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Il 2 giugno ci porta a riscoprire il valore delle riforme che mancano al Paese

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Il 2 giugno del 1946 gli italiani furono chiamati a scegliere tra monarchia e repubblica. Così, per la prima volta nella storia dell’Italia unita si recarono alle urne anche le donne, avendo loro il suffragio universale. L’Italia si spaccò in due con una chiara prevalenza dei voti per la Repubblica accentuata soprattutto nelle regioni del Nord. Il 54,3 percento degli elettori scelse la Repubblica, decisione che decretò anche l’esilio dei Savoia e il divieto degli esercizi politici ai membri e ai discendenti della casa reale.

Passaggio fondante del nostro Paese

In definitiva l’atto primigenio della nostra Repubblica avvenne in un dopo guerra tormentato dalle contrapposizioni tra il fronte popolare e la democrazia cristiana e da una ricostruzione ancora lontana da venire. Eppure, a 75 anni di distanza, il 2 giugno è riconosciuto da tutte le forze politiche dell’arco parlamentare come un passaggio fondante del nostro Paese. Gli italiani vedono in questa festa i valori della Costituzione repubblicana, quel 2 giugno si votò infatti anche per l’assemblea costituente che poi scrisse la Carta. La ricorrenza ha avuto nuovo impulso anche grazie all’azione di numerosi presidenti della Repubblica che l’hanno sottolineata per alimentare un sentire comune in continuità con tutta la storia patria, senza nette cesure con il passato, in particolare con il risorgimento, o rituali dal sapore puramente ideologico che avrebbero escluso alcune sensibilità politiche piuttosto che altre.

La deposizione della corona di alloro all’Altare della Patria da parte delle massime cariche dello Stato, la parata dei corpi militari e civili, re-inserita nel cerimoniale dal presidente Ciampi nel 2000, e l’apertura dei giardini del Quirinale con il concerto della banda dell’esercito sono diventate una sorta di liturgie laiche seguite con trasporto e coinvolgimento dalla cittadinanza.

Ricostruzione e spirito di unità

Ricostruzione, spirito di unità e impegno per le riforme sono stati gli elementi che hanno caratterizzato quella fase di 75 anni fa e che si ripropongono oggi con l’esigenza di far ripartire l’Italia devastata economicamente e socialmente dalla pandemia del Covid 19. Draghi può quindi essere accostato all’esperienza di De Gasperi con un confronto che il costituzionalista Francesco Clementi definisce “non azzardato”, in un’analisi raccolta da InTerris.

L’intervista al costituzionalista Francesco Clementi

Il 2 giugno pone grandi questioni, in primis quella della presa di coscienza di un modello democratico e non semplicemente di un Paese che riacquista l’indipendenza dopo la guerra; in secondo luogo, il 2 giugno richiama i nodi e le prospettive di un Paese chiamato a fare le riforme, e questo ce lo ricorda il fatto che 75 anni fa andarono a votare anche per formare l’Assemblea costituente. Quindi il 2 giugno chiama in causa le basi ricostruttive del futuro che sarebbe venuto di lì a poco e questo è un punto di similitudine con il governo Draghi, che guarda ai modi e alle forme per ricostruire il futuro” spiega ancora Clementi.

Il professore di Diritto pubblico all’Università di Perugia distingue quindi tra il governo Draghi, che è chiamato a fare riforme economiche e sociali, e i partiti in Parlamento che devono invece occuparsi  delle riforme istituzionali: “Oggi il parlamento dovrebbe approfittare della finestra politica del governo di unità per fare le riforme di cui il Paese ha bisogno, ne dico tre: le riforme dei regolamenti parlamentari per far fronte alla riduzione del numero dei parlamentari che entrerà in vigore dal 2023; la riforma dei rapporti di forza tra il potere esecutivo e legislativo, quindi la sfiducia costruttiva con il rafforzamento della dinamica della seduta comune e la possibilità per il Presidente del Consiglio di revocare i suoi ministri, e la questione dell’emersione chiara delle autonomie nella dimensione costituzionale del Parlamento”. Questi elementi – sostiene Clementi – ci dicono che il 2 giugno ci porta a riscoprire il valore delle riforme che mancano ancora alla Repubblica.

Clementi mette poi in guardia dall’errore della contrapposizione politica in uno scontro che, nonostante i tentativi di questi anni, non ha portato a nulla: “Bisogna evitare la delegittimazione politica che è una modalità di confronto che non porta a nulla. Senza delegittimazione, come abbiamo visto per la riduzione dei parlamentari, lo spazio per fare le riforme c’è”. “Ci sono alcune riforme semplici – sottolinea – come il voto ai diciottenni al Senato che, ad esempio, possono essere già approvate ora, senza cadere, appunto, negli stessi errori”.

Il professore esorta quindi ritrovare uno spirito costituente: “Cioè l’idea che, mentre l’Europa si sta riformando, anche l’Italia fa lo stesso. Con Next generation Eu possiamo di nuovo essere protagonisti come lo fu l’Italia Alcide De Gasperi e il Piano Marshall di matrice americana. Oggi Mario Draghi può consentire al Paese di fare questo percorso, utilizzando il percorso europeo che il Next Generation Eu ci offre. Non vedere quindi la necessità e l’opportunità di questa fase riformista significa abdicare al compito storico a cui è chiamata, invece, l’attuale classe politica”. “Non cogliere questo – prosegue – significa riaprire il fiume del populismo che nasce esattamente perché il riformismo è stato incapace di dare risposte ai problemi”.

Marco Guerra: