Una madre racconta, su L’Osservatore Romano, come sta vivendo lei e il figlio 15enne nella Parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza. Si sono rifugiati lì dall’inizio dei bombardamenti, insieme a decine di famiglie palestinesi cattoliche. La fede li aiuta nel vivere la quotidianità della guerra. Riportiamo integralmente la sua testimonianza, come pubblicata su L’Osservatore Romano.
Cristiani di Gaza: la testimonianza di una madre
Rifugiati nella chiesa latina vicino casa: una situazione davvero particolare quella vissuta fino a pochi giorni fa con mio figlio Ramzi, di 15 anni. All’inizio della guerra sono rimasta a casa con lui. Avevamo scorte di cibo e corrente elettrica, acqua per lavarci e per bere. Con l’intensificarsi della guerra, la luce c’era solo per alcune ore. Abbiamo deciso di trascorrerle a casa mia. Cucinavo per i miei amici e li invitavo a fare la doccia da me visto che la maggior parte di essi non poteva tornare alla propria casa; erano rifugiati presso la chiesa latina.
Poiché era pericoloso rimanere nella nostra abitazione — con l’intensificarsi della guerra e dei bombardamenti nella zona tutte le finestre si erano rotte, la porta era stata bombardata così come le cisterne dell’acqua — abbiamo deciso di andare a dormire nella scuola della chiesa cattolica della Sacra Famiglia. Una sensazione strana ma mi sentivo molto più sicura a stare con altre famiglie.
“Vicini come una grande famiglia”
Ci siamo avvicinati tutti gli uni agli altri come una grande famiglia. Vivevamo in un’aula scolastica con dodici persone: tre famiglie con i loro bambini. La più piccola era una neonata, il più anziano un uomo di 77 anni. Non potete immaginare quanto sia stato snervante all’inizio ma ci siamo adattati e abbiamo vissuto svolgendo ogni giorno la nostra routine quotidiana. È difficile lavare i vestiti a mano, preparare i pasti con quello che le scorte di cibo consentono, aspettare ogni giorno un secchio di acqua calda per fare la doccia in bagno. Essendo più di cinquanta persone, dovevamo fare la fila per avere un secchio di acqua calda a famiglia e fare a turno per usare il bagno.
Ogni giorno celebravamo la messa e pregavamo per la pace davanti all’Eucaristia, il che ci faceva sentire meglio e più forti, sebbene fosse difficile essere circondati da tante persone ferite o uccise dai bombardamenti. Grazie a Dio vivevamo sotto la protezione della Vergine Maria, diversamente da altre persone che si trovavano in luoghi pericolosi di Gaza City senza sapere cosa mangiare e senza nemmeno avere il pane.
Davamo ai nostri vicini e a chiunque altro cibo e acqua e, se qualcuno aveva bisogno di farmaci o di assistenza, i medici che vivevano nel rifugio offrivano il miglior primo soccorso e anche altro se c’era bisogno. Nella festa per la fine del Ramadan (Eid al-Fitr) il comitato ha distribuito datteri e farina di grano alle persone vicino alla chiesa. Il comitato, il parroco, padre Gabriel Romanelli, e il suo vicario, padre Youssef, hanno fatto del loro meglio per assicurare pane a tutti i rifugiati e cucinare pasti decenti, oltre a offrire assistenza medica a quanti ne avevano bisogno.
La guerra per un adolescente
Ero felice di prendermi cura della neonata nella nostra stanza; il suo nome è Mariam, e comunque ha bisogno di una casa sua e sicura. E poi di Lola, la figlia di 3 anni della mia amica; mi prendevo cura di lei aiutando la madre ferita nelle esplosioni. Mio figlio Ramzi, invece, trascorreva il tempo aiutando il comitato della chiesa nei magazzini, mettendo in ordine e pulendo il cortile della chiesa. Ciò lo ha aiutato a distrarsi dalla paura e dall’ansia. Ero così preoccupata che potesse avere un crollo nervoso… Non è una vita normale per nessuno, ma lui è un adolescente; è molto più difficile per lui far fronte alla guerra, specialmente con suo padre all’estero per affari. Ringrazio Dio perché eravamo nella chiesa latina, con padre Gabriel e padre Youssef (a Gaza City sin dall’inizio della guerra) a prendersi cura di noi insieme al comitato. Le tante difficoltà sono state affrontate con tolleranza e attenzione.
di SAHAR NICOLA HAKOURA