Udienza, Papa: “Nell’evangelizzazione siate miti come agnelli, senza mondanità”

Papa Francesco in udienza. Foto: Vatican News

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 9.00 nell’Aula Paolo VI. Nel discorso in lingua italiana Papa Francesco, riprendendo il ciclo di catechesi La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente, ha incentrato la Sua meditazione sul tema: “Il primo apostolato” (Lettura: Mt 10,7-10.16).

La catechesi del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Proseguiamo le nostre catechesi sulla passione di evangelizzare, lo zelo apostolico. Dopo aver visto in Gesù il modello e il maestro dell’annuncio, passiamo oggi ai primi discepoli. Il Vangelo dice che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14). C’è un aspetto che sembra contraddittorio: li chiama perché stiano con Lui e perché vadano a predicare. Verrebbe da dire: o l’una o l’altra cosa, o stare o andare. Invece no: per Gesù non c’è andare senza stare e non c’è stare senza andare. Cerchiamo di capire in che senso.

Anzitutto non c’è andare senza stare: prima di inviare i discepoli in missione, Cristo – dice il Vangelo – li “chiama a sé” (cfr Mt 10,1). L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì. Testimoniarlo, infatti, significa irradiarlo; ma, se non riceviamo la sua luce, saremo spenti; se non lo frequentiamo, porteremo noi stessi anziché Lui, e sarà tutto vano. Dunque, può portare il Vangelo di Gesù solo chi sta con Lui. Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Lui non cresce. Notiamo che nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia!

Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione. Ricordiamo allora questi due momenti costitutivi per ogni discepolo: stare e andare. Chiamati a sé i discepoli e prima di inviarli, Cristo rivolge loro un discorso, noto come “discorso missionario”. Si trova al capitolo 10 del Vangelo di Matteo ed è come la “costituzione” dell’annuncio. Da quel discorso, che vi consiglio di leggere, traggo tre aspetti: perché annunciare, che cosa annunciare e come annunciare.

Perché annunciare. La motivazione sta in cinque parole di Gesù, che ci farà bene ricordare: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (v. 8). L’annuncio non parte da noi, ma dalla bellezza di quanto abbiamo ricevuto gratis, senza merito: incontrare Gesù, conoscerlo, scoprire di essere amati e salvati. È un dono così grande che non possiamo tenerlo per noi, sentiamo il bisogno di diffonderlo; però nello stesso stile, nella gratuità. In altre parole: abbiamo un dono, perciò siamo chiamati a farci dono; c’è in noi la gioia di essere figli di Dio, va condivisa con i fratelli e le sorelle che ancora non lo sanno!

Questo è il perché dell’annuncio. Che cosa, dunque, annunciare? Gesù dice: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (v. 7). Ecco che cosa va detto, prima di tutto e in tutto: Dio è vicino. Noi, predicando, spesso invitiamo la gente a fare qualcosa, e va bene; ma non scordiamoci che il messaggio principale è che Lui è vicino a noi. In effetti, è più facile esortare ad amarlo che a lasciarsi amare da Lui. Accogliere l’amore di Dio è più difficile perché noi vogliamo essere sempre al centro, protagonisti, siamo più portati a fare che a lasciarci plasmare, a parlare più che ad ascoltare. Ma, se al primo posto sta quello che facciamo, i protagonisti saremo ancora noi. Invece l’annuncio deve dare il primato a Dio, e agli altri l’opportunità di accoglierlo, di accorgersi che Lui è vicino.

Terzo punto: come annunciare. È l’aspetto sul quale Gesù si dilunga maggiormente; e questo è significativo: ci dice che il modo, lo stile è essenziale nella testimonianza. Ascoltiamo come ci vuole: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi» (v. 16). Non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci. Noi penseremmo così: diventiamo rilevanti, numerosi, prestigiosi e il mondo ci ascolterà e ci rispetterà. No, vi mando come pecore, come agnelli. Ci chiede di essere così, di essere miti e innocenti, disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello: mitezza, innocenza, dedizione. E Lui, il Pastore, riconoscerà i suoi agnelli e li proteggerà dai lupi. Invece, gli agnelli travestiti da lupi vengono smascherati e sbranati. Un Padre della Chiesa scriveva: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli» (S. Giovanni Crisostomo, Omelia 33 sul Vangelo di Matteo).

Sempre sul come annunciare, colpisce che Gesù, anziché prescrivere cosa portare in missione, dice cosa non portare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (vv. 9-10). Dice di non appoggiarsi sulle certezze materiali, di andare nel mondo senza mondanità. Ecco come si annuncia: mostrando Gesù più che parlando di Gesù. E, infine, andando insieme: il Signore invia tutti i discepoli, ma nessuno va da solo.

La Chiesa apostolica è tutta missionaria e nella missione ritrova la sua unità. Dunque: andare miti e buoni come agnelli, senza mondanità, insieme. Qui sta la chiave dell’annuncio. Accogliamo questi inviti di Gesù: le sue parole siano il nostro punto di riferimento.

Papa: “Non dimentichiamo Ucraina, finiscano le sue crudeli sofferenze”

“E non dimentichiamo la cara e martoriata popolazione Ucraina, pregando affinché possano finire presto le sue crudeli sofferenze”. Lo ha detto papa Francesco al termine dell’udienza generale.

Fonte: Ansa

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