La voce degli ultimi

mercoledì 25 Dicembre 2024
10.4 C
Città del Vaticano

La voce degli ultimi

mercoledì 25 Dicembre 2024

San Giovanni Battista: cinque tappe, luoghi e tempi della sua vocazione

Giovanni Battista rappresenta il ponte che dalla riva della Prima o Antica Alleanza conduce alla nuova Terra Promessa, al tempo della Nuova Alleanza, compimento delle antiche promesse. Egli è il “profeta dell’Altissimo”, inviato davanti al Signore per preparargli le sue strade (Luca 1,68.76.79). Egli si proclama la “Voce” (Matteo 3,2), “l’Amico dello Sposo” (Giovanni 3,29). Gesù gli tesserà il seguente elogio: “Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista” (Matteo 11,11; vedi anche Luca 1,5-25 e 57-80 e Matteo 3,1-17). Una tale missione corrisponde a una vocazione particolarissima. Ma è anche esemplare, da illuminare la nostra stessa vocazione cristiana. La percorreremo in cinque tappe, tenendo come riferimento cinque luoghi ai quali essa è legata: il Tempio, la casa, il deserto, il fiume Giordano e la reggia di Erode.

Il TEMPIO di Dio, dove la vita e la vocazione sono concepiti

Un giorno Zaccaria era di turno al Tempio per le funzioni sacerdotali. Secondo l’uso dei sacerdoti, quella volta a lui toccò in sorte di entrare nel santuario del Signore per offrire l’incenso. Un angelo del Signore apparve a Zaccaria, in piedi, al lato destro dell’altare dei profumi” (Luca 1,5-25). La vocazione di Giovanni Battista inizia nel Tempio di Gerusalemme, con l’annuncio della bella notizia della sua nascita, trasmessa dall’angelo Gabriele a Zaccaria che, però, rimane turbato e incredulo: “Non temere, Zaccaria, Dio ha ascoltato la tua preghiera. Elisabetta tua sposa ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni”. Giovanni significa: Dio è misericordioso. Tutti i nostri nomi alludono alla Misericordia! La vita ha inizio nel “Tempio”, dimora primordiale dell’Essere. Tutti siamo concepiti, in primo luogo, nel Cuore di Dio. Da lì emana la vita, l’elezione, la consacrazione, e la missione del chiamato: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle Nazioni” (Geremia 1,5). Una vita che taglia questo cordone ombelicale che la lega alla fonte dell’Essere è condannata a perdere vitalità, a sfiorire e a smarrirsi nei tanti, subdoli, meandri dell’esistenza; vagando nell’oscurità di notti senza stelle. Una vocazione che non coltiva il legame con Dio nella preghiera, che non frequenta il suo tempio interiore, presto sarà soffocata da mille voci gridanti, da illusioni e fantasie, da situazioni spinose. C’è un tempio di Dio che deve essere ricostruito, prima di tutto in noi, dice il profeta Aggeo: “Vi sembra giusto abitare in case riccamente decorate, mentre il mio tempio è in rovina? E ora io, il Signore dell’universo, vi invito a riflettere sulla vostra situazione. Voi avete seminato molto, ma avete raccolto poco. Avete cibo, ma non a sufficienza da sentirvi sazi. Avete da bere, ma non abbastanza per essere allegri. Avete vestiti, ma non abbastanza per riscaldarvi. Il salario del lavoratore si esaurisce in fretta, come in una borsa bucata!…  Perché questo? Perché la mia casa è in rovina, mentre ciascuno di voi si preoccupa della propria.” (Aggeo 1).

La CASA, luogo di gestazione di vita e vocazione

Compiuti i giorni del suo servizio, Zaccaria, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi”. (Luca 1, 23-24). La vita con tutta la sua straordinaria bellezza, forza ed esuberanza, capace di meravigliarci ad ogni passo, è nello steso tempo estremamente fragile. Necessita di essere accolta nel grembo della terra, di trovare una casa dove abitare, di essere ospitata in un ventre che la nutre, accarezza e protegge… La vita nascente e la vocazione profetica di Giovanni Battista incontrerà nella casa di Zaccaria e nel seno di Elisabetta una culla accogliente. Alla stessa maniera, ogni vocazione richiede una “casa”, un contesto favorevole. Tale “casa” sarà la famiglia, la comunità cristiana, un gruppo di appoggio… In altre parole, una specie di “serra” che offrirà le condizioni necessarie per la sua nascita e crescita. Una vocazione speciale, in effetti, è una pianta rara che richiede condizioni ambientali particolari. Come quelle descritte dal Salmo 128: “Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d’ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore.”

IL DESERTO, luogo di purificazione

Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Luca 1,80). Non si può vivere eternamente in una serra. A un certo punto, la pianta deve interagire col suo ambiente esterno, con l’aria, il vento, il sole e la pioggia… per poter crescere e svilupparsi in tutte le sue potenzialità. Dovrà, per questo, affrontare le intemperie, resistere ai rigori dell’inverno e vincere la calura estiva. Giovanni Battista prende dimora stabilmente nel deserto, perché lì trova un ambiente spirituale che lo preparerebbe alla sua missione. Nel deserto fa l’esperienza del profeta Elia e del popolo d’Israele, durante il cammino di 40 anni di esodo. Dipende talmente dalla provvidenza di Dio, da accontentarsi di ciò che offre il deserto: locuste e miele selvatico. Lì Dio gli parlerà al cuore (Osea 2,14) e lo prepara a diventare la sua “Voce”. Così accade a tutti i chiamati. Senza la prova del deserto, della solitudine, del silenzio, dell’austerità, delle difficoltà e delle avversità… non c’è una vocazione provata. Al minimo ostacolo il sole la fa appassire e i rovi la soffocano. Gesù non fa eccezione. In effetti, il Vangelo di Luca dice: “Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame (Luca 4, 1-2).

IL FIUME Giordano, luogo di apostolato e di missione

La parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto; preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” (Luca 3,2-4). Il deserto è anche una tappa funzionale alla missione del profeta. Giovanni Battista lascerà il deserto per andare incontro alle persone e portare loro il messaggio che gli è stato affidato. Allora si stabilisce presso il Giordano, al confine tra il deserto e la terra. E il suo grido giunge dappertutto. Le moltitudini accorrono al Giordano per lì essere battezzate. É come una nuova traversata del fiume biblico, per entrare nel regno, condotti dal nuovo Giosuè, che sarà Gesù, il Messia. Nel fiume Giordano, quando Giovanni battezza Gesù, scorre già “il fiume dell’acqua della vita” degli ultimi tempi: “E l’angelo mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova l’albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Apocalisse 22, 1-2).

LA PRIGIONE, luogo di martirio e di fecondità

In quel tempo Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione…” (Marco 6,17-29). Come per Giovanni Battista, arriva per tutti anche la tappa della prigione e del martirio. Perché “è necessario che Egli cresca e che io diminuisca” (Giovanni 3,30). È il momento supremo, di testimonianza dell’amore e della fecondità apostolica. Gli “Erodi” possono essere di diverso tipo: la malattia, l’anzianità, la persecuzione, il fallimento… È importante accettare di “essere messi in prigione” per far entrare la luce del mistero pasquale nel nostro carcere. San Daniele Comboni diceva ai suoi missionari che avrebbero dovuto essere “pietre nascoste” sepolte in terra africana… È la condizione indispensabile per essere fondamenta dell’edificio che si ergerà sopra di noi. Sarà allora che la nostra vita e la nostra vocazione saranno veramente feconde, come dice Gesù: “Se il seme di grano, caduto a terra, non muore, rimane solo; se invece muore porta molto frutto” (Giovanni 12, 24).

ARTICOLI CORRELATI

AUTORE

ARTICOLI DI ALTRI AUTORI

Ricevi sempre le ultime notizie

Ricevi comodamente e senza costi tutte le ultime notizie direttamente nella tua casella email.

Stay Connected

Seguici sui nostri social !

Scrivi a In Terris

Per inviare un messaggio al direttore o scrivere un tuo articolo:

Decimo Anniversario