Èuna lettera aperta quella che Papa Francesco ha inviato alla Chiesa tedesca. Aperta come le questioni che i vescovi di Berlino avevano sollevato durante l'Assemblea plenaria, tenutasi nel marzo scorso presso il centro Ludwig-Windthorst-Haus della città di Lingen, nella diocesi di Osnabrück. Allora, insieme a un'equipe che includeva la rappresentanza laica del Paese (ZdK), i prelati d'Oltralpe avevano affrontato le difficoltà emergenti dalla “crisi” della Chiesa tedesca, quelle “zavorre” come le aveva definite il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca e arcivescovo di Monaco e Frisinga: in primis, l'abuso sessuale da parte del clero e dei religiosi, poi anche altri temi, come l'invecchiamento delle comunità, la mancanza di vocazioni, la mancata accettazione della dottrina sessuale cattolica e la questione dello stile di vita dei sacerdoti. Come sottolinea il Pontefice nella lettera resa nota ieri, affrontare questi punti richiede sì coraggio, ma anche prudenza, per evitare la tentazione di “credere che la migliore risposta ai molti problemi e alle carenze esistenti sia quella di riorganizzare le cose, cambiarle e 'rimetterle insieme' per ordinare e rendere più agevole la vita ecclesiale”. Tentazione a cui il Papa risponde con il “morso del Vangelo“, termine figurato e quanto mai appropriato per definire la portata rivoluzionaria e altrettanto dinamica della missione ecumenica della Chiesa. Con l'imprimatur di Roma, si può dunque dare il via a un sinodo della Chiesa tedesca. Ed è proprio la sinodalità l'elemento essenziale della visione della Chiesa di Roma. Ne è convinto Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dell'Osservatore Romano, amico personale di Papa Giovanni Paolo II e decano dei vaticanisti, che a In Terris ha palesato perplessità e speranze dei prossimi cammini sinodali: “La Chiesa che riscopre la sinodalità, anche nelle sue realtà locali, è un aspetto importante, purché si tengano presenti da una parte la visione della Chiesa universale, dall'altra i contenuti affrontati”. Un cammino sinodale che non va preso con leggerezza, perché alcuni contenuti che possono emergere nelle realtà locali possono avere una risonanza universale.
Doppio binario
Il prossimo ottobre sarà la volta del Sinodo sull'Amazzonia, che porterà i vescovi dell'intera ecoregione nella città di Roma. Anche in questo caso, secondo Svidercoschi, vale il principio del rispetto dell'universalità: “Il Sinodo dell'Amazzonia, tanto quanto quello tedesco, rischiano di fare emergere contenuti che non possono essere adottati solo a livello locale. Penso alla questione del celibato, più volte sollevata dal clero tedesco, oppure il tema dei viri probati della Chiesa amazzonica. Se si affrontano certi problemi a livello locale, si rischia di trovare una Chiesa che fa due percorsi differenti”. Per capirne il senso, è sufficiente vedere come vengono applicati i principi guida emersi dal Sinodo sulla famiglia a proposito dei divorziati risposati: come sottolinea Svidercoschi, nella stessa Italia c'è una diocesi che può agire proponendo dei percorsi di discernimento, e una diocesi che, al contrario, può limitarsi ad applicare il codice di diritto canonico, per il quale i due coniugi risposati si comportino come fratello e sorella: “che tipo di amore può nascere dal cuore di una coppia che si ama, ma a cui la Chiesa consiglia di vivere come fratello e sorella? In questo caso c'è bisogno di unità, non di diversità di vedute”.
Il precedente della Humanae vitae
“Un cammino sinodale – spiega Svidercoschi – si pone in un'ottica universale, con la responsabilità di tutti”. Per sgombrare il campo da ragionamenti differenti, è necessario prendere decisioni che possano essere applicate a tutta la Chiesa. Fa scuola l'eco che riscosse l'enciclica Humanae vitae di Papa Paolo VI che, seppur redatta con l'impegno di teologi e cardinali per affrontare le questioni pastorali e morali più controverse in modo oggettivo e positivo, suscitò le riserve delle realtà episcopali locali che si proposero di conciliare i principi espressi nel documento attraverso il raffronto con il contesto locale. Basti pensare alle Conferenze episcopali tedesca e austriaca, che, partendo dal presupposto che nel documento non era presente un giudizio di “fede infallibile”, raccomandarono ai fedeli e ai sacerdoti di “tener conto di un coscienzioso esame” in questioni delicate legate alla vita matrimoniale. La ricezione del documento suscitò l'insoddisfazione dello stesso Papa Benedetto XVI, allora cardinale alla guida della Congregazione per la Dottrina della fede. “Anche adesso – sottolinea Svidercoschi – i temi quali la fine del celibato o il sacerdozio femminile rischiano di creare uno scisma. La confusione può, tuttavia, diventare positiva se diventa l'occasione per ricostruire una soliderietà e solidità universale”. La confusione positiva di cui parla Svidercoschi è ancor più evidente nel prossimo Sinodo sulla Chiesa in Amazzonia: “Con la presenza dei vescovi a Roma, i problemi che emergeranno avranno una risonanza mondiale e toccheranno diversi livelli, come quello della pace e la giustizia, validi in una lingua comune e universale”. Un'avvertenza, però, è necessaria: evitare il rischio strumentalizzazioni, come quello dei “viri probati”: “Trovo pericoloso impostare le cose così, perché ci sono altri che lo faranno. Un Sinodo è tale perché, nel nome stesso, parla di un cammino comune”.
