La visita di Papa Francesco in Sud Sudan è stata rinviata a causa della guerra in corso che non garantisce le minime condizioni di sicurezza ma l’attenzione del Pontefice per quella martoriata terra e per la sua popolazione in grande difficoltà è costante. Perciò in attesa di recarsi nel Paese africano, il Papa ha deciso di avviare un progetto di aiuti concreti che è stato presentato dal cardinale Turkson, prefetto del nuovo dicastero per lo Sviluppo umano integrale.
Stanziati 362.000 dollari
“Il Santo Padre ha voluto rendere tangibile la presenza e la vicinanza della Chiesa con la popolazione afflitta attraverso questa iniziativa ‘Il Papa per il Sud Sudan’ – ha spiegato il porporato – che va ad affiancare, sostenere ed incoraggiare l’opera delle diverse congregazioni religiose e organismi di aiuto internazionale che sono presenti sul territorio e che si prodigano instancabilmente a soccorrere la popolazione e a promuovere il processo di sviluppo e di pace”. In concreto, sono stati messi a disposizione 100.000 dollari dal Pontefice, 131.000 dal Segretario di Stato e altrettanti dall’ex Pontificio consiglio Cor Unum, confluito nel dicastero guidato da Turkson. “La Chiesa non chiude mai le porte della speranza – ha aggiunto il porporato – invita invece a scelte audaci e a credere che la Divina Provvidenza è capace di realizzare quello che il cuore dell’uomo non osa sperare”.
Due ospedali in prima linea
Tre le aree in cui si articola il progetto di aiuti: salute, educazione e agricoltura. Nel primo campo gli aiuti andranno a due ospedali gestiti dalle missionarie comboniane. Il primo è quello di Wau nell’omonima diocesi dello stato del Western Bahr el-Ghazal, aperto nel 2011, che ha una capacità di 105 posti letto, cura in media 300 pazienti al giorno e assicura circa 40.000 ricoveri l’anno. Il secondo è quello di Nzara, nella diocesi di Tombora-Yambio. Ha 150 posti letto, di cui 68 del reparto pediatrico. L’ambulatorio ha di media 90 pazienti al giorno. Una delle priorità, accanto alla prevenzione e cura di malattie come tubercolosi, lebbra e AIDS, è l’assistenza sanitaria ai bambini minori di 5 anni.
La testimonianza
Toccante la testimonianza di suor Laura Gemignani, la comboniana che da 4 anni, dopo 28 passati in Etiopia, si occupa della struttura. “Il progetto del Papa ci commuove, è diventato un papà della nostra comunità. Noi siamo lì dal 1954 ed è importante questa continuità perché la popolazione comprende e apprezza che non siamo di passaggio, come tante Ong. Spesso questa gente si sente abbandonata dal mondo intero. Abbiamo solo 16 infermieri e un unico medico che sta in ospedale giorno e notte per tutte le emergenze. Ci sono anche due ‘clinical officer’, che sono una figura intermedia tra medico e infermiere e che rischiano la vita ogni giorno perché hanno capito che noi vogliamo dare qualcosa in più rispetto alle Ong, la vicinanza”. E per farlo capire, ha raccontato un aneddoto: “Quando l’ambasciata italiana venne a prenderci per evacuarci, suor Sara Antonini, che era responsabile dell’ospedale, rispose che finché ci fosse stato un solo paziente non lo avrebbe lasciato”. Suor Laura ha denunciato ancora una volta l’orrore delle uccisioni legate al traffico di organi e il clima di violenza che si respira nel Paese: “Io stessa ho visto a dieci metri dall’ospedale il corpo di un uomo decapitato e questo non ha quasi fatto notizia. Questa è la cosa peggiore: abituarsi a questa violenza. Noi restiamo lì. A volte l’ospedale di svuota e questo significa che stanno arrivando i ribelli. Finora si sono limitati a portarci via i cellulari, i pc, una volta la macchina. Ma non ci hanno mai toccato. Siamo grati al Papa per il suo aiuto – ha concluso – ma lo aspettiamo lì”.
