“Ageismo è un termine che descrive una forma di discriminazione nei confronti degli anziani, l’unica che colpisce una specie mai interessata da forme di razzismo: uomo bianco, medio, occidentale”. In una società sempre più “vecchia”, l’ageismo rappresenta un pregiudizio insidioso che vede gli anziani come persone bisognose di cure crescenti e quindi percepiti come un “peso” sociale o un “costo inutile” per la sanità pubblica. Questa forma di discriminazione compromette le opportunità e la qualità della vita di chi ne è vittima, influendo negativamente sulla sua salute fisica e mentale. In particolare, l’ageismo può portare a ritardi nelle diagnosi e nella presa in carico, soprattutto nei casi di malattie rare, aumentando il rischio di disabilità nei pazienti e limitando un adeguato accesso alle cure. Ne parliamo su Interris.it con il professore Giuseppe Limongelli, responsabile della Unità di Malattie Genetiche e Rare Cardiovascolari dell’AORN dei Colli (Ospedale Monaldi), e direttore del Centro Coordinamento Malattie Rare, Regione Campania.
L’intervista al prof. Giuseppe Limongelli
Qual è l’etiomologia del termine “ageismo”?
“Ageismo deriva da ageism, termine coniato dallo psichiatra e geriatra americano Robert Butler nel 1969, e che compare nella lingua italiana a metà degli anni Novanta. La generale crescita dell’attenzione pubblica nei confronti delle discriminazioni sociali ha probabilmente contribuito all’incremento dell’uso di ageismo in italiano negli ultimi anni. E questo si riflette anche in ambito sanitario, dove è sempre più evidente il paradosso degli anziani, che da una parte rappresentano una popolazione crescente grazie alla nostra capacità di combattere e cronicizzare patologie, tra tutte quelle cardiocircolatorie ed oncologiche, ma dall’altra parte rappresentano un potenziale costo socio-sanitario che qualcuno comincia a stigmatizzare. In uno studio internazionale condotto su 80 mila persone in 57 Paesi, viene fuori che una persona su due ha pregiudizi basati sull’età che influenzano anche uno dei settori chiave della vita degli anziani, cioè la sanità, riducendo l’accessibilità alle cure e l’appropriatezza dei trattamenti”.
Può farci un esempio?
“Un esempio classico di ageismo nei confronti dei pazienti anziani è dato dalla cardiopatia ischemica. Dati di registro di mondo reale suggeriscono che l’impiego di strategie riperfusive si riduca dopo i 75 anni, soprattutto all’aumentare della complessità clinica. Tuttavia, andando a stratificare la prognosi con score validati per questo tipo di pazienti, il beneficio clinico sulla sopravvivenza ad un anno aumenta progressivamente con il rischio di base. I pazienti anziani, anche più fragili, possono beneficiare di strategie più aggressive, già nel breve termine. Un altro esempio è l’amiloidosi cardiaca, definita ‘una delle patologie emergenti dell’anziano’: si tratta di una patologia rara e certamente sottodiagnosticata, ma soprattutto diagnosticata tardivamente, nonostante il grande impegno degli specialisti clinici. Per migliorare la diagnosi precoce e la gestione di questa patologia, l’Osservatorio Malattie Rare (OMaR) ha istituito un gruppo di lavoro permanente, composto da associazioni di pazienti, specialisti, istituzioni e rappresentanti della società civile, che ha redatto il Position Paper ‘Medicina di genere ”anziano”: l’esempio dell’amiloidosi cardiaca’“.
Quali politiche e cambiamenti strutturali sarebbero necessari per migliorare l’accesso alle diagnosi e alle cure per gli anziani, riducendo il rischio di ageismo nei servizi sanitari?
“Formazione ed informazione. Formazione, di tutte le categorie sanitarie, ad iniziare dai medici di medicina generale, che gestiscono quasi la metà dei pazienti domiciliari affetti da scompenso cardiaco, e che sono la chiave di volta per l’inizio precoce di un percorso. Proseguendo con cardiologi, internisti, geriatri e tutte le figure potenzialmente coinvolte. I geriatri sono una categoria che sta dando grosso contributo alla conoscenza dei punti di forza e limiti del paziente anziano, grazie allo studio della ‘fragilità’ che può essere in futuro la chiave per definire una serie di scelte scientificamente comprovate, e non emotivamente perseguite”.
Quali strategie concrete sta attuando l’Osservatorio nazionale Malattie Rare (OMaR) per affrontare l’ageismo nel contesto della diagnosi e della presa in carico terapeutica degli anziani, e quali risultati ha ottenuto fino ad oggi?
“L’Osservatorio nazionale Malattie Rare OMaR è impegnato da anni in uno dei settori più importanti, quello della comunicazione e della formazione nelle malattie rare. La comunicazione, a vari livelli, sanitaria e verso la popolazione generale, è uno strumento fondamentale per ottenere risultati positivi e contrastare fenomeni emergenti e negativi, come l’ageismo, a cui ha dedicato un tavolo di esperti e coordinato la produzione di un documento. OMAR è anche partner storico del Master Malattie Rare di II livello dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, contribuendo a formare generazioni di medici, biologi, farmacisti, che devono essere sempre più addentro nel conoscere l’organizzazione legislativa e regolatoria europea e nazionale sulle malattie rare, la crescente offerta di terapie avanzate e sempre più precise, così come fenomeni emergenti e negativi quali la poca attenzione ad alcune categorie di malati rari, quali appunto gli anziani o le donne”.