Categories: copertina

L’ambasciatore dell’Azerbaigian a Interris.it: “A Roma per parlare di pace”

L’ambasciatore Elchin Amirbayov Foto: Pommier

La guerra in Karabakh, l’esodo degli armeni, i piani per il loro rientro e per la pacificazione definitiva del Caucaso meridionale. Ma anche i rapporti con la Santa Sede, la coesistenza religiosa, la condizione dei cattolici in un paese a maggioranza musulmana. Ne parliamo in un’intervista in esclusiva per Interris.it con l’ambasciatore Elchin Amirbayov, inviato speciale del presidente azerbaigiano nei giorni scorsi in visita in Vaticano e presso la Repubblica italiana.

L’intervista all’ambasciatore Elchin Amirbayov

Signor ambasciatore, grazie per l’intervista. Mi lasci iniziare con una domanda franca e brutale. L’Azerbaigian ha intenzione di invadere l’Armenia in un prossimo futuro?

“Assolutamente no. È una fake news che sta girando in questi giorni e di cui non riusciamo a capire fino in fondo l’origine. La fake news dice che la motivazione o il pretesto sarebbe il cosiddetto ‘corridoio dello Zangezur’ cioè il collegamento di trasporto tra l’Azerbaigian interno e l’exclave del Nakhchivan: in realtà non è solo un collegamento che unisce l’Azerbaigian e l’Armenia o gli stati regionali, ma, in senso più ampio, può allo stesso tempo essere un percorso alternativo al Middle Corridor, in grado di connettere l’Asia con l’Europa ed essere un progetto strategico capace di dare un forte impulso al commercio mondiale. Se all’Armenia non piace il termine corridoio possiamo usare i termini collegamento, strada, ponte, infrastruttura e così via. Il corridoio è un concetto puramente economico e di trasporto. Se l’Armenia non adempierà al suo impegno in questo senso, abbiamo un’opzione alternativa con la stessa funzione, vale a dire il progetto di collegare la parte principale dell’Azerbaigian con la Repubblica Autonoma di Nakhchivan attraverso il territorio dell’Iran, tramite ferrovia e strada automobilistica, realizzato in breve tempo. Per quanto riguarda l’Armenia, rimarrà in una situazione di stallo nella regione come avvenuto fino ad ora, per scelta degli stessi armeni”.

Quanti cittadini azerbaigiani di origine armena sono fuggiti dal Karabakh? E quanti ne sono rimasti? E cosa fate per garantirne il ritorno in sicurezza?

“Cominciamo dalle definizioni. In primo luogo, essi non possono essere considerati cittadini azerbaigiani in quanto non hanno ancora richiesto la cittadinanza azerbaigiana. Per la maggior parte hanno già passaporto armeno e almeno un terzo non è originario del Karabakh ma vi è giunto dall’Armenia e vi si sono stabiliti illegalmente in una sorta di spirito ‘coloniale’ nei decenni scorsi. Ne sono rimasti poco meno di mille, che invece stanno applicando per la cittadinanza azerbaigiana e si impegnano a rinunciare ad azioni separatiste. D’altronde il separatismo aggressivo, che costituisce una seria minaccia per lo Stato, è proibito in tantissime costituzioni, inclusa quella italiana. Certamente, considerando l’atmosfera generale, farli tornare è un tema complesso. Comprendiamo che fuggire dopo 30 anni di guerra sia una scelta prevedibile, ma questa è stata una loro decisione personale, anche se il governo dell’Azerbaigian li ha esortati a non lasciare il Paese. Abbiamo realizzato un portale che permette rapidamente il rientro in Azerbaigian e ci impegniamo a garantire sicurezza, diritti e benessere economico di queste persone. Riteniamo che i pochi rimasti, che sono in contatto con quelli fuggiti, possano fungere da attrattore”.

Quale è la posizione dell’Azerbaigian sul conflitto israelo-palestinese?

“Come noto siamo forse il Paese a maggioranza islamica che ha il miglior rapporto con Israele al mondo. È più di una semplice amicizia. Basti vedere la condizione tranquilla della comunità ebraica nel nostro Paese. Sul conflitto noi non riteniamo che abbia una base religiosa, ma territoriale. Siamo addolorati per la perdita di vita umane nei due campi e per questo abbiamo votato, come la maggioranza dei Paesi delle Nazioni Unite, per la tregua nei combattimenti a Gaza. Riteniamo che la pace deve essere ripristinata al più presto, non si devono perdere vite innocenti e noi sosteniamo la nota formula due popoli, due stati”.

Quale è la condizione del cattolicesimo e più in generale della cristianità in Azerbaigian?

“I cattolici ovviamente sono pochi nel nostro paese, ma tutti i loro diritti sono protetti dallo Stato, come i diritti degli altri cittadini del paese. Bisogna considerare che l’Azerbaigian non è solo un paese laico, ma anche multiculturale e multiconfessionale. E questa diversità è la fonte del nostro orgoglio. Islamici, ortodossi, ebrei, cattolici convivono tranquillamente. Possono avere i propri luoghi di culto e soddisfare i loro bisogni religiosi nel rispetto delle leggi. Quando San Giovanni Paolo II visitò Baku nel 2002, l’allora presidente Heydar Aliyev decise di assegnare gratuitamente ai cattolici di Baku un terreno per la costruzione di una chiesa. La chiesa è stata inaugurata nel 2008 da Sua Eminenza l’allora Segretario di Stato della Santa Sede, il Cardinale Tarcisio Bertone. Papa Francesco visitò l’Azerbaigian nel 2016 e rimase molto soddisfatto della tolleranza religiosa e del grado di libertà religiosa che regnano nel nostro Paese. Al ritorno, nel tradizionale incontro con i giornalisti sull’aereo che lo riportava a Roma parlò di modello Azerbaigian, come di una piattaforma per la convivenza delle religioni e del rapporto tra religione e Stato in un’ottica laica, che promuove la libertà e il rispetto reciproco e affermò che esso può essere un esempio per molti paesi. Per quanto riguarda chiese, monasteri, opere e oggetti sacri della cristianità, essi fanno parte del ricco patrimonio artistico e culturale azerbaigiano e come tali vengono tutelati da parte dello Stato. Stiamo facendo un censimento di tutti i monumenti religiosi, inclusi quelli musulmani in Karabakh, nelle aree recentemente liberate. E se c’è stata una dissacrazione del patrimonio culturale è stata nei confronti di quello di origine islamica da parte delle forze di occupazione dell’Armenia. Vorrei attirare la vostra attenzione solo su un dato terribile: 65 delle 67 moschee nelle terre azerbaigiane sotto occupazione armena sono state completamente distrutte dagli invasori e le restanti due moschee sono state gravemente danneggiate. E questo, purtroppo, non preoccupa nessuno al mondo”.

Come mai è stato a Roma e quali sono le relazioni tra Azerbaigian e Santa Sede?

“Sono stato a Roma per una serie di incontri di alto livello sia in Vaticano sia presso la Repubblica italiana. L’Italia è il più importante partner UE del mio Paese e non ho bisogno di spendere altre parole. Per quanto riguarda la Santa Sede, l’anno scorso abbiamo celebrato il 30° anniversario delle nostre relazioni diplomatiche e le nostre relazioni si stanno sviluppando in modo crescente. Ci auguriamo che il Vaticano apra presto una propria nunziatura a Baku, così come abbiamo inviato il nostro ambasciatore presso la Santa Sede a Roma. Uno degli obiettivi principali nelle conversazioni con i miei interlocutori è quello di informare l’altra parte sulla situazione attuale, le prospettive e le sfide del processo di pace tra Armenia e Azerbaigian nel Caucaso Meridionale e di condurre un utile scambio di idee su questo argomento”.

Daniel Pommier: