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Pugno di ferro contro gli islamici: chiuse 3 moschee

Non è raro leggere di cristiani perseguitati in Cina. Quella di chi segue gli insegnamenti del Vangelo, però, non è l'unica comunità religiosa colpita dal “pugno di ferro” del regime: da anni, infatti, anche la minoranza islamica subisce arresti e chiusure forzate dei luoghi di culto.

Nuove chiusure

L'ultima notizia in questo senso è arrivata solo ieri dal Sud-ovest della Cina. A quanto si apprende, le autorità avrebbero determimato la chiusura di tre moschee a Weishan, che si trova nella provincia di Yunnan. Secondo quanto riporta il quotidiano “South China Morning Post”, le strutture sarebbero state chiuse perché “istituite illegalmente” e a causa dell'“istruzione religiosa illegale” che vi si conduceva.

La minoranza Hui

A frequentarle era la maggiora comunità islamica della Cina, quella formata dagli Hui, discendenti da mercanti arabi, persiani, turkmeni e mongoli presenti su questo territorio dal VII secolo d.C. Gli Hui, essendo 10 milioni, rappresentano la terza nazionalità minoritaria della Repubblica Popolare Cinese. La chiusura degli edifici di Weushan arriva dopo le recenti analoghe misure prese per moschee a Ningