San Carlo Borromeo: simbolo di speranza e rinnovamento per la Chiesa e la società milanese

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Quando si parla di santi, si pensa sempre che essi siano persone straordinarie, che abbiamo qualcosa di diverso dagli altri esseri umani, ma non è così, e ce lo dimostra, leggendo le notizie sulla sua vita San Carlo Borromeo, valga per tutto il motto che aveva sul suo stemma da Arcivescovo di Milano dal 12 maggio 1564, “humilitas”. Nato ad Arona, sul Lago Maggiore, il 2 ottobre 1538, Carlo Borromeo apparteneva a una delle più nobili famiglie italiane, era un secolo particolare quello in cui egli visse, una semplice curiosità ci dice che Carlo era alto più di un metro e ottanta, in quel periodo l’altezza media era sotto il metro e settanta.

Il padre, Gilberto, era il conte di Arona, un piccolo centro sul Lago Maggiore, in provincia di Novara, essendo il secondo genito, fu destinato alla carriera ecclesiastica, a 21 anni Carlo si laurea a Pavia, in “utroque iure”, letteralmente significa: “Nell’uno e nell’altro diritto” era così chiamata la laurea in diritto civile e canonico. Raggiunge Roma, dallo zio della madre Margherita Medici, il pontefice Pio IV (1559-1565) che lo associò a sé nel governo della Chiesa, nominandolo segretario di Stato e conferendogli diversi incarichi. La sua carriera è rapida a soli 22 anni è cardinale e ancora non è sacerdote, e nel 1560 lo vediamo amministratore della vasta diocesi di Milano, diviene allo stesso tempo arcivescovo della città lombarda.

Il 7 luglio del 1563 viene ordinato sacerdote dal Cardinale Federico Cesi (1500-1565) nella basilica di S. Maria Maggiore e subito dopo consacrato vescovo dal Cardinale Giovanni Antonio Serbelloni (1519-1591) nella Cappella Sistina. E come vescovo partecipa alle ultime fasi del Concilio di Trento (1562-1563) divenendo uno dei principali promotori della così detta “Controriforma” e collaborando alla stesura del “Catechismo Tridentino”. Segue le indicazioni suggerite dal Concilio che imponeva ai vescovi, di risiedere nelle rispettive diocesi di appartenenza e così Carlo prende possesso di quella di Milano.

Qui dimostra tutto il suo attaccamento e la particolare attenzione alla Chiesa ambrosiana, ne visita più volte il territorio  che poi suddivide in circoscrizioni, fonda seminari per aiutare la formazione dei sacerdoti, fa costruire chiese, scuole, collegi, ospedali, istituisce la Congregazione degli Oblati di S. Ambrogio nel 1578 preti secolari, dona ai poveri le ricchezze di famiglia. Durante la terribile pestilenza del 1576, si prodigò in prima persona per assistere i malati, dimostrando un coraggio e un altruismo esemplari. La sua presenza tra la gente è talmente costante che il periodo storico verrà ricordato come la “peste di San Carlo” e secoli dopo anche Alessandro Manzoni (1785-1873) ne parlerà nel romanzo “I Promessi Sposi”. Con la sua umanità e umiltà Carlo Borromeo divenne ben presto un simbolo di speranza e di rinnovamento per la Chiesa e per la società milanese. Nonostante i suoi numerosi impegni, trovava il tempo per dedicarsi al gioco degli scacchi e alla lettura.

Carlo Borromeo morirà a soli 46 anni, e il suo corpo venne deposto nella cripta del duomo di Milano, dove ancora oggi riposa, mentre il suo cuore è conservato nella chiesa dei lombardi a Roma, la basilica minore dei Santi Carlo e Ambrogio in via del Corso.

Venne beatificato nel 1602 per volontà di Clemente VIII (1536-1605) e otto anni più tardi è stato proclamato santo il 1° novembre del 1610 dal pontefice Paolo V (1605-1621).

Infine c’è da ricordare l’imponente statua di San Carlo ad Arona, comunemente chiamata Sancarlone, che domina il paesaggio del Lago Maggiore, l’opera inaugurata nel 1698 fu fatta erigere dal cugino Federico Borromeo (1564-1631) anch’egli arcivescovo di Milano.

Gualtiero Sabatini: