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Pontificia Accademia per la Vita, Paglia: “Con il Covid strage di anziani”

Il documento della Pontificia Accademia per la Vita: "La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia"

“Il Covid ha mostrato la tragedia di una società che fa vivere di più, ma scarta ancora di più”. A farlo notare è stato mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) presentando oggi, in diretta streaming dalla sala stampa vaticana, il documento “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”, diffuso oggi (QUI la versione completa).

Over 75 tra la vittime più frequenti

”A tutt’oggi si parla di più di due milioni e trecentomila anziani morti per il Covid-19, la maggioranza dei quali ultrasettantacinquenni”, ha ricordato Paglia, che ha parlato di “una vera e propria strage di anziani, la maggioranza dei quali è è deceduta negli istituti per anziani”. “E’ una strage di anziani, con una doppia contraddizione”, ha spiegato: ”non li sappiamo aiutare né a casa, né negli istituti, dove si muore prima”.

Strage di anziani

“Gli anziani sono stati tra i più colpiti dalla pandemia“, si legge nel documento della Pontificia Accademia per la Vita, riassunto dal Sir. “Il numero di morti tra le persone oltre i 65 anni è impressionante”, si legge nel testo, che rimanda al documento che il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha pubblicato il 7 aprile 2020, poche settimane dopo l’inizio del lockdown in alcuni Paesi europei, e nel quale si afferma che “una particolare attenzione meritano coloro che vivono all’interno delle strutture residenziali: ascoltiamo ogni giorno notizie terribili sulle loro condizioni e sono già migliaia le persone che vi hanno perso la vita”.

“La concentrazione nello stesso luogo di così tante persone fragili e la difficoltà di reperire i dispositivi di protezione – prosegue il testo – hanno creato situazioni difficilissime da gestire nonostante l’abnegazione e, in alcuni casi, il sacrificio del personale dedito all’assistenza”.

Istituzionalizzazione degli anziani

L’istituzionalizzazione degli anziani, soprattutto dei più vulnerabili e soli, proposta come unica soluzione possibile per accudirli, in molti contesti sociali rivela una mancanza di attenzione e sensibilità verso i più deboli, nei confronti dei quali sarebbe piuttosto necessario impiegare mezzi e finanziamenti atti a garantire le migliori cure possibili a chi ne ha più bisogno, in un ambiente più familiare”, il grido d’allarme del dicastero pontificio, che ribadisce il ”no” alla “cultura dello scarto” pronunciato a più riprese da Papa Francesco.

Negli istituti, si fa notare nel testo, “i rischi legati all’età come solitudine, disorientamento, perdita della memoria e dell’identità e decadimento cognitivo possono manifestarsi più facilmente, laddove invece la vocazione di questi istituti dovrebbe essere l’accompagnamento familiare, sociale e spirituale della persona anziana nel pieno rispetto della sua dignità, in un cammino sovente segnato dalla sofferenza”.

Di qui la necessità di “avviare una riflessione attenta, lungimirante e onesta su come la società contemporanea debba farsi prossima alla popolazione anziana, soprattutto laddove sia più debole”.

Quanto è accaduto durante il Covid-19, si fa notare nel documento, “impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli e, di contro, che si alzi un coro in difesa degli ottimi risultati di chi ha evitato il contagio nelle case di cura. Abbiamo bisogno di una nuova visione, di un nuovo paradigma che permetta alla società di prendersi cura degli anziani”.

Riqualificare le casse di riposo

Secondo la Pav, “le case di riposo dovrebbero riqualificarsi in un continuum sociosanitario, ossia offrire alcuni loro servizi direttamente nei domicili degli anziani: ospedalizzazione a domicilio, presa in carico della singola persona con risposte assistenziali modulate sui bisogni personali a bassa o ad alta intensità, dove l’assistenza sociosanitaria integrata e la domiciliarità rimangano il perno di un nuovo e moderno paradigma”.

Per congiurare gli “abusi” che, “nei contesti istituzionalizzati, si verificano più di frequente”, è necessario “supportare le famiglie che, soprattutto se costituite da pochi figli e nipoti, non possono sostenere da sole, presso un’abitazione, la responsabilità a volte logorante di prendersi cura di una malattia esigente, costosa in termini di energie e di denaro”.

Per questo, si legge nel documento, “va reinventata una rete di solidarietà più ampia, non necessariamente ed esclusivamente fondata su vincoli di sangue, ma articolata secondo le appartenenze, le amicizie, il comune sentire, la reciproca generosità nel rispondere ai bisogni degli altri”.

Contro il declino delle relazioni sociali

Il declino delle relazioni sociali, infatti, “colpisce in modo particolare gli anziani: con l’avanzare dell’età e l’emergere delle fragilità fisiche e cognitive, vengono spesso a mancare figure di riferimento, persone su cui fare affidamento per affrontare i problemi della propria vita”.

Nel testo si citano “alcune storiche, grandi inchieste”, condotte ad esempio negli Stati Uniti, che rivelano che “tra il 1985 e il 2004 le reti amicali e di sostegno si sono ridotte drasticamente: nel 1985 le persone potevano contare su circa tre persone di fiducia, nel 2004 questo dato si riduce a uno”. Di qui l’importanza di “invertire il trend, anche con attenti piani che promuovano sia nel versante civile che in quello ecclesiale l’attenzione e la cura perché coloro che invecchiano non siano lasciati soli”.

Papa Francesco ha istituito lo scorso

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