“Chiediamoci se siamo cristiani da salotto, che chiacchierano su come vanno le cose nella Chiesa e nel mondo, oppure apostoli in cammino, che confessano Gesù con la vita perché hanno Lui nel cuore”. Nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni della città di Roma, Papa Francesco traccia l’identikit dei due martiri, e lo fa attraverso tre parole: confessione, persecuzione, preghiera. Sul sagrato della basilica vaticana, a concelebrare la Santa Messa, i cinque nuovi porporati creati cardinali durante il concistoro di ieri. Presenti anche i 36 Arcivescovi metropoliti nominati durante l’anno, al quale il Pontefice consegna il “pallio”, che sarà poi imposto ai presuli nelle proprie diocesi nelle prossime settimane. Grande assente il cardinal Pell. E ai pastori ricorda: “Chi confessa Gesù fa come Pietro e Paolo: lo segue fino alla fine” passando anche “la croce e le persecuzioni”.
Confessione
Il Papa pone l’accento sul significato della “confessione“, quella narrata nel Vangelo di Matteo al capitolo 16. Gesù chiede agli apostoli: “Chi dite che io sia?”. Risponde solo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. “Ecco la confessione: riconoscere in Gesù il Messia atteso, il Dio vivente, il Signore della propria vita”. Questa stessa domanda, oggi, Cristo la rivolge a noi, in particolare ai Pastori. “È la domanda decisiva, davanti alla quale non valgono risposte di circostanza, chiede una risposta di vita”. Poi aggiunge: “A poco serve conoscere gli articoli di fede se non si confessa Gesù Signore della propria vita“. Quindi si domanda: “Siamo cristiani da salotto, che chiacchierano su come vanno le cose nella Chiesa e nel mondo, oppure apostoli in cammino, che confessano Gesù con la vita perché hanno Lui nel cuore?”. Chi confessa Gesù, fa notare il Pontefice, “sa che non è tenuto soltanto a dare pareri, ma a dare la vita, a ‘bruciare’ per amore”, come Pietro e Paolo. E lo fa anche “attraverso la croce e le persecuzioni“.
Cristiani perseguitati nel silenzio
“Persecuzione” è la seconda parola. “Non solo Pietro e Paolo hanno dato il sangue per Cristo, ma l’intera comunità agli inizi è stata perseguitata”, ricorda il Santo Padre. “Anche oggi in varie parti del mondo, a volte in un clima di silenzio complice – aggiunge Bergoglio -, tanti cristiani sono emarginati, calunniati, discriminati, fatti oggetto di violenze anche mortali, spesso senza il doveroso impegno di chi potrebbe far rispettare i loro sacrosanti diritti”. A tal proposito, cita le lettere di San Paolo: “Per lui vivere era Cristo”, e “da discepolo fedele, ha seguito il Maestro offrendo anche lui la vita”. Poi afferma: “Senza la croce non c’è Cristo, ma senza la croce non c’è nemmeno il cristiano”. Sopportare il male, sottolinea il Pontefice, “non è solo avere pazienza e tirare avanti con rassegnazione”, ma è “imitare Gesù”, accettando la croce. In questo mistero “del dolore offerto per amore“, in “tanti fratelli perseguitati, poveri e malati” si incarna anche oggi “la forza salvifica della croce di Gesù”.
Essere maestri di preghiera
La terza parola è “preghiera“. “La vita dell’apostolo, che sgorga dalla confessione e sfocia nell’offerta, scorre ogni giorno nella preghiera”, sottolinea Bergoglio. Essa “è l’acqua indispensabile che nutre la speranza e fa crescere la fiducia“, “ci fa sentire amati e ci permette di amare”. Non solo. La preghiera “ci fa andare avanti nei momenti bui, perché accende la luce di Dio”. Poi aggiunge: “La preghiera è la forza che ci unisce e sorregge, il rimedio contro l’isolamento e l’autosufficienza che conducono alla morte spirituale”. E questo perché “lo Spirito di vita non soffia se non si prega e senza preghiera non si aprono le carceri interiori che ci tengono prigionieri”. Nella nostra epoca, afferma, “è urgente nella Chiesa avere maestri di preghiera, ma prima di tutto essere uomini e donne di preghiera, che vivono la preghiera!”. “Il Signore interviene quando preghiamo”, conclude.
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