Borse di studio
Nel settore dell’educazione l’aiuto del Papa andrà a “Solidarity with South Soudan”, un’associazione che raccoglie alcune congregazioni religiose presenti nel Paese che forma e aggiorna insegnanti della scuola primaria. In questo ambito offre un programma di 2 anni per l’ottenimento di diploma di insegnante per la scuola primaria che si svolge presso il Solidarity Teacher Training Center (STTC) a Yambio. Come ha spiegato suor Yudith Pereira Rico, altra religiosa che ha partecipato alla presentazione, “gli studenti che completano il corso di studi ottengono il certificato riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione del Sud Sudan. Il centro accoglie studenti che rappresentano 14 gruppi etnici diversi”. Suor Yudith ha raccontato anche le attività formative svolte a Malakal fino al dicembre del 2013, quando il conflitto ha ridotto in cenere il progetto e la struttura è stata occupata dalle milizie. Dal 2008 il progetto educativo delle congregazioni ha formato 4449 studenti. Il 18% dei diplomati sono donne, in un Paese in cui, ha ricordato la missionaria, “sono semplicemente un ‘target’, un’arma di guerra”. L’aiuto del Papa servirà a sostenere 16 studenti nel proprio percorso formativo con borse di studio per conseguire il Certificato Nazionale di insegnante della scuola primaria.
Nel settore agricolo
Infine, per quanto riguarda l’agricoltura il supporto dato dal Santo Padre verrà destinato in modo particolare ai programmi di “livelihoods”, con l’acquisto di sementi e di attrezzi agricoli a favore di 2500 famiglie nelle Diocesi di Yei, Tombura-Yambio e Torit – nelle zone in cui è possibile coltivare. Il progetto è realizzato a livello diocesano dalle rispettive Caritas e ha come obiettivo l’autosufficienza alimentare di queste famiglie.
La mediazione della S. Sede
Il cardinale Turkson ha anche accennato agli interventi di mediazione portati avanti dalla S. Sede tra le parti in conflitto, in cui è stato personalmente coinvolto in due occasioni. “La prima volta sono stato lì nel 2013, ricevuto nel gabinetto del governo, con una lettera del S. Padre per l’arcivescovo che invitava le parti a cercare un accordo. Il presidente Salva Kiir, (di etnia Dinka, la più numerosa del Sud Sudan, ndr), partecipò anche alla Messa che celebrai la domenica”. Nella seconda occasione il cardinale cercò di organizzare un incontro con il Papa a Roma tra i due leader delle due fazioni in lotta, il presidente e il suo ex vice, Riek Machar, divenuto capo dei ribelli. “Purtroppo l’arcivescovo di Giuba consigliò di aspettare per verificare l’attuazione degli accordi di Addis Abeba (nell’agosto 2015, ndr) e quello fu un errore perché ci fu un nuovo attacco al palazzo presidenziale e tutto saltò. Da allora i telefoni con cui ci sentivamo non funzionano più e ora stiamo cercando di riavviare dei contatti” ha concluso il cardinale.
Aspettando volontari
Un conflitto che ha già fatto oltre 50.000 morti, milioni di profughi e rischia di allargarsi (l’etnia Nuer, quella di Machar, è numerosa nella confinante Etiopia) mentre nel Paese divampa un’epidemia di colera senza precedenti. Il tutto nell’indifferenza delle grandi potenze. “Vogliamo invece dimostrare che si può vivere in questa parte di mondo” ha sottolineato il card. Turkson rispondendo alla domanda su cosa si può fare per aiutare il progetto del Papa. “I contributi vanno bene ma sarebbe importante l’impegno di volontari sul campo, negli ospedali, nell’istruzione. Una presenza che sarebbe una grandissima testimonianza”. “Il posto c’è – ha concluso suor Laura – basta conoscere un po’ di inglese ed avere un gran controllo delle emozioni, senza voler giudicare ma condividendo e vedendo positivo anche quando è difficile. A Nzara abbiamo una casa per i laici: chi volesse venire è benvenuto, finché ci saranno condizioni minime di sicurezza”. Chi lo desidera, può contattare la Fondazione delle suore comboniane.