Quella del Venezuela sembra una crisi dimenticata. Dopo le sollevazioni dello scorso anno, culminate nel simbolico referendum di luglio, l'opposizione al regime di Maduro si è divisa e questo ha fatto il gioco del dittatore, fino alle elezioni farsa dello scorso 20 maggio. E intanto la popolazione muore di fame. Letteralmente. Secondo i dati forniti da Caritas Venezuela, alla fine del 2017 il 16,8% dei bambini sotto i 5 anni soffriva di malnutrizione acuta e quest'anno la percentuale cresce dell'1% ogni mese. Nel 2016 oltre 11.000 bambini sono morti per mancanza di medicinali. L'87% della popolazione (circa 28 milioni di persone) vive in povertà, il 52% in povertà estrema. Nove famiglie su 10 con figli non riescono a mettere insieme tre pasti al giorno. Nelle prossime settimane rischiano di morire di fame 280.000 bambini. Queste cifre rendono una pallida idea di quello che sta sopportando la popolazione venezuelana.
In questa tragedia che si sta consumando nell'indifferenza del mondo, la Chiesa è in prima linea per cercare di portare un po' di sollievo. Una delle principali iniziative è “Riempiamo le pentole” (“Llenemos las ollas” in spagnolo), un'idea nata all'inizio della crisi: ognuno portava da casa quello che poteva e si metteva tutto insieme per fare un pasto comunitario decente. Solo che ora non c'è più neppure quel poco da mettere sotto i denti e così alle parrocchie serve un aiuto concreto.
In Italia per sostenere l'attività di Caritas Venezuela si sono messe in moto due associazioni, il Centro Italo Venezolano di Corato, nato nel 1968 grazie a un gruppo di emigranti pugliesi tornati in patria, e Venezuela: la Piccola Venezia, una onlus che vuole sviluppare la cooperazione tra i due Paesi nata su iniziativa della giornalista italo-venezuelana Marinellys Tremamunno. Quest'ultima ha presentato l'iniziativa nella sede di Aiuto alla Chiesa che Soffre, insieme al direttore Alessandro Monteduro e alla portavoce Marta Petrosillo. Un incontro al quale hanno partecipato telefonicamente il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, e il vescovo di Trujillo, mons. Castor Azuaje Perez.
“Siamo di fronte a una crisi molto grave dovuta a un sistema politico totalitario, statalista e marxista. Quanto avevo detto nel 2010 è puntualmente accaduto. Il Venezuela è stato rovinato da una politica economica che ha degradato ogni aspetto della vita nazionale”. Non ha usato mezzi termini il cardinale Urosa per illustrare la situazione nel suo martoriato Paese. Non teme di mettersi contro il regime con cui “il rapporto non è buono. Abbiamo fatto ogni sforzo possibile per dialogare ma la nostra voce non è ascoltata. Loro pensano di avere la verità assoluta, non ammettono nessuna critica, nessun consiglio, nessuna opinione diversa. La Conferenza episcopale vuole difendere i diritti del popolo e metterlo in condizione di andare avanti in condizioni dignitose”. Ma non è un'impresa facile: “La situazione dei bambini sono terribili, i poveri stanno soffrendo di più. Sono aumentati in particolare negli ultimi 4 anni. Oltre l'80% dei bambini soffre la fame. Ma come si fa a dargli da mangiare se il salario minimo integrale è di 2,5 milioni di bolivares (l'equivalente di 3 euro, ndr) e un chilo di latte in polvere costa 2,6 milioni? E' una rovina a cui ci ha condotto la politica economica di questo governo. E' davvero penoso vedere i bambini rovistare tra la spazzatura in cerca di cibo”.
L'emigrazione è una conseguenza inevitabile di questo dramma: “Prima era un fenomeno praticamente inesistente – ha spiegato il cardinale Urosa – ora quasi un milione di venezuelani è emigrato in Colombia. Il vescovo di Cucuta mons. Víctor Manuel Ochoa è stato straordinariamente generoso, con un aiuto concreto efficacissimo ma tra i governi le relazioni non sono buone”. E intanto l'opposizione, tra divisioni, leaders in carcere o in esilio (sono circa 300 i prigionieri politici), “è debole”. Cosa può fare la comunità internazionale? “Soprattutto tre cose: accogliere in modo benevolo gli emigranti, che ormai sono tre milioni, riceverli con il cuore aperto; aiutare a fare conoscere le realtà della situazione politica ed economica, con la gravissima violazione dei diritti umani: i diritti al lavoro, al cibo, alla salute sono conculcati e calpestati; infine, aiutare a inviare cibo e medicinali attraverso Caritas o organismi internazionali”.
Se il cardinale ha definito “eroine, meravigliose” le suore che si occupano dei diseredati, mons. Perez ha sottolineato l'impegno dei “sacerdoti che soffrono insieme alla gente. Manca il cibo ma questa povertà dà origine a una solidarietà molto grande. E' un modo di vivere il Vangelo e lo fanno con molta gioia e spirito missionario“. Il vescovo di Trujillo ha messo in evidenza anche il problema della criminalità, cresciuta con il degrado generale: “Sono cose amare, molto dolorose. Sono tante le persone massacrate, anche i sacerdoti subiscono rapine. C'è un'insicurezza molto grande e il governo non è in grado di tenere il controllo”.
Di fronte a tutto questo il sostegno a “Riempiamo le pentole” assume un'urgenza tremenda. Le due associazioni coinvolte finora garantiscono 150 pentole che danno da mangiare a 15.000 persone. L'obiettivo è raddoppiare almeno questa cifra. Con 1 euro si garantiscono 2 piatti, con 15 il cibo per un mese per un bambino e con 50 una pentola per 100 persone. Informazioni sul sito www.llenemoslasollas.org.
“Per 65 anni Acs si è occupata solo di pastorale – ha detto Monteduro – dal 2011, con la crisi in Siria, abbiamo dovuto modificare il tratto caratterizzante con interventi umanitari“. Concretamente, Acs fa giungere il suo sostegno ai cattolici venezuelani attraverso il clero: per 100 giorni si potranno far celebrare Messe ai sacerdoti locali, per le intenzioni dei vivi e per i defunti, e l'importo andrà direttamente a sostegno delle iniziative di carità. “Prima del 2014 realizzavamo interventi in sole 6 diocesi venezuelane – ha spiegato Monteduro – ora ne aiutiamo ben 20”. Ma il sostegno ai progetti è molto più consistente: per motivi di sicurezza il direttore di Acs non ha potuto divulgare né l'importo né i progetti. Semplicemente, un regime che nel 2017 è stato responsabile di 8292 esecuzioni extragiudiziali e oltre 12.000 arresti arbitrari, non tollera aiuti dall'esterno che ne offuscherebbero l'immagine.