“Il ministero affidato al vescovo è un servizio di unità sia all’interno della propria diocesi che tra la Chiesa locale e la Chiesa universale”. Lo riporta il documento del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani “Il Vescovo e l’unità dei cristiani: Vademecum ecumenico”, diffuso oggi dalla Santa Sede, a firma del cardinale presidente Kurt Koch.
Il vademecum ecumenico
“L’impegno ecumenico del vescovo non è una dimensione opzionale del suo ministero, bensì un dovere e un obbligo”, si legge nel testo. Che aggiunge: “Il servizio dell’unità non è solo uno dei tanti compiti del ministero del vescovo: ne costituisce un aspetto fondamentale”.
Il Ponticio Consiglio pone anche una questione: “Se i cristiani vengono meno al loro essere segno visibile di questa unità, vengono meno al loro dovere missionario di condurre tutti all’unità salvifica”.
Preoccupazione per l’unità dei cristiani
“La preoccupazione per l’unità deve caratterizzare ogni aspetto del suo ministero: nel suo insegnamento della fede, nel suo ministero sacramentale e nelle decisioni attinenti alla sua cura pastorale”.
Promuovendo lo stile sinodale, il vademecum ricorda, riassume il Sir, che “spetta sempre al vescovo diocesano/eparchiale la valutazione delle sfide e delle opportunità del proprio contesto e il discernimento su come applicare i principî cattolici dell’ecumenismo nella propria diocesi/eparchia”.
Dunque, il documento è offerto al vescovo come “incoraggiamento e guida nell’adempimento delle sue responsabilità ecumeniche”. Infine, viene delineato il compito ecumenico del vescovo, cioè “promuovere sia il ‘dialogo della carità’ che il ‘dialogo della verità’”.
“Nello stabilire le norme, i vescovi – agendo sia individualmente che nel quadro della conferenza episcopale – vigileranno che non sorgano confusione o fraintendimenti e che non sia dato scandalo ai fedeli”.
Preghiera ed esempio di vita
Soffermandosi sulla modalità di promozione dell’unità, il documento inoltre indica “la preghiera, l’esempio della vita, la religiosa fedeltà verso le antiche tradizioni orientali, una migliore conoscenza vicendevole, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e dei cuori”. E poi incoraggia i vescovi a nominare un delegato diocesano per l’ecumenismo, che “collabori strettamente con lui e lo consigli sulle questioni ecumeniche”, e una commissione diocesana.
Particolare attenzione è dedicata alla formazione: “Il vescovo può fare in modo che, attraverso la formazione, i fedeli della sua diocesi siano adeguatamente preparati alla relazione con altri cristiani”.
“L’ecumenismo non prevede compromessi, non presuppone cioè che l’unità possa essere realizzata a detrimento della verità – è la premessa -. Al contrario, la ricerca dell’unità ci aiuta ad apprezzare meglio la verità rivelata di Dio”.
L’invito ai cristiani
Poi, l’invito ai cattolici affinché “evitino presentazioni polemiche della storia e della teologia cristiane e, in particolare, raffigurazioni distorte delle posizioni degli altri cristiani”. Animati da uno spirito di carità, i formatori cercheranno sempre di evidenziare la fede cristiana che condividiamo con gli altri e di presentare con equilibrio e accuratezza le differenze teologiche che ci separano”.
L’uso della chiesa ad altre comunità cristiane
“Qualora ritenga che non sussista il rischio di provocare scandalo o confusione tra i fedeli, il vescovo diocesano potrà concedere l’uso di una chiesa ad altre comunità cristiane. Un particolare discernimento è richiesto nel caso in cui sia implicata la cattedrale diocesana”, si legge nel documento del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani.
“In numerose parti del mondo e in molti modi – ricorda il vademecum -, i ministri cristiani di diverse tradizioni lavorano insieme per garantire la cura pastorale negli ospedali, nelle prigioni, nelle forze armate, nelle università e in altre cappellanie. In molte di queste situazioni, le cappelle e altri spazi sono condivisi per assicurare il ministero ai fedeli di diverse comunità cristiane”. “Questa condivisione di risorse può alimentare la fiducia e approfondire la comprensione reciproca tra i cristiani”.
Matrimoni misti
“Il vescovo diocesano è chiamato ad autorizzare i matrimoni misti e può, in alcuni casi, consentire una dispensa dal rito cattolico per la cerimonia nuziale. I matrimoni misti non devono essere considerati come un problema, perché sovente sono un luogo privilegiato di edificazione dell’unità dei cristiani”, riporta il documento “Il Vescovo e l’unità dei cristiani: Vademecum ecumenico”, diffuso oggi dalla Santa Sede.
“Tuttavia, i pastori non possono restare indifferenti alla sofferenza che la divisione dei cristiani provoca in queste famiglie, in modo indubbiamente più acuto che in qualsiasi altro contesto – osserva il documento -. La cura pastorale delle famiglie cristiane interconfessionali deve essere presa in considerazione a livello sia diocesano che regionale”. L’invito è a farlo “a cominciare dalla preparazione iniziale della coppia al matrimonio fino all’accompagnamento pastorale quando nascono i figli e quando si tratta di prepararli ai sacramenti”. Uno sforzo particolare viene rischiesto per “coinvolgere queste famiglie nelle attività ecumeniche parrocchiali e diocesane”.
“Gli incontri tra pastori in vista dell’accompagnamento e del supporto offerti a queste coppie può costituire un terreno eccellente di collaborazione ecumenica”. Ricordando che “i recenti movimenti migratori hanno amplificato questa realtà ecclesiale”, il Vademecum rileva che “da una regione all’altra esiste una grande diversità di pratiche in materia di matrimoni misti, di battesimo dei bambini nati da queste coppie e della loro formazione spirituale. Perciò, devono essere incoraggiati accordi a livello locale su queste cogenti questioni pastorali”.
Eucaristia espressione di unità della Chiesa
“La questione dell’amministrazione e della ricezione dei sacramenti, in particolare dell’eucaristia, nelle celebrazioni liturgiche degli uni e degli altri rimane un motivo di forte tensione nelle nostre relazioni ecumeniche”.
Approfondendo, dunque, l’argomento della “condivisione di vita sacramentale con i cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali”, il documento richiama due principi espressi nel Direttorio ecumenico. Il primo è che la celebrazione dei sacramenti in una comunità “esprime l’unità della Chiesa”; per il secondo, un sacramento è una “partecipazione ai mezzi della grazia”.
In merito al primo principio, il Direttorio afferma che “la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile”. Quindi, la partecipazione ai sacramenti dell’eucaristia, della riconciliazione e dell’unzione degli infermi “deve essere riservata in generale a quanti sono in piena comunione”.
Tuttavia, applicando il secondo principio, il Direttorio prosegue affermando che “in certe circostanze, in via eccezionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali”. “Pertanto – si legge nel Vademecum -, in alcune circostanze, la communicatio in sacris è non solo autorizzata per la cura delle anime, ma è riconosciuta come auspicabile e raccomandabile”.
Infine, il documento invita al discernimento il vescovo diocesano affinché “valuti l’applicabilità di questi due principi”, anche alla luce del fatto che “la possibilità della communicatio in sacris differisce a seconda della Chiesa o Comunità coinvolta”.