Certi fiori sembrano essere pieni di spine, ma quando si aprono i petali e sbocciano in tutta la loro bellezza e il loro profumo, anche quelle vengono ricomprese nell’armonia complessiva. Quei fiori siamo noi esseri umani che, attraverso un lungo processo di schiusura, possiamo scoprire la bellezza e la positività della vita. Siamo noi “nati per fiorire”, come recita il titolo del libro scritto dallo psicoterapeuta, docente universitario e dirigente psicologo presso l’Asl di Frosinone Alfredo Altomonte e dal frate cappuccino Emiliano Antenucci, rettore del Santuario della Madonna del Silenzio a Avezzano, in provincia de L’Aquila. I due autori, al secondo libro insieme, “aiutati da autentico amore”, come dichiara il professor Altomonte a Interris.it, affrontano i fiori e le spine della società odierna, dalle dipendenze alla salute mentale, dai rapporti umani ormai più digitali che fisici, dai messaggi contraddittori alla precarietà lavorativa ed esistenziale, posando il loro sguardo in particolare sui giovani e i giovanissimi. Loro, che gridano l’allarme di un disagio ormai trasversale, che si sentono rinchiusi in una frustrazione esistenziale da cui provano a “schermarsi” con nichilismo per sentirsi meno in crisi, sono i boccioli che devono essere curati con l’amore, l’incoraggiamento, l’esempio, l’autorevolezza e la speranza, per farli diventare i fiori che sono.
L’intervista
Per approfondire i contenuti di “Nati per fiorire”, Edizioni San Paolo, Interris.it ha intervistato uno dei due autori, il professor Altomonte.
Cosa vi ha spinto a scriverlo?
“Abbiamo deciso di continuare il percorso intrapreso con il primo libro ‘Scatena la vita’: scrivere qualcosa che potesse aiutare tante persone, soprattutto quei ragazzi che spesso appaiono indifferenti e abulici, a rafforzare la propria interiorità. Abbiamo voluto esaminare vari aspetti della realtà in cui oggi viviamo, sottolineandone le difficoltà, i limiti, le ingiustizie, le incomprensioni e i falsi giudizi, cercando di far giungere messaggi di solidarietà e speranza. Ribadiamo la necessità che i giovani non siano soltanto e sempre compresi ma anche ripresi, con autorevolezza e insieme con fiducia in ciò che di bello portano con sé, nei valori di cui sono espressione”.
Come stanno insieme le parole di un frate e quelle di un terapeuta?
“Aiutare tanti ragazzi deviati o in crisi richiede soluzioni idonee, quali possono essere le meditazioni spirituali nel silenzio della preghiera e nell’abbandono a chi è capace davvero di amore, o le sedute psicoterapeutiche in cui i giovani possano mettersi a nudo, attraverso tecniche adeguate, come anche ad esempio l’umorismo. Tutto questo può facilitare un processo liberatorio in cui si scoprono e vengono fatte emergere nuove dimensioni di soggetti giovani che, spesso, hanno soltanto bisogno di essere visti, amati, apprezzati, incoraggiati a esprimere i loro sentimenti più veri e profondi, a schiudere i propri ‘petali’. La vita va vissuta con speranza e gioia e noi abbiamo la convinzione che presto, prima o dopo, la loro ‘fioritura’ avverrà. Un frate e uno psicologo insieme, aiutati da autentico amore, possono e devono fare di tutto perché questa si concretizzi”.
Quali temi tratta il libro?
“Si parte dal concetto per cui non siamo nati per caso, per poi affrontare il tema mai così attuale come la pace. Le modalità con le quali i giovani reagiscono al male e al potere costituiscono una tematica molto importante, così come le proteste giovanili ormai sempre più frequenti. Tali proteste hanno bisogno di ascolto e di una misurata ma fiduciosa alleanza da parte degli adulti. Oggi spesso gli adulti sono segnalati come i maggiori responsabili della crisi dell’educazione odierna. In realtà non sempre è così, anche se si può verificare che oggi gli adulti fragili sono molti. Spesso dovrebbero essere più credibili, così come più credibili dovrebbero essere quanti ci amministrano e sono responsabili del bene comune e del futuro dei giovani in tutti i settori, non ultimo quello del lavoro. È necessario inoltre che i ragazzi siano messi in grado di avvicinarsi alla politica e allo Stato. Ancora, abbiamo trattato i temi della relatività del bene e del male, il bullismo, l’identità di genere, il femminicidio con tutti i problemi connessi. È anche affrontato il tema della madre, attraverso storie che fanno comprendere come le madri non finiscano mai di sbocciare. Infine si parla dell’importanza del sorriso e dell’umorismo, propedeutici ad una conclusione che vuole essere un invito a tutti, e ai giovani in particolare, a imparare a scegliere che tipo di fiore si vuole essere, avendo la pazienza, il coraggio e la determinazione di scoprirsi e di formarsi con gradualità, un petalo alla volta”.
Come “stanno” i nostri giovani e giovanissimi?
“Prendendo spunto dalla bellissima prefazione al nostro libro scritta da don Davide Banzato, si può dire che oggi il disagio giovanile colpisce giovani di qualsiasi ceto e livello culturale, anche ragazzi e ragazze delle migliori famiglie, con genitori che hanno dato il massimo possibile ai figli in termini di opportunità, stimoli, educazione e affetto. Purtroppo non esistono più una sinergia e un’alleanza educativa univoche e pertanto la ‘comunità educante’ – genitori, docenti, educatori e così via – a volte dà input diversi e spesso contradditori ai ragazzi, creando in loro smarrimento. Possono bastare l’amicizia o la compagnia sbagliata a creare una spirale di ragnatele nel cuore, facendo scivolare lentamente, come in un piano inclinato, la ‘vittima’ in veri e propri inferni inimmaginabili. In aggiunta, sono venuti meno anche i rapporti di vicinato, difficile da ricreare, e i confini geografici, dissipati dal mondo digitale che è un reale ambiente di vita per la maggior parte del tempo dei nostri adolescenti. I giovani, in sintesi, sono, oggi, intrappolati in una frustrazione esistenziale, in un nichilismo che spesso li sovrasta e dietro cui si nascondono e/o si ‘proteggono’. Favorire in loro la scelta di un compito quotidiano è la prima via per rendere possibile pian piano il raggiungimento di un ‘compito esistenziale’ senza il quale rischiano di rimanere inermi e smarriti dinanzi a ciò che li circonda”.
Negli ultimi anni si parla dell’emergenza crescente del disagio mentale nei più giovani. Quali sono i numeri?
“Dopo la pandemia di Coronavirus i disturbi neuropsichici dell’età evolutiva sono notevolmente aumentati e in Italia colpiscono quasi 1,8 milioni di bambini e ragazzi, il 20% della popolazione infantile e adolescenziale tra zero e diciassette anni; un adolescente su sette presenta problemi di salute mentale. L’ansia e la depressione rappresentano il 40% dei disturbi diagnosticati. Nell’ultimo rapporto dell’Unicef emerge che nel mondo un ragazzo su sette, tra i 10 e i 19 anni, convive con un disturbo mentale diagnosticato, 89 milioni di ragazzi e 77 milioni di ragazze. Il suicidio è la quinta causa di morte degli adolescenti, uno ogni undici minuti nel mondo, mentre i problemi legati alla salute mentale sono in aumento tra i quattordicenni, con uno sviluppo entro i 24 anni nel 75% dei casi. L’80% dei giovani è vittima di polidipendenze e disagi gravi, dall’Internet addiction alla depressione ai disturbi alimentari. Secondo un’indagine di Telefono azzurro dedicata alla salute mentale dei giovani, a un ragazzo su due il futuro appare come qualcosa di oscuro e il 61% di loro ritiene potrebbe essere utile parlarne, essere ascoltati. Dati che devono spingerci a una riflessione, anche perché il senso di angoscia che invade i pensieri dei più giovani attraversa le loro aspettative future”.
È spia di qualcosa che non funziona nella nostra società?
“Viviamo in un mondo difficile in cui è fortissima la percezione del male, della disperazione, del dolore. I media ci propongono continuamente immagini di guerra, di odio, di violenza, di soprusi, di degrado e di morte. Ovunque si sente lo strapotere del denaro, la capacità che esso ha di corrompere l’uomo sino a renderlo peggiore di qualsiasi altro animale. Di fronte a ciò che la società ci propone, dinanzi ad alcune realtà visibili in modo crudo e fortemente realistico sui social, i ragazzi e i giovani si sentono a volte paralizzati, incapaci di reagire, di trovare un senso, di pensare in termini positivi al proprio futuro. La parola social ha il sapore di un ossimoro gigantesco dinanzi all’asocialità che lo schermo rimanda quando il rischio autolesivo, autoreferenziale e narcisistico, diviene certezza di un dialogo che sembra avere le connotazioni di un soliloquio interno poco profondo e molto legato a ciò che appare e a ciò che bello non è. Bisogna evitare di dare spazio ad una società narcisistica in cui si tende ad affermare solo il proprio ‘ego’ e in cui vi è l’incredibile pericolo di dire continuamente ‘sì’ ai figli, agli alunni, ai ragazzi. È importante che si lavori molto per edificare una società in cui ritrovare stabilità, iniziative che diano ai giovani certezze, persone capaci di programmare un futuro che renda possibile pensare a creare di nuovo le famiglie. I giovani e lo Stato possono, devono incontrarsi perché da questo incontro, dal reciproco ascolto, dipende la nuova società del futuro”.
Cosa significa “fiorire”?
“Abbiamo scritto sotto la spinta del desiderio di far vivere la gioia della vita senza pretendere di voler sempre saper rispondere ai ‘perché’. Importante è agire perché al posto del male vincano il Bello, il Positivo e il Bene. Solo così si può davvero fiorire. È questo il nostro augurio per ogni ragazzo: che possa giorno per giorno aprirsi al Bello schiudendo i suoi petali ad ogni nuova alba. Che siamo nati per fiorire ce lo dice persino il poeta, definito pessimista per eccellenza, Giacomo Leopardi, quando sostiene che ‘fiorire si può e si deve anche in mezzo al deserto perché se le cose fragili come i fiori lo sanno fare, anche noi siamo chiamati a fare altrettanto’”.
Come accompagnare questo processo?
“Dobbiamo diventare operatori di Bene, educatori capaci di presenza, d’imparare a guardare con gli occhi del cuore, come diceva don Bosco, e agire sempre con misericordia, in assenza di giudizio perché noi, nel rispetto della giustizia, dobbiamo sempre far prevalere la carità e l’amore per i giovani, non la condanna. Dobbiamo essere in grado di stargli accanto e non al posto loro. Accompagnare significa essere osservatori silenziosi capaci di esserci sempre con i consigli ma soprattutto con l’esempio. I giovani imparano osservandoci. Il loro sguardo cade sulla coerenza tra il nostro dire e il nostro fare: da quella sintonia o da quella dicotomia passa l’educazione dei giovani e per i giovani”.