La testimonianza di monsignor Luis Miguel Muñoz Cárdaba, fino a poco fa nunzio apostolico in Sudan ed Eritrea, a L’Osservatore Romano sulla situazione in Sudan a quasi 10 mesi dall’inizio del conflitto interno tra l’esercito regolare di Khartoum e i paramilitari che vede oltre 12mila vittime.
Oltre 300 giorni di guerra
La guerra in Sudan, che dal 15 aprile dello scorso anno contrappone esercito di Khartoum e paramilitari, ha superato i 300 giorni di combattimenti. Un conflitto di cui «non si vede ancora una via di uscita», ha dolorosamente constatato Papa Francesco nelle ultime settimane, continuando a pregare per una soluzione pacifica alla crisi.
I bilanci dell’Onu, intrecciati a stime di ong che monitorano i conflitti, parlano drammaticamente di almeno 12.000 morti e oltre 10 milioni di profughi e sfollati, con testimonianze di atrocità, violenze su base etnica, stupri, violazioni dei diritti umani.
La testimonianza di monsignor Luis Miguel Muñoz Cárdaba
La guerra provocata dalla rivalità tra i generali Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo ha generato un «caos le cui conseguenze dureranno per molti anni», sottolinea monsignor Luis Miguel Muñoz Cárdaba, fino a poco fa nunzio apostolico in Sudan ed Eritrea. «Mentre i combattimenti sono particolarmente cruenti nella capitale Khartoum e nelle regioni del Darfur — con massacri che ricordano il terribile genocidio degli anni 2003-2005 — del Kordofan e di Gezira, il resto del territorio sudanese sotto il controllo dall’esercito regolare gode di una calma relativa».
«Ma la guerra in Sudan preoccupa la regione del Corno d’Africa, che ne subisce le conseguenze, con il rischio concreto di sprofondare in una lunga crisi umanitaria con gravi ripercussioni geopolitiche. Prima del conflitto, il Sudan ospitava oltre 1,1 milione di rifugiati stranieri, tra questi 800.000 sud sudanesi e numerosi eritrei ed etiopi. Il Sudan era quindi uno dei principali Paesi di accoglienza dei rifugiati in Africa. Oggi le dinamiche sono opposte e c’è pertanto il rischio che la guerra sudanese possa incendiare i Paesi vicini, in particolare il fragile Sud Sudan, ma anche il Ciad e altri», conclude mons. Cárdaba che al contempo ribadisce come «le aspirazioni del popolo sudanese, soprattutto dei numerosi giovani, rimangano comunque libertà, giustizia, democrazia». In una parola: pace.