2 giugno: i tre pilastri della Festa della Repubblica

Una mera ricorrenza o un elemento di riflessione su noi stessi? Assieme al presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, un excursus attraverso la nostra storia recente

Roma, 02/06/2023. Il Presidente Sergio Mattarella depone una corona d'alloro sulla Tomba del Milite Ignoto. Foto: Quirinale

La democrazia esiste perché esiste la volontà dell’uomo di costruire un’armonia sociale. Allo stesso modo, l’imposizione di volontà e potere fanno parte di quella natura che, in alcuni uomini, spinge al desiderio di prevaricazione e autorevolezza violenta. L’Italia ha vissuto questo passaggio e in un passato nemmeno troppo distante, quando la scelta popolare portò il Paese a costruire una nuova fase democratica dopo un ventennio di dittatura che l’aveva trascinato nell’abisso della guerra prima e nella scissione nazionale poi. È in virtù dell’importanza storica della rivendicazione del peso del popolo che l’Italia festeggia. Il 2 giugno, in sé, sarebbe solo una data se non fosse riempito dalla condivisione dei valori democratici sui quali si fonda la nostra Repubblica. Interris.it ne ha parlato con Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale.

 

Presidente, il 2 giugno è un momento celebrativo di importanza fondamentale. Qual è il mandato che ci consegna?

“La celebrazione è del referendum che ha posto le basi per la Repubblica e la Costituzione. Ma non è solamente un elemento celebrativo, perché c’è la ‘riunificazione nazionale’. C’era stata la Repubblica Sociale italiana, la fine del precedente ordinamento era avvenuta ma quella che poteva apparire una forma di secessione del Paese era finita definitivamente. Un elemento che trova espressione nell’articolo 5, una visione un po’ originale: ‘La Repubblica ‘una e indivisibile’. La Repubblica, che pur si articola in diversi livelli di governo. Il polo forte è l’unità, non solo territoriale ma di ordinamento. Attenzione a che sia equilibrato e cooperativo il rapporto tra Stato e Regioni”.

Al di là del referendum, la Costituzione ha significato una nuova impronta socio-politica per il Paese. E lo abbiamo ricordato di recente, con la commemorazione di Giacomo Matteotti…

“Vorrei segnalare altri due elementi: la scelta di una Repubblica democratica. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme che la Costituzione prevede. Una democrazia che trova la sua espressione nel Parlamento, luogo più elevato della rappresentanza”.

E il terzo elemento?

“La contrapposizione a uno stato autoritario nella versione ideologica fascista. La scelta che, con quel voto, si è fatta. Unità ed equilibrio tra le autonomie. Democraticità delle istituzioni e dei diritti inviolabili. No allo stato autoritario e antagonismo che c’è nel divieto di ricostituzione del partito fascista nelle disposizioni transitorie della Costituzione. Anche su questo la festa del 2 giugno fa memoria. No alla violenza, che può anche essere verbale, e no alla violenza di Stato. L’ordinamento democratico apre alla discussione, al dialogo, alla partecipazione nelle scelte”.

Il dialogo, non solo a livello politico, appare però sempre più debole. È d’accordo?

“Se vogliamo trovare un altro punto, questo deriva dalla Costituzione: ‘Ripudio della guerra, pace e giustizia tra le Nazioni’. Inoltre, nell’articolo 2, accanto ai valori inviolabili, si posizionano quelli inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Cioè, l’essere comunità. Lo Stato e tutti i poteri, anche il governo, in qualche modo sono espressione della comunità. Come il cittadino ha diritti e le formazioni sociali sono luogo della rete della sua vita, vi è un dovere che riguarda gli individui ma anche le formazioni sociali. Le contrapposizioni ci possono essere. Non è una visione unanimistica ma pluralistica, anche se con valori fondanti comuni.

Analizzando le relazioni tra i diversi livelli di amministrazione, qual è lo stato di salute dei rapporti intergovernativi? C’è bisogno di accordi ad hoc – come quello recentemente sottoscritto con la Sicilia – o dev’essere una deriva più naturale?

“È una cooperazione sulla base di un principio di sussidiarietà, non è un tiro alla fune per la rivendicazione del potere. Dopo la riforma del titolo quinto c’è stato un periodo di grande conflittualità tra Stato e Regione anche per l’indeterminatezza di alcuni confini sulle rispettive attribuzioni. Una visione cooperativa è non rivendicativa di potere”.

E funziona?

“Su molti temi c’è una contrapposizione relazionale, una scarsità di dialogo che significa anche contrapposizione di proposte ma non di non reciproca chiusura. La visione che ci deve essere è quella cooperativa. E una discussione che può presentare forti diversità ma non contrapposizioni pregiudiziali”.

Abbiamo parlato di tre capisaldi: per parlare loro dei valori costituzionali come ci si avvicina, oggi, alle nuove generazioni? Le più suscettibili a un’informazione non sempre corretta…

“Un recente discorso del Presidente Mattarella ha ricordato che la Costituzione è rimasta salda anche in periodi duri. In oltre un decennio di stragismo e terrorismo di segno diverso non sono stati sospesi i diritti fondamentali e costituzionali. E c’è anche un altro elemento positivo: la Costituzione ha assicurato un’elasticità al sistema che ha portato a risolvere problemi che via via si sono presentati. La Costituzione ha prefigurato un ordinamento sovranazionale: sull’articolo 11 si basa il fondamento dell’Unione europea, cioè ordinamenti ai quali si cede una quota di sovranità dello Stato per garantire pace e giustizia tra le Nazioni. Questo è un valore”.

Eppure, rispetto al recente passato, comunità e politica appaiono distanti…

“Le evoluzioni politiche ci saranno sempre, la Costituzione deve avere un’elasticità per adeguarsi dal punto di vista istituzionale. Non elasticità delle previsioni costituzionali ma meccanismi che consentono di adeguarsi via via alle situazioni che ci sono. Per esempio, uno degli elementi essenziali è il sistema elettorale. Quello che si nota è una certa disaffezione dei cittadini rispetto alle istituzioni e un deperimento del ruolo dei corpi sociali, che invece è essenziale e va rianimato”.

La celebrazione del 2 giugno è un momento iconico e di aggregazione. In questi casi un rischio di mera apparenza c’è…

“L’auspicio è che non sia un involucro vuoto o un mero atto celebrativo. Dei contenuti ci sono ed è bene ravvivarli”.