In Somalia la fiducia in Dio diventa “speranza in un processo embrionale di democratizzazione”. A spiegarlo all’agenzia missionaria vaticana Fides è monsignor Giorgio Bertin. Amministratore apostolico di Mogadiscio. E vescovo di Gibuti.
Somalia senza pace
Sostiene il presule: “Qualcosa si sta muovendo negli ultimi mesi. Ma la situazione è sempre tesa. E’ comunque lecito avere un cauto ottimismo. E’ maturato, infatti, un accordo. Tra il presidente uscente Abdullaih Mohamed (detto ‘Farmajo’). E il premier Mohamed Hussein Roble. L’intesa riguarda il processo elettorale per la designazione del nuovo presidente”. Il momento politico in Somalia è segnato da incertezza. Mancanza di notizie confermate. Instabilità.
Sfollati
Il quadro generale è influenzato da emergenze regionali. E dall’impossibilità per il governo di uniformare il territorio nazionale. “Ci sarebbero dovute essere le elezioni dell’assemblea parlamentare- ricorda monsignor Bertin-. Ma tutto deve passare attraverso un lungo processo. Con equilibri molto delicati. Qui il suffragio universale è ancora impensabile. Perché impossibile garantire la sicurezza nelle zone rurali che sono controllate da al Shabab. Ma anche perché abbiamo più di 2,5 milioni di sfollati interni. E un milione di sfollati esterni. Come si fa a coinvolgerli? Come registrarli? È un’opera immane e impossibile per il momento. Sarebbe un compito improbo. Anche per paesi più sicuri e sviluppati”.