Questa mattina, Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano i vertici della Conferenza Episcopale del Venezuela. Un incontro che avviene in un momento difficile per il Paese latinoamericano, colpito da una grave crisi umanitaria, politica, sociale ed economica. Dall’inizio delle proteste, sono morte ben 65 persone. L’ultima vittima è un giovane di 17 anni, ucciso ieri a Caracas nelle manifestazioni di piazza nate dopo la decisione del Consiglio Nazionale Elettorale di indire per il 30 luglio prossimo, le elezioni per l’Assemblea costituente. Tuttavia, l’incontro del Pontefice con i presuli latinoamericani ha riacceso le speranze della chiesa locale e di tante ong e onlus che lavorano per garantire alla popolazione, prima vittima della crisi, i beni primari.
Il no dei vescovi ad un “regime totalitario” in Venezuela
Dall’inizio della crisi, degenerata dal 29 marzo scorso quando la Corte Suprema ha tentato di privare il Parlamento del potere giudiziario, la chiesa venezuelana ha appoggiato le legittime richieste del popolo, esprimendosi contro la possibilità di cambiare la Costituzione. Il cardinal Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, nei giorni scorsi, ai microfoni della Radio Vaticana, ha dichiarato: “Il governo vuole presentare il Papa come un amico del governo e invece presentare noi come avversari del governo. Al contrario, noi stiamo nel popolo venezuelano che sta soffrendo molto, siamo molto uniti al Santo Padre e vogliamo respingere questa manipolazione che il governo ha voluto fare”. E su come uscire dalla crisi, il presule ha aggiunto: “Il governo ha perso l’appoggio popolare e deve desistere da questa volontà di impiantare un sistema totalitario, comunista, materialista e militarista per il Venezuela. Questo non lo vuole il popolo venezuelano: è un sistema contrario agli interessi di tutti, ma specialmente dei più poveri. La comunità internazionale deve capire, vedere la situazione, che ogni giorno diventa più critica, violenta. La gente muore di fame. C’è gente che mangia rifiuti nelle strade, che muore, bambini denutriti, non ci sono medicine negli ospedali. Tutta questa situazione richiede una risposta immediata e questo è quello che il governo deve capire e che deve fare”.
L’azione diplomatica della Santa Sede in Venezuela
In fatti di politica estera, il pensiero di Papa Francesco si potrebbe sintetizzare con la seguente frase: “Il mondo ha bisogno di ponti, non di muri”. Nella sera del 24 ottobre del 2016, il Presidente Nicolas Maduro è giunto a Roma, senza preavviso, per incontrare il Pontefice in Vaticano. In quell’occasione, la Santa Sede, in una nota, ha spiegato che l’incontro “è avvenuto nel quadro della preoccupante situazione di crisi politica, sociale ed economica che il Paese sta attraversando e che si ripercuote pesantemente sulla vita quotidiana dell’intera popolazione”. Lo scopo dell’azione del Papa è una: offrire il proprio contributo a favore dell’istituzionalità del Paese e di ogni passo che contribuisca a risolvere le questioni aperte, così da poter creare maggiore fiducia tra le parti. Com’era prevedibile, Bergoglio “ha invitato a intraprendere con coraggio la via del dialogo sincero e costruttivo, per alleviare le sofferenze della gente, dei poveri in primo luogo, e promuovere un clima di rinnovata coesione sociale, che permetta di guardare con speranza al futuro della Nazione”. Il Papa “venuto quasi dalla fine del mondo” è ben consapevole dei problemi che attanagliano l’America Latina, Venezuela compreso. Nei mesi precedenti l’incontro, aveva inviato due lettere a Maduro, invitandolo a battersi per un dialogo sano e costruttivo tra il governo e le opposizioni. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e fino al 2013 nunzio in Venezuela, aveva spiegato che “c’è bisogno di buona volontà” da entrambe le parti per “trovare vie di dialogo e dare una risposta ai problemi reali e gravi che affliggono il Paese”. Le informazioni che giungono in Vaticano dal Venezuela sono continue grazie alla presenza nel Paese del nunzio Aldo Giordano. Ma Papa Francesco può contare anche sul nuovo superiore generale dei gesuiti, Padre Arturo Sosa, venezuelano ed esperto di politica e diplomazia. “Non si può capire quel che accade in Venezuela – ha detto nella sua prima conferenza stampa dopo l’elezione a capo della Compagnia di Gesù – se non è chiaro che il Paese vive di rendita petrolifera, e questa rendita è gestita direttamente ed esclusivamente dallo Stato”. Tutto ciò “rende difficile la formazione di una società democratica, generando molta sofferenza”.
Un inviato del Papa nella mediazione tra Stato e opposizione
A pochi giorni dall’incontro in Vaticano tra Bergoglio e Maduro, in Venezuela è partito il dialogo tra governo e opposizione. Allo stesso tavolo anche mons. Claudio Maria Celli, l’inviato di Papa Francesco, e di una delegazione internazionale. Il 30 ottobre 2016, a Caracas, si è svolto il primo incontro per risolvere la gravissima crisi istituzionale ed economica che ha colpito il Paese, con l’opposizione che ha promosso un referendum per la destituzione del presidente Maduro, ma che le autorità hanno sospeso. La linea da seguire per giungere ad una soluzione, secondo la Santa Sede, è quella del dialogo. “Tutti sono convinti che il dialogo sia l’unico cammino da percorrere – ha affermato mons. Celli a seguito di quel primo incontro -. In determinate situazioni, se non c’è il dialogo c’è la violenza e nessuno vuole che ci sia una presenza di violenza ulteriore nel Paese. Si è deciso di aprire quattro tavole di tematiche per le situazioni difficili che dobbiamo risolvere. Direi che questo è stato un primo passo fondamentale”. E così è stato. L’opposizione ha infatti deciso di posticipare un voto contro il Presidente, che ha liberato alcuni prigionieri politici. In più occasioni l’inviato della Santa Sede ha ribadito che “questo cammino difficile e complesso” necessita di segnali da entrambe le parti, “di segnali positivi che esprimono la buona volontà di andare avanti e di costruire un cammino di dialogo”. E l’azione del Vaticano si è rivelata essenziale per intavolare un dialogo. In un’intervista, mons. Celli afferma: “L’opposizione mi ha ripetuto varie volte: ‘Noi siamo qui unicamente perché c’è lei!’. Il ruolo che gioca la figura di Papa Francesco in questo contesto è fondamentale. Tutti gli esponenti dell’opposizione hanno sottolineato che se non ci fosse stata la Santa Sede in questo cammino e con la sua presenza, questo non sarebbe neanche iniziato. Lo stesso ex primo ministro Zapatero, spagnolo, di cui tutti conosciamo il percorso e la storia, ha riconosciuto ufficialmente, in pubblico, che tutto questo si deve alla presenza di Papa Francesco e quindi alla presenza della Santa Sede che accompagna questo processo di dialogo”.
Il “congelamento” del dialogo
I tanti appelli di Papa Francesco indirizzati ad entrambe le parti, affinché creassero un clima d’intesa e d’incontro, tra cui va ricordato il Messaggio Urbi et Orbi di Natale 2016, con l’obiettivo di evitare comportamenti dannosi per lo svolgimento del dialogo, sembrano essere rimasti inascoltati. Nella prolusione alla Plenaria episcopale venezuelana, il Presidente mons. Diego Padrón, arcivescovo di Cumaná, ha dichiarato: “Il tavolo per il dialogo non ha funzionato non solo perché la metodologia scelta ha impedito la verifica di risultati tangibili ma anche perché hanno avuto la meglio i discorsi e le promesse non seguite da fatti concreti”. Secondo il vescovo, c’è stato “un insieme maligno di fattori” che hanno complottato contro questo dialogo “urgente e indispensabile”. Tra questi fattori, mons. Padrón ne sottolinea tre: “le parti non hanno avuto una sincera volontà di dialogo, sono mancate le procedure imparziali necessarie per valutare i consensi raggiunti e sono stati anche insufficienti e inadeguati gli strumenti per definire con precisione scopi e applicazione degli accordi. “La colpa del fallimento del dialogo non si trova nel meccanismo stesso, né nel ruolo degli accompagnanti, anche se tutti hanno avuto una quota di preoccupazione, lavoro e responsabilità, bensì nelle parti che si sono sedute al Tavolo”. Governo e opposizione, ha detto il Presidente dell’Episcopato “non hanno assunto l’impegno del dialogo in funzione del Paese poiché lo hanno ritenuto piuttosto una semplice strategia politica, utile non per risolvere i grandi conflitti che colpiscono ugualmente tutti”. Il compito dell’inviato di Papa Francesco, fin dall’inizio è stato molto complicato perché spesso stretto da richieste incompatibili con la natura del suo ruolo di “facilitador”. Celli ha saputo muoversi e agire con discrezione, efficacia e autorevolezza e molti momenti positivi di questi mesi sono dovuti alla sua abilità di diplomatico. Ernesto Samper, ex presidente della Colombia e attuale segretario generale dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur), da sempre grande sostenitore del dialogo tra il governo Maduro e le opposizioni, con riferimento alla situazione congelata del Venezuela, ha dichiarato: “Da un lato c’è una opposizione che non si mette d’accordo. È divisa. Almeno tre suoi dirigenti aspirano a diventare presidenti del Venezuela. Da questa competizione tra loro scaturiscono contestazioni e disaccordi vicendevoli. Poi c’è la questione della grave tensione tra governo e Parlamento: il governo non riconosce autonomia al parlamento e questo non riconosce legittimità al potere esecutivo”.
Il rifiuto delle Istituzioni venezuelane all’azione del Vaticano
In questa situazione si è trovata coinvolta la Santa Sede: il suo desiderio di facilitare un avvicinamento tra le parti da oltre quattro anni in contrapposizione è stato gradualmente, e forse volutamente, neutralizzato. Da mesi, in sfere del governo e dell’opposizione, si parla di “disattivare” il ruolo del Vaticano seppure la sua presenza e le sue gestioni erano state richieste dalle parti con documenti separati e ufficiali. Oggi appare chiaro che si trattava solo di mosse tattiche. In effetti, dall’avvio del dialogo, né il governo né l’opposizione hanno mai risposto lealmente alle esortazioni della Sede Apostolica, volte alla ricerca di un dialogo sincero e costruttivo. Entrambi hanno provato in ogni momento a usare la disponibilità e la presenza della Chiesa a proprio beneficio. Ciò appare ancora più chiaro se alla luce di ciò si rilegge la sospensione del terzo colloquio, previsto inizialmente per dicembre e poi spostato a gennaio, e sempre fallito. Il Vaticano si è trovato intrappolato in una situazione in cui nessuna forza politica ha mai davvero avuto l’intenzione di dialogare con l’altra per risolvere i problemi del paese. Il Papa è convinto che in Venezuela non ci sia altra soluzione praticabile se non la ricerca di accordi e la definizione di metodi per superare le differenze, cioè il dialogo vero. Questo è ciò che il Vaticano ha sempre sostenuto e appoggiato e sicuramente continuerà a fare. Ma al momento l’unica possibilità sembra quella dell’attesa.