Il mondo dello sport incontra la fede. E’ il senso dell’iniziativa promossa dal Pontificio consiglio della cultura presieduto dal card. Ravasi sulla spinta di Papa Francesco. Un forum che per due giorni richiama in Vaticano grandi campioni e leaders religiosi per discutere di come i valori dello sport possano andare a braccetto con la fede ed essere modello positivo di incontro, di dialogo e di sforzo comune. Un evento di portata mondiale, vista anche la presenza alla cerimonia inaugurale di personalità del calibro di Ban Ki moon, segretario generale dell’Onu, e di Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale. L’appuntamento è alle 15.30 di mercoledì nell’Aula Paolo VI.
Perché un dicastero vaticano come quello della cultura si interessa di sport? Lo ha spiegato durante la presentazione il card. Ravasi: “Per tre ragioni. La prima è che il concetto di cultura non è più quello aristocratico del Settecento: scienze, filosofie, arti… E’ diventato antropologico, il più vasto e trasversale possibile. Abbraccia ogni attività umana sviluppata in modo coerente e cosciente. Lo sport è diventato, come la musica, un linguaggio universale, un valore che, come sottolinea il Papa, diventa comunicazione senza interprete, supera la potenza del linguaggio stesso. La seconda ragione – ha continuato il porporato – è che lo sport nobile è parte di quella categoria che i Greci esprimevano con il termine paideia: formazione, educazione. Non è solo bieca fisicità, è intelligenza, creatività. Del resto la sua matrice più profonda è il gioco, che è la prima componente con cui il bambino manifesta la propria creatività e libertà. Lo sport unisce corpo e spirito, intelligenza e membra: per i Greci era un’autentica ascesi. Infine, lo sport coinvolgeva, e coinvolge, la fede, in senso più ampio la religione. Basti pensare alle Olimpiadi: erano atti di culto, di cultura e sociali, al punto che si sospendevano le guerre. Per questo – ha concluso Ravasi – occorre tornare allo sport come strumento morale, a un’etica dello sport. E per questo le Paralimpiadi rappresentano il momento più alto della capacità delle persone di vincere tutti i limiti, di scoprire un principio di redenzione, come la religione”.
Lo scopo di questo evento lo ha spiegato mons. Melchor Sanchez, sottosegretario del Pontificio consiglio: “E’ un invito a mettersi in gioco. Lo sport è metafora della vita. Riunire leaders, sportivi, religiosi è una grande sfida che incarna l’idea della comunità in uscita. Non vogliamo limitarci a discutere – ha sottolineato – ma agire per creare qualcosa di nuovo. L’elemento di unicità di questo appuntamento è l’incontro di sport e fede”. Sei i “principi” ispiratori di questa convention, ovvero compassione, rispetto, amore, ispirazione, equilibrio e gioia, intorno ai quali si svilupperà il progetto. Il modello? Può essere quello degli oratori: “Qui in Italia – ha detto mons. Sanchez – sono punti di aggregazione per i giovani e rappresentano un’esperienza unica”. E a chi faceva notare il rischio di rimanere troppo nella teoria e nel mondo dei buoni propositi, il card. Ravasi ha replicato con un esempio: “La nazionale paralimpica ha voluto realizzare Casa Italia ai recenti giochi di Rio, con tutte le attrezzature necessarie, in una favela e alla fine ha donato la struttura agli abitanti. Ecco, lo spirito è quello”.
Altro obiettivo è il dialogo. Lo ha sottolineato l’ex presidente del Coni e vicepresidente vicario del Cio Mario Pescante, attualmente rappresentante dello stesso Comitato all’Onu, che ha parlato di “diplomazia sportiva” citando il caso della squadra del Kosovo alle Olimpiadi brasiliane: “Per la prima volta – ha ricordato – atleti serbi e albanesi hanno gareggiato insieme. L’Onu non ha ancora riconosciuto quel Paese mentre il Cio sì”. Con l’aneddoto divertente della mancanza di un inno nazionale da suonare quando la judoka Kelmendi ha vinto l’oro battendo in finale l’italiana Giuffrida: “Abbiamo fatto suonare una canzone folkloristica kosovara” ha raccontato Pescante. O ancora il successo della squadra di rifugiati voluta dal Cio: “Come ha ricordato il presidente Obama all’Onu, migranti e rifugiati sono 260 milioni, sarebbero il sesto Paese al mondo per abitanti – ha aggiunto Pescante – e ha ricevuto più applausi di tutti, ad eccezione del Brasile, s’intende…”.
Saranno 14 i leaders religiosi presenti alla cerimonia d’apertura, tra cui il delegato personale del Patriarca di Costantinopoli, il primate anglicano, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, e, per l’ebraismo, il vicepresidente del Maccabi World Union.
“Vogliamo usare lo sport per creare comprensione e condannare ogni violenza – ha detto infine Kashif Saddiqi, calciatore pakistano ideatore di “Football for peace” – Le squadre di calcio sono un esempio di come possano convivere diverse etnie: noi vogliamo promuovere questo dialogo. Certo lo sport non ha la bacchetta magica ma può contribuire a creare questo dialogo”.
In programma anche un concerto del celebre pianista Lang Lang mentre hanno assicurato la loro presenza campioni come il ginnasta Igor Cassina, lo schermidore olimpionico Daniele Garozzo, l’argento di Rio nel beach volley Daniele Lupo, l’ex pallavolista Andrea Lucchetta, l’ex giallorosso Damiano Tommasi, le atlete paralimpiche Giusy Versace e Bebe Vio. Ma anche campioni internazionali come la leggenda dell’hockey Fetisov, l’ex detentrice del record del mondo dei 200 dorso Kirsty Coventry, il corridore del Sud Sudan Paulo Lokoro, a Rio con la squadra dei rifugiati. Il calcio d’inizio della cerimonia sarà dato dall’ex capitano della Juventus Alex Del Piero.