Una croce in Vaticano in ricordo dei migranti

Logo Interris - Una croce in Vaticano in ricordo dei migranti

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Una croce in Vaticano in ricordo dei migranti

Giovedì al termine delle udienze della mattina, Papa Francesco incontrerà i rifugiati arrivati recentemente da Lesbo con i corridoi umanitari e farà posizionare una croce, nell’accesso al Palazzo Apostolico dal Cortile del Belvedere, in ricordo dei migranti e dei rifugiati. Si tratta dei 33 profughi da Lesbo richiedenti asilo politico, tra cui 14 minori; tra loro anche una decina di fedeli cristiani. I profughi di Lesbo che incontrerà domani il Papa sono giunti a Roma grazie ad un corridoio umanitario, accompagnati dal cardinale Konrad Krajewski e dalla Comunità di Sant’Egidio che, riferisce Vatican News, avevano avuto modo di verificare la drammatica situazione dei rifugiati che vivono da mesi nell'isola greca in condizioni disumane.

Corridoi umanitari

Don Aldo Buonaiuto, sacerdote di frontiera della Comunità Papa Giovanni XXIII in prima linea nella soluzione di crisi legate ai flussi migratori, chiede ai governi Ue di estendere a livello europeo i corridoi umanitari. “Ad un problema globale non si possono dare risposte nazionali – dichiara don Buonaiuto -. Il gesto altamente simbolico del Pontefice e il suo incessante sostegno agli ultimi riaffermano la necessità di investire sui corridoi umanitari e di coordinarli a livello comunitario. Senza una gestione concertata dei flussi migratori non è possibile scongiurare l’Olocausto nel Mediterraneo di cui parla incessantemente Papa Francesco. L’unico modo per impedire che il canale di Sicilia si trasformi sempre più in una bara d’acqua è istituire corridoi umanitari sistematici e continuativi, che tolgano ai trafficanti di carne umana la loro fonte di crudele arricchimento”. L’Unione europea, Onu e governi di entrambe le sponde del Mediterraneo, aggiunge don Buonaiuto, “devono cooperare per lottare con ogni mezzo contro i trafficanti, bloccare alla partenza chi non ha i requisiti per ottenere asilo ma soprattutto soccorrere chi sta annegando”. La Chiesa è presente nei Paesi di origine, di transito e di destinazione, quindi ha esperienza e conoscenza perché si possa intensificare ogni forma di collaborazione con gli Stati che può fare fronte ad un numero di sbarchi tutto sommato limitato rispetto ad altre estati. “Purtroppo mentre nelle nazioni europee si discute di accoglienza, nel mare si continua a morire. Il calcolo politico e l’indifferenza uccidono più delle onde del mare”, sottolinea il sacerdote. “Abbiamo chiesto di istituire una Giornata Internazionale de Migrante Ignoto proprio perché ad una questione sovranazionale non si può rispondere con misure nazionali e perché i nostri fratelli che scompaiono nel Mediterraneo hanno i nostri stessi diritti di vedersi riconosciute dignità e umanità – spiega -. E invece oggi il loro valore non viene riconosciuto nemmeno dopo la scomparsa e i loro familiari non hanno neppure una lapide su cui poter deporre un fiore. Ormai l’opinione pubblica è talmente assuefatta a queste tragedie che quasi non fanno più notizia, perciò o impariamo a riconoscerci in questi drammi infiniti oppure dovremo renderne conto a Dio e alla storia. L’Europa del rigore finanziario e del libero commercio se c’è batta un colpo”.

La situazione

Sulle orme del Papa, che a visitò Lesbo nel 2016, l’Elemosiniere apostolico è tornato a Moria a dicembre 2019, con le temperature ormai più basse, per constatare di persona la situazione. A Moria, ad un braccio di mare dalla Turchia, rimangono stipati afghani, siriani, iracheni e sono aumentati pure gli africani, soprattutto i somali. Parlano il farsi, l’arabo, l’inglese, il francese. Tra loro, c’è Said Mohammad, afghano di etnia hazara, storicamente perseguitata in patria. “Il problema più grande è l’affollamento, c’è tanta gente che vive qui a Moria- dice a Vatican News –  Quando ci sono così tante persone, i servizi diminuiscono, con conseguenti problemi sanitari e malattie. Soprattutto per i bambini e le donne è una grande emergenza. La sicurezza viene subito dopo. Ci sono tantissime famiglie che vivono nella boscaglia, in piccole tende: una tenda diventa la prima casa delle famiglie. Qui durante l’inverno di notte fa molto freddo, piove spessissimo e quando si trova il modo di scaldarsi c’è però bisogno di corrente. Ma l’accampamento nella boscaglia – fa notare – si sta allargando e per questo motivo purtroppo la corrente non arriva a tutti. E poi mancano i servizi, come bagni e docce”. Un sorriso, una stretta di mano, un rosario di Francesco, un piccolo contributo in denaro donato soprattutto alle mamme con i bambini piccoli, incontrate anche al centro ricreativo della Ong Team Humanity, dove in questo periodo si distribuiscono giacche e cappotti.

La città di Dio e dell'uomo

“Quando siamo stati qui a maggio – racconta a Vatican News il cardinale Krajewski – non c’erano tutte queste tende: ci dicono che ci sono arrivi di 2-300 persone durante la notte. Adesso serve la buona volontà di chi governa per svuotare questi che sono ‘campi di concentramento’. Cominciamo intanto col portare via da questo campo 33 persone e speriamo che tutta la Chiesa in Europa si apra in questo modo, che tutte le Conferenze episcopali invitino le persone per ospitarle nelle proprie diocesi”. Nella Giornata mondiale dei diritti dei migranti, l’appello del Papa, in un tweet, per l’accoglienza, la protezione, l’integrazione.”La risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.  Se li mettiamo in pratica contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo”.

Giacomo Galeazzi: