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Vita consacrata: gli abbandoni preoccupano ma c’è tanta santità tra i religiosi

Il 2 febbraio, festa della presentazione del Signore, si celebra anche la giornata della vita consacrata. Nei giorni scorsi si è tenuta la plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica: l’Osservatore Romano ha pubblicato nel numero odierno una lunga intervista al segretario, mons. José Rodriguez Carballo. Uno dei temi affrontati dalla plenaria è stato quello della fedeltà. I dati forniti dallo stesso mons. Carballo sono significativi: “Le cifre degli abbandoni negli ultimi anni restano costanti. Negli anni 2015 e 2016 abbiamo avuto circa 2300 abbandoni all’anno, compresi i 271 decreti di dimissione dall’istituto, le 518 dispense dal celibato che concede la Congregazione per il clero, i 141 sacerdoti religiosi incardinati pure et simpliciter in diverse diocesi e le 332 dispense dai voti tra le contemplative”. Lo stesso numero due del dicastero riconosce, nell’intervista, che “se il Papa parla di «emorragia» vuol dire che il problema è preoccupante, non soltanto per il numero ma anche per l’età in cui si verificano” gli abbandoni, “la grande parte tra i 30 e 50 anni”.

La santità della vita consacrata

Numeri che tuttavia non inficiano la validità di questa forma di “sequela Christi”: “Nella grande maggioranza – sostiene mons. Carballo – i consacrati vivono con gioia la fedeltà alla loro vocazione. C’è molta santità nella vita consacrata, come ha ricordato il Papa. Una fedeltà che porta non pochi consacrati a testimoniare la loro fede e vocazione fino allo spargimento del sangue. I martiri consacrati che ogni anno danno la vita per Cristo sono la prova migliore della vitalità e della santità della vita consacrata. Non ho dubbi nell’affermare che la vita consacrata nel suo insieme è un corpo che gode di buona salute”.

Le difficoltà ad essere fedeli

La plenaria della Congregazione si è soffermata sulle cause del venir meno alla fedeltà della vocazione religiosa: problemi affettivi, difficoltà a vivere gli altri voti o la vita di comunità. Ma secondo il segretario del dicastero la causa principale ha “a che fare con la dimensione spirituale o di fede. Quando parliamo di fede non si tratta soltanto dell’adesione alla dottrina, ma di una fede vissuta, che tocca e cambia il cuore e quindi porta a una vita cristiana autentica e, come conseguenza, a una vita consacrata conforme a quanto uno ha abbracciato con la professione. A volte si confonde la fede con la religiosità”. Anche la spiritualità, secondo mons. Carballo, “non va confusa con il semplice devozionismo”. A tutto questo si aggiunge un contesto generale in cui “l’uomo e la donna di oggi hanno paura a impegnarsi definitivamente; si vuole lasciare sempre una “finestra aperta” per “imprevisti”, cadendo nell’ambivalenza che impedisce di vivere la vita nella sua pienezza. Questo ha molto a che fare con il contesto culturale e sociale in cui viviamo. La nostra è una società liquida che promuove una cultura liquida nella quale una relazione si costruisce a partire dai vantaggi che ognuna delle parti possa ottenere dall’altra e quindi dura quando durano i vantaggi; una cultura frammentata dove non c’è posto per i “grandi racconti” e dove si vuole portare avanti una vita à la carte, che spesso ci fa diventare schiavi della moda; una cultura del benessere e dell’autorealizzazione che facilmente ci fa passare dall’homo sapiens all’homo consumens producendo un grande vuoto esistenziale. A tutti questi condizionamenti vanno aggiunti quelli che provengono dal mondo giovanile, una realtà molto complessa”.

I rimedi

Soluzioni possibili per affrontare le crisi vocazionali? Ad avviso di mons. Carballo prima di tutto bisogna puntare “sul discernimento”, in modo che chi non ha questa vocazione “non abbracci questa vita. La vita consacrata non è per tutti e non tutti sono per la vita consacrata”. Poi è necessaria “molta attenzione a coloro che passano da un seminario o da un istituto a un altro”. Occorre, in altre parole, evitare quel fenomeno che il segretario della Cei mons. Galantino nei giorni scorsi aveva definito con un’espressione efficace “nomadismo vocazionale”. Infine, mons. Carballo indica nella formazione permanente un aspetto fondamentale per curare la fedeltà, insieme a un “adeguato accompagnamento umano, spirituale e vocazionale”.

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