Chiesa Cattolica

Santa Maria Maggiore: il miracolo della neve e la devozione mariana

“La Madòn de la Neve è una Madonna – diverza assai da la Madòn de Monti, – da quell’antra vicina a Tor de Conti – e da quella der Zasso a la Ritonna. – Un cinque agosto a ora incerta – nevigò in simmetria su lo sterato – fra Villa Strozzi e palazzo Caserta. – Intanto un Papa s’insognò uno sprennore – e va s’intese dì, dove ha fioccato: – fa fabbrica Santa Maria Maggiore”.

Con questi pochi versi, il più grande poeta romanesco, Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) ci ha tramandato la descrizione della celebre nevicata avvenuta in piena estate il 5 agosto del 358 sul colle Esquilino e che fece da prologo, alla costruzione dell’insigne basilica liberiana.

Infatti, a Papa Liberio (352-366) e al patrizio romano Giovanni e alla moglie apparve la Madonna, la quale aveva preannunciato la caduta dei fiocchi di neve e chiesto l’edificazione di una chiesa in suo onore.

Nei limiti segnati dal candido e inatteso manto bianco, sorse così il sacro edificio dedicato alla Vergine e che prese dapprima il titolo di S. Maria della Neve, divenuto in seguito l’attuale basilica di S. Maria Maggiore.

Fu ricostruita in seguito da Papa Sisto III (432-440), che la dedicò solennemente al culto della Madonna, la cui divina maternità era stata riconosciuta dal Concilio di Efeso nel 431.

C’è da ricordare che la basilica, venne chiamata anche Sancta Maria ad Praesepe, perché custodisce la reliquia della mangiatoia dove fu deposto Gesù, e sarebbe stata trasportata a Roma da Betlemme, sotto il pontificato di Teodoro I (642-649) e si trova sotto l’altare della Confessione in un’urna d’argento opera di Luigi Valadier (1726-1785).

Maria Maggiore è una delle quattro basiliche papali ed è la sola ad aver conservato le strutture paleocristiane, e il suo campanile, in stile romanico rinascimentale, il più alto di Roma, voluto da Papa Gregorio XI (1370-1378) di ritorno da Avignone, è il più antico della città e conserva una delle cinque campane chiamata “la sperduta”, suona ogni sera alle 21 un richiamo per tutti i fedeli.

Venne così chiamata “la sperduta”, perché secondo un’antica tradizione, una pellegrina venuta a piedi a Roma, si perse di notte, nella periferia della città, ma riuscì a ritrovare la strada seguendo i rintocchi della campana di S. Maria Maggiore e poté riprendere il cammino.

E ogni anno il 5 agosto, all’interno del sacro tempio, nel corso delle celebrazioni del mattino e della sera, cade una pioggia di petali bianchi in ricordo della nevicata estiva.

All’interno di S. Maria di Maggiore, nella cappella Paolina, fatta costruire da Papa Paolo V (1605-1621), è conservata e custodita l’icona mariana di origine bizantina, conosciuta con il titolo di “Salus Popoli Romani”, “Salvezza del Popolo Romano”, in quella occasione fu organizzata la solenne cerimonia della “Traslazione”, di cui tuttora si celebra la ricorrenza ogni ultima domenica di gennaio

La tradizione vede nell’evangelista Luca l’autore di questo dipinto in legno, che rappresenta la Vergine con il Bambino in braccio. L’icona durante il pontificato di Gregorio I (590-604) fu portato in processione per le vie della città, per salvare Roma dal flagello della peste.

Bisogna dire, per onor di cronaca che la festività del 4 giugno, non può essere associata a questa icona della Madonna. Ma proprio la storia, ci ricorda con tanto di documentazione, che il 4 giugno 1944, l’appellativo di “Salvezza del Popolo Romano”, fu attribuito da Pio XII (1939-1958) alla Vergine del Divino Amore, che proprio in quel memorabile giorno di ottant’anni fa, liberò la Città Eterna, dalla presenza dell’esercito tedesco.

E lo stesso pontefice davanti a migliaia di pellegrini e devoti della Madonna, che affollavano la chiesa di S. Ignazio, davanti al quadro della Madonna del Divino Amore, portato in città dal santuario di Castel di Leva, affermò che la Madonna del Divino giustamente poteva essere considerata: “Salvezza del Popolo Romano”.

Gualtiero Sabatini

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