Emergenza prevenzione. Sos impreparazione. Oggi si celebra la Giornata mondiale per la lotta e la prevenzione dei disastri. “Pensiamo ad esempio a quanto noi tutti fossimo pochissimo informati sulle situazioni come quella del Covid 19- afferma a Interris.it il geologo e sismologo, Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)-. Eppure non è stata la prima pandemia ad avere colpito l’umanità. Stessa cosa accade quando accade un evento naturale distruttivo. Non siamo quasi mai preparati, non sappiamo quali siano i comportamenti da tenere, non conosciamo le aree di raccolta, né i piani di emergenza del comune dove viviamo”.
Al servizio della prevenzione
Alessandro Amato è stato direttore del Centro Nazionale Terremoti e membro della Commissione Grandi Rischi. Ha coordinato e partecipato a numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali, pubblicando articoli sulle maggiori riviste scientifiche del settore. Da qualche anno si occupa di comunicazione della scienza, anche sui social media.
“Moltissimo. Non solo l’informazione durante un’emergenza, che naturalmente è fondamentale. Ma anche quella che va fatta prima delle emergenze, ‘a bocce ferme’. Su questo secondo aspetto siamo piuttosto carenti nel nostro Paese”.
“Sia per la scarsa attenzione che prestano i cittadini alle informazioni scientifiche su fenomeni che reputano lontani se non addirittura impossibili. Sia per la carenza di informazioni chiare, organizzate e trasparenti da parte delle autorità”.
“Durante una fase emergenziale, la risposta di tutti, dalle autorità ai cittadini, deve essere improntata alla lucidità. Pertanto, l’informazione da parte della comunità scientifica e degli organismi che gestiscono la crisi deve essere chiara, univoca, ben organizzata e facilmente accessibile. Al contrario, in queste situazioni capita spesso di trovarci tempestati da un’informazione confusa se non contraddittoria. Qui il ruolo dei media, come ‘mediatori’ appunto, è importantissimo”.
“Purtroppo non sempre questa mediazione risulta efficace. O per eccesso di semplificazione o più spesso per voler offrire pareri antitetici. Amplificando le divergenze tra opinioni scientifiche o creando conflitti anche dove non ci sono. Inoltre, in questi frangenti il ‘rumore di fondo’ creato dalla grande quantità di informazioni su Internet e sui social media non aiuta, anzi”.
“La prevenzione paga, ma purtroppo i suoi risultati non sono facilmente visibili. Come ha spiegato molto bene Kofi Annan nel 1999, quando era segretario generale dell’Onu. Costruire una cultura della prevenzione non è facile. Mentre i costi della prevenzione si devono pagare oggi, i suoi benefici risiedono in un futuro lontano. Inoltre, tali benefici non sono tangibili. Sono i disastri che non sono avvenuti”.
“Come quello del Papa, questo di Annan è un pensiero molto lucido che dovrebbe far riflettere. La cultura della prevenzione di cui parla è proprio quella di cui ci sarebbe bisogno. In particolare nel nostro Paese. Purtroppo la classe politica spesso si concentra su obiettivi che possono dare risultati a breve termine. Talvolta per soli fini elettorali. Rincorrendo i desideri o le paure delle persone, qualche volta addirittura creandole o amplificandole ad hoc. Questo è certamente un grosso ostacolo. C’è poi un altro impedimento”.
“Un altro impedimento alla prevenzione è legato alla scarsa percezione del rischio, di alcuni rischi, che hanno le persone. Mentre ci sono rischi minori che vengono decisamente sovrastimati!. È necessario abbandonare l’atteggiamento fatalista e passivo che caratterizza molti dei nostri connazionali e assumere un atteggiamento attivo”.
“La paura, che è un sentimento naturale e positivo se ben elaborato, può e deve lasciare il posto alla speranza. Fateci caso. Quando le televisioni si concentrano sull’edifico crollato dopo un terremoto. Quasi sempre intorno a quell’edificio ce ne sono altri che hanno resistito. Che non sono crollati e nei quali gli abitanti sono sopravvissuti. Ecco, dobbiamo guardare a quelle mura e pensare che esiste la possibilità di vivere meglio, più sicuri e con meno paura”.
“La Terra ha sempre dovuto subire crisi legate ad eventi naturali estremi, a cui negli ultimi decenni si sono aggiunti quelli legati alle attività industriali. E al fatto che ci sono oggi delle mega-città con 10 o 20 milioni di abitanti, alcune delle quali sviluppatesi in aree ad elevata pericolosità. Basti pensare a quante opere sono state costruite in zone a rischio terremoti, alluvioni, frane e tsunami, comprese centrali nucleari, a carbone, impianti chimici, e così via. Eppure, sembra che l’uomo continui a ripetere gli stessi errori”.
“È inevitabile nella società moderna convivere con questi rischi. Proprio per questo motivo dobbiamo conoscerli e sapere cosa fare prima che i rischi si tramutino in catastrofi. A volte bastano pochi accorgimenti quanto meno per limitare i danni. È necessario però che questi accorgimenti siano ben codificati e noti a tutti”.
In Piemonte e Valle d’Aosta colate di fango, frane, smottamenti, alluvioni e in Liguria mareggiate. E’ colpa dell’uomo o della natura? Perché si inseguono “emergenze” ricorrenti invece di prevenirle in un territorio fragile come il nord-ovest?
“Rousseau, rispondendo a Voltaire che gli aveva inviato il suo Poema sul Disastro di Lisbona, dopo il terremoto e il terribile maremoto che aveva colpito la città nel 1755, commentò così: ‘Del resto, non è stata la Natura ad ammucchiare in quel luogo ventimila case di sei o sette piani’. Quella grande catastrofe fece riflettere un’intera generazione di filosofi e scienziati. Molti collocano in quel 1° novembre 1755 la nascita della società del rischio. Si iniziava a capire che i fenomeni naturali estremi possono diventare molto dannosi, specialmente se l’uomo non ne tiene conto nel decidere dove e come costruire. Oggi conosciamo molto di più di questi processi e, al contrario della società del Settecento, non abbiamo scuse se non mettiamo a punto adeguate strategie di difesa. Ma pianificare e prevenire è molto più faticoso che intervenire in emergenza. Richiede tempo, risorse economiche e soprattutto lungimiranza, cosa che spesso manca alla nostra classe politica”.