Agostino, la cui festa cade il 28 agosto, è senza dubbio uno dei santi più importanti nella storia della Chiesa. Quando si fa riferimento al Vescovo di Ippona, subito viene alla mente il suo pensiero filosofico e teologico. Egli rappresenta un punto di riferimento essenziale a livello di studio e di ricerca, come dimostrato dalle sue opere che testimoniano tutto il suo cammino verso la fede.
E’ il Padre della Chiesa, che ha lasciato il maggior numero di opere, lo testimonia il suo biografo Possidio (400-437): sembrava impossibile che un uomo potesse scrivere tante cose nella propria vita, più di quindicimila manoscritti sono conservati nelle biblioteche del mondo intero che attestano l’influenza del suo pensiero nella cultura occidentale. Oltre “Le Confessioni” ricordiamo “La città di Dio “, “La vita beata”, i “Soliloqui” ecc.
Aurelio Agostino era nato a Tagaste nel 354, l’attuale Souk Ahras, una città algerina situata a circa 70 chilometri da Annaba, l’antica Ippona, di cui il santo fu vescovo. Il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica era cristiana, esercitò sul figlio una profonda influenza. Dopo aver compiuto gli studi e insegnato a Cartagine, nel 384 grazie all’aiuto del prefetto di Roma Simmaco Quinto Aurelio (340-402) ottiene l’insegnamento della retorica a Milano e nel capoluogo lombardo conosce il vescovo Ambrogio (339-397) una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo.
Il 386 sarà un anno che cambierà tutta la vita di Agostino, infatti egli si converte al cristianesimo, grazie ai colloqui con l’amico Nebridio, all’ascetismo di S. Antonio Abate e soprattutto viene attratto dai brani delle Lettere di San Paolo. L’anno dopo, nel 387 nella notte di Pasqua riceve il battesimo dal vescovo Ambrogio. Ritorna in Africa e dopo un breve soggiorno a Cartagine, lo troviamo a Tagaste, per acclamazione assume il sacerdozio, mentre nel 396 viene consacrato vescovo e nel 430 muore ad Ippona.
Le “Confessioni” scritte nel 398 è ritenuta uno dei capolavori della letteratura cristiana, un’opera autobiografica, dove Agostino narra la sua vita e in particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo. Lo stesso Agostino così ne parla: “I tredici libri delle mie Confessioni, lodano il Dio giusto e buono così per le mie buone come per le mie cattive azioni e eccitano verso lui lo spirito e il cuore dell’uomo. Almeno per quanto mi concerne esse hanno esercitato su me tale azione mentre li scrivevo e l’esercitano ancora quando li leggo”.
Tutta l’opera è costituita da un continuo discorso che Agostino rivolge a Dio, da qui il termine confessione, e inizia con un’invocazione a Dio. E’ ancora Agostino a spiegarci i significati dello stesso termine “confessio” intesa come “confessio peccatorum”, in cui un’anima umilmente riconosce i propri peccati, poi celebrata come “laus dei”, in cui un’anima loda la maestà e la misericordia di Dio; e poi come “confessio fidei” dove l’anima spiega sinceramente le regioni della propria fede.
Scriveva il poeta Giovanni Papini (1881-1956) – anche lui un convertito – che Agostino è “uno di quegli uomini per i quali non esiste la morte”, nel senso che continua ad esserci intimo a livello profondo dandoci l’impressione d’averlo conosciuto, d’averci parlato, d’essere amici”. Tutta la vita del Santo è stata una ricerca di Dio: “Cercando Te, mio Dio, io cerco la felicità della mia vita. Ti cercherò perché l’anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima, e la mia anima vive di Te “.
Per Agostino fede e ragione sono le due forze che ci portano a conoscere, a questo proposito rimangono giustamente celebri le due formule agostiniane che esprimono questa coerente sintesi: “credi per comprendere” – il credere scruta la verità per poter trovare Dio e credere. “La fede è credere a ciò che non vediamo; e la ricompensa per questa fede è il vedere ciò che crediamo…”.
Quando nel 1298 il Papa Bonifacio VIII (1294-1303) proclamò i primi Dottori della Chiesa: S. Ambrogio (339-397), S. Girolamo (347-420), Papa Gregorio I (590-604) e S. Agostino, il Vescovo d’Ippona fu soprannominato “Doctor Gratiae”, per la sua vittoria ottenuta contro i Pelagiani, i seguaci di Pelagio, un monaco britannico, i quali sostenevano che l’uomo si sarebbe salvato da solo senza l’aiuto di Dio; al contrario Agostino vedeva essenzialmente la salvezza dell’uomo attraverso la Grazia di Dio.