L’Udienza Generale di questa mattina si svolge in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco incontra gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo per ascoltare la consueta catechesi del mercoledì mattina. Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla vecchiaia, incentra la sua riflessione sul tema: “Giobbe. La prova della fede, la benedizione dell’attesa“.
La catechesi del Papa
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno! – esordisce il Papa -. Il brano biblico che abbiamo ascoltato chiude il Libro di Giobbe, un vertice della letteratura universale. Noi incontriamo Giobbe nel nostro cammino di catechesi sulla vecchiaia: lo incontriamo come testimone della fede che non accetta una “caricatura” di Dio, ma grida la sua protesta di fronte al male, finché Dio risponda e riveli il suo volto. E Dio alla fine risponde, come sempre in modo sorprendente: mostra a Giobbe la sua gloria ma senza schiacciarlo, anzi, con sovrana tenerezza. Bisogna leggere bene le pagine di questo libro, senza pregiudizi e luoghi comuni, per cogliere la forza del grido di Giobbe. Ci farà bene metterci alla sua scuola, per vincere la tentazione del moralismo davanti all’esasperazione e all’avvilimento per il dolore di aver perso tutto”.
“In questo passaggio conclusivo del libro – quando Dio finalmente prende la parola –, Giobbe viene lodato perché ha compreso il mistero della tenerezza di Dio nascosta dietro il suo silenzio. Dio rimprovera gli amici di Giobbe che presumevano di sapere tutto, di Dio e del dolore, e, venuti per consolare Giobbe, avevano finito per giudicarlo con i loro schemi precostituiti. Dio ci preservi da questo pietismo ipocrita e presuntuoso!“, prosegue il Pontefice, rimarcando a braccio il monito.
“Ecco come si esprime il Signore nei loro confronti: «La mia ira si è accesa contro di [voi][…], perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. […] Il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe». La dichiarazione di Dio ci sorprende – dice il Papa – perché abbiamo letto le pagine infuocate della protesta di Giobbe, che ci hanno lasciato sgomenti. Eppure – dice il Signore – Giobbe ha parlato bene, perché ha rifiutato di accettare che Dio sia un ‘Persecutore’. E in premio Dio restituisce a Giobbe il doppio di tutti i suoi beni, dopo avergli chiesto di pregare per quei suoi cattivi amici”.
“Il punto di svolta della conversione della fede – dice il Papa – avviene proprio al culmine dello sfogo di Giobbe, là dove dice: «Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno, non da straniero’. Possiamo interpretarlo così: ‘Mio Dio, io so che Tu non sei il Persecutore. Il mio Dio verrà e mi renderà giustizia’. é la fede semplice – aggiunge il Pontefice a braccio di chi crede in Dio e sa che verrà”.
“La parabola del libro di Giobbe rappresenta in modo drammatico ed esemplare quello che nella vita accade realmente. Cioè che su una persona, su una famiglia o su un popolo si abbattono prove troppo pesanti, sproporzionate rispetto alla piccolezza e fragilità umana. Nella vita spesso, come si dice, ‘piove sul bagnato’. E alcune persone sono travolte da una somma di mali che appare veramente eccessiva e ingiusta. Tutti abbiamo conosciuto persone così. Siamo stati impressionati dal loro grido, ma spesso siamo anche rimasti ammirati di fronte alla fermezza della loro fede e del loro amore. Penso ai genitori di bambini con gravi disabilità, o a chi vive un’infermità permanente o al familiare che sta accanto… Situazioni spesso aggravate dalla scarsità di risorse economiche. In certe congiunture della storia, questi cumuli di pesi sembrano darsi come un appuntamento collettivo”.
“È quello che è successo in questi anni con la pandemia di Covid-19 e che sta succedendo adesso con la guerra in Ucraina. Possiamo giustificare questi “eccessi” come una superiore razionalità della natura e della storia? Possiamo benedirli religiosamente come giustificata risposta alle colpe delle vittime, che se li sono meritati? Non possiamo. Esiste una sorta di diritto della vittima alla protesta, nei confronti del mistero del male, diritto che Dio concede a chiunque, anzi, che è Lui stesso, in fondo, a ispirare. Il “silenzio” di Dio, nel primo momento del dramma, significa questo. Dio non si sottrarrà al confronto, ma all’inizio lascia a Giobbe lo sfogo della sua protesta. Forse, a volte, dovremmo imparare da Dio questo rispetto e questa tenerezza”.
“La professione di fede di Giobbe – che emerge proprio dal suo incessante appello a Dio, a una giustizia suprema – si completa alla fine con l’esperienza quasi mistica che gli fa dire: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto». Questa testimonianza è particolarmente credibile se la vecchiaia se ne fa carico, nella sua progressiva fragilità e perdita. I vecchi ne hanno viste tante! E hanno visto anche l’inconsistenza delle promesse degli uomini. Uomini di legge, uomini di scienza, uomini di religione persino, che confondono il persecutore con la vittima, imputando a questa la responsabilità piena del proprio dolore”.
“I vecchi che trovano la strada di questa testimonianza, che converte il risentimento per la perdita nella tenacia per l’attesa della promessa di Dio – conclude il Papa – sono un presidio insostituibile per la comunità nell’affrontare l’eccesso del male. Lo sguardo dei credenti che si rivolge al Crocifisso impara proprio questo. Che possiamo impararlo anche noi, da tanti nonni e nonne, da tanti anziani che, come Maria, uniscono la loro preghiera, a volte straziante, a quella del Figlio di Dio che sulla croce si abbandona al Padre”.