre, sempre nel corso del Giubileo della comunicazione, ha parlato di ‘hopetelling’ e cioè del raccontare la speranza, tema dell’Anno Santo. Non che un giornalista debba celare una storia negativa: farebbe un torto alla verità. Francesco ci chiede però di lasciare ‘spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato’. Di ‘riparare ciò che è rotto’. Di ‘permettere di sperare contro ogni speranza’. Di ‘accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri’. Lo sguardo della speranza trasforma le cose in ciò che potrebbero e dovrebbero essere”.

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Foto di charlesdeluvio su Unsplash

Quanto incide la forza comunicativa di papa Francesco nell’informazione religiosa?
“La comunicazione vaticana è, da sempre, istituzionale, rigorosa nelle scelte sui contenuti, sulle forme, finanche sul lessico utilizzato. Papa Francesco, invece, sin dall’inizio del suo pontificato, da quel ‘fratelli e sorelle, buonasera’ del 13 marzo 2013, ci ha abituato a un linguaggio immediato, chiaro, efficace, popolare. Vuole arrivare al cuore delle persone e lo fa, per esempio, parlando di ‘cristiani dalla faccia di peperoncino’, che gli piacciono poco per via del loro atteggiamento triste e accigliato. Ci ha anche detto che non esiste un cristianesimo ‘low cost’ e che non è possibile essere ‘cristiani part time’. Le rassicuranti consuetudini sono state sbaragliate da una luna serie di ‘prime volte”. Ecco perché si può parlare di una duplice riforma nella comunicazione vaticana: il Santo Padre ha messo mano al cambiamento delle strutture, che ha reso più razionali nel loro funzionamento, ma ha anche impresso un cambiamento profondo nel linguaggio. In qualche modo lo stile comunicativo fa parte del magistero di un Papa e Francesco, con le sue espressioni, dalla ‘Chiesa in uscita’ allo stile sinodale, dalla Chiesa ‘ospedale da campo’ al ‘todos, todos, todos’ di chi non vuole chiudere le porte a nessuno, ha impresso un segno sulla pastorale di ogni diocesi, di ogni parrocchia, di ogni associazione cattolica nel mondo. Non si tratta solo di forma, ma di sostanza. ‘Misericordia’ e ‘perdono’ sono parole comuni nei discorsi del Pontefice, ma sono anche la sostanza di una Chiesa pronta ad accogliere”.

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Foto di Leon Seibert su Unsplash

In che modo?
“Papa Francesco fa comunicazione non solo con le parole, ma anche con i gesti. Ed è anche questo uno stile diventato abituale anche in ogni Chiesa particolare. Ricordo la ‘Statio orbis’ di venerdì 27 marzo 2020, nel deserto di piazza San Pietro e l’Atto di Consacrazione di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria nella stessa piazza il 25 marzo 2022. La pandemia e, più ancora, la guerra, entrano di diritto, come elementi imprescindibili, nella valutazione del cammino compiuto dalla comunicazione vaticana al tempo della riforma. Si può dire anzi che il tempo sospeso del virus e quello tragico del conflitto abbiano indicato in forma estrema, la natura, se non la vocazione, della sua dimensione di servizio”.

Foto di Austin Distel su Unsplash

Basta un telefonino oggi per avere in mano uno strumento per diffondere notizie e video sui social. Serve ancora la competenza professionale nel giornalismo?
“Non si può certo fermare un processo inarrestabile. Chi ha uno smartphone può pubblicare notizie, video, fotografie ritagliandosi, magari, il suo quarto d’ora di celebrità. Secondo l’Oxford English Dictionary, la parola simbolo del 2024 è stata ‘brain rot’. E, cioè, ‘il deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona’ conseguente a un uso eccessivo di materiale e contenuti on line, banali o poco impegnativi. È a questo che Papa Francesco ha fatto riferimento nell’incontro con i giornalisti durante il Giubileo della comunicazione. ‘Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella putrefazione cerebrale causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, scorrimento, sui social media’. Il Papa ha chiesto a giornalisti e operatori della comunicazione di lavorare ‘tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani’. La comunicazione, quella professionale, è altra cosa dall’uso superficiale e vuoto del web e dei social network. Spesso possibilità enormi sono letteralmente dilapidate da un utilizzo del tutto effimero. La comunicazione professionale, invece, deve indicare la strada. È una comunicazione che si basa sulla responsabilità di quello che si dice e di come lo si dice, sempre finalizzata al bene della comunità umana. È una comunicazione professionale, seria, responsabile, che fa crescere la società. E a cui tocca, oggi come oggi, andare controcorrente. E le forze contrarie sono spesso impetuose”.

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