Il ruolo della società civile
Stretto sodale di Papa Woytila, Svidercoschi fa riferimento al Sinodo straordinario che l'allora Pontefice indisse sull'applicazione del Concilio Vaticano II per sottolinearne la sua portata anche a livello di coinvolgimento isituzionale: “Le questioni che la Chiesa si trova ad affrontare in un sinodo dei vescovi hanno sempre a che fare con la società civile”. Un altro episodio degno di nota fu il celebre Convegno sui mali di Roma, organizzato dal Vicariato di Roma tra il 13 e il 15 febbraio 1975 per discutere sulla carità e giustizia della Capitale e che coinvolse anche le istiuzioni: “Quel convegno mostra come, anche a livello locale, si possa creare un dialogo in accordo con le istituzioni, purché i temi abbiano una loro impronta universale”.
Onori e oneri delle Chiese particolari
“A oltre cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, la Chiesa è in ritardo nella comprensione di certi cambiamenti”. Svidercoschi imputa a questo ritardo gran parte dei “fronti caldi” che la Chiesa di Papa Francesco s'appresta ad affrontare. Un esempio su tutti resta quello degli abusi. Come già sottolineava Papa Benedetto XVI nella Lettera Pastorale ai Cattolici d'Irlanda del 19 marzo 2010, il problema alla radice degli abusi fu proprio l'inadempienza dei vescovi, i quali spesso trovavano soluzioni poco consone – come i trasferimenti tra diocesi – senza farne cenno alla Sede Apostolica. Dieci anni prima, in occasione del Giubileo, fu la volta di Papa Giovanni Paolo II che, per stilare il documento giubilare, si avvalse del consulto delle Conferenze episcopali mondiali: “Ricordo che il Papa chiese ai vescovi con che modalità fosse stato realizzato il Concilio Vaticano II nelle rispettive Diocesi. Nessuno diede una risposta”. Per Svidercoschi, il mancato dialogo dei Pontificati precedenti è alla base del ritardo, da parte della Chiesa, nell'affrontare i problemi capitali contemporanei. Sintomatico del “silenzio” delle conferenze episcopali, fu il “caso Lefebvre”, in cui la Chiesa francesce si limitò ad allontanare il religioso senza farne cenno con Roma: “Si tratta di un esempio dove non c'è stata collegialità, nonostante l'invito dei Pontefici”. Per Svidercoschi, anche la Chiesa di Papa Francesco rischia di essere impreparata ad alcuni temi davanti a Conferenze episcopali silenti: “Se una Chiesa locale avesse cominciato a ragionare sui problemi, una certa situazione pastorale sarebbe stata affrontata prima. Per questo, i prossimi sinodi possono essere un’opportunità: alcuni aspetti locali di pregnanza locale possono avere un’eco universale“. L'analisi tracciata dal giornalista è dura, perché molte delle responsabilità sono imputabili ai vescovi stessi e lo stesso vale ancora oggi: “La Chiesa di Cristo non si merita un episcopato mondiale come quello attuale. Oggi c’è una povertà dei vescovi in tutta la Chiesa mondiale”.
Sul cammino del Concilio Vaticano II
Che cosa ci si deve aspettare, dunque, dai prossimi appuntamenti sinodali? Alla luce del cammino fatto nei Pontificati precedenti, Svidercoschi riconosce ora alla Chiesa la missione di porre un accento sulla parte spirituale del Concilio Vaticano II: “C'è un documento capitale del Concilio che la Chiesa non ha ancora applicato: si tratta della Lumen Gentium“. La portata rivoluzionaria della costituzione dogmatica sta nei temi che tratta: una Chiesa più spirituale e meno autoreferenziale, l'anteposizione del 'popolo di Dio' alla gerarchia del clero, la collegialità episcopale: “Credo che Papa Francesco stia andando in questa direzione. Innanzitutto, con la lotta al clericalismo, che rende la Chiesa piegata su se stessa e meno incline a cogliere la missione datale da Cristo. L'intolleranza del Papa al clericalismo tocca anche il secondo punto, che prevede una partecipazione di tutti i fedeli contro un clero fatto da 'parroci padroni' perché, come recita il Concilio Vaticano II, 'tutti sono uguali in forza dello stesso battesimo'. Infine, il concetto di collegialità, ora rispolverato, acquista forza con la sinodalità. Questo contribuirà a creare un nuovo spirito e un'unione della Chiesa Cattolica pur dando spazio alle esigenze delle Chiese particolari. In fondo, è lo stesso messaggio ravvisabile nelle encicliche di Papa Giovanni Paolo II: la sua era un'idea di Chiesa trinitaria, unita e separata in una missione comune”.