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Il rapporto sugli abusi nella chiesa francese

«Le ferite non si prescrivono mai» (Papa Francesco, Lettera al Popolo di Dio, 2018). Numeri che non smentiscono il dolore e la sofferenza inferta da parte di sacerdoti, religiosi e religiose in Francia (e che si aggiungono quelle perpetrate in tutto il mondo) e che incidono nella carne e nello spirito ogni ‘membro della comunità cristiana’. Pensavamo che, nonostante l’impegno della Chiesa, in questi anni, nella tutela dei minori, il
problema e la tragedia degli abusi fosse contenuta, conosciuta, gestita e orientata, ma questi Report indipendenti (voluti dagli stessi vescovi) fanno emergere una realtà drammaticamente sconvolgente, triste, oscura, durissima e non basta più il rossore della vergogna.

Sono 216.000 le persone aggredite sessualmente da 2.900/3.200 sacerdoti, religiosi e religiose in Francia negli ultimi 70 anni di storia. Cifra che però aumenta a 330.000 se si includono anche tutti coloro che sono stati aggrediti da “laici che lavorano nelle istituzioni della Chiesa cattolica”. Sono le “cifre” choc che emergono dal Rapporto presentato e consegnato questa mattina (5 ottobre) a Parigi da Jean-Marc Sauvé, presidente della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase,) a mons. Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, e a suor Véronique Margron, presidente della Conferenza dei religiosi e delle religiose di Francia. Molte Conferenze Episcopali, già da tempo, avevano affidato a delle Commissioni indipendenti
queste ricerca trasparente di verità. Ed emerge con spietata e indiscussa verità come la Chiesa conosceva e non ha agito, tollerando e giustificando, coprendo.

I prossimi e auspicati altri Report, che si attendono da parte di altre Conferenze Episcopali, siano un monito. Non dobbiamo avere paura di cercare la verità dell’abuso che molti nostri figli hanno subìto. Non dobbiamo avere timore nel dire: non dovevate e non dovete fare i sacerdoti, i religiosi, le religiose chi opera tale male. Da 30 anni non mi sono mai rassegnato, neanche se fosse solo uno il bambino abusato, di stare dalla parte delle vittime e adoperarmi nell’ambito della prevenzione, formazione e indirizzo. Papa Francesco ce lo ha ricordato, quando ci ha incontrato il 15 maggio scorso: «In questi anni, col vostro lavoro generoso, avete contribuito a rendere visibile l’amore della Chiesa per i più piccoli e indifesi. Quante volte, come il buon samaritano del Vangelo, vi siete fatti vicini con rispetto e compassione, per accogliere, consolare, proteggere! Vicinanza, compassione e tenerezza: è lo stile di Dio. Quante ferite spirituali avete fasciato! Per tutto questo la Comunità ecclesiale vi è riconoscente. La vostra Associazione possiamo paragonarla a una casa. Quando diciamo “casa” pensiamo a un luogo di accoglienza, di riparo, di custodia. La parola casa ha un sapore tipicamente familiare, che evoca il calore, l’affetto, la tenerezza che si possono sperimentare appunto in una famiglia, specialmente nel momento dell’angoscia e del dolore. E voi siete stati e siete “casa” per tanti bambini violati nella loro innocenza o schiavizzati dall’egoismo degli adulti. Siete stati e siete casa di speranza, favorendo in molte vittime un percorso di liberazione e di riscatto. Vi incoraggio
pertanto a proseguire in questa benemerita attività sociale e umana, continuando a offrire il vostro prezioso contributo nel servizio di protezione dell’infanzia».

Non ci si abitua a pensare (come qualcuno vuole affermare) che sono solo debolezze e fragilità, escludendo dalla riflessione il fatto che sono dei crimini, gravi, contro l’innocenza, i piccoli, i bambini, i prediletti del Signore. Quando sono ‘seriali’, questi abusi, approfittando della inferiorità psichica e fisica, vulnerabile della vittima, si compie inesorabilmente un omicidio psicologico, se non avviene anche quello fisico. Qual è la pena riparatrice per chi uccide un innocente? Ed è ancora più difficile pensare che chi compie questi reati resti ‘impunito? quasi giustificato.

La giustizia e misericordia, ovvio, si devono incontrare, ma non possiamo non attuare tutti i percorsi di giustizia ripartiva (e non solo) per un così grave crimine commesso. Le vittime ce lo insegnano, lacerate, distrutte, impedite nella vita, sopravvissuti al male oscuro e massacrante dove la perversione sessuale degli autori raggiunte impensabili vie di tenebra che cancellano ogni umanità. Perché è di disumanità che dobbiamo parlare e denunciare.

Saremo travolti, non solo nella Chiesa, della voce sofferente delle vittime. Il cammino è iniziato ma non terminato e non dobbiamo essere solo preparati ‘burocraticamente’, spesso distaccati dal dolore che le vittime hanno già subito.

Dobbiamo impegnarci, non occasionalmente, ma attraverso una pastorale ordinaria, della
prevenzione, informazione sugli e degli abusi sui minori. Il Sinodo sia, ancora una volta, una via per ribadire di ascoltare, accogliere, tutelare, difendere i piccoli, i prediletti del Signore.

Pubblicato su Aleteia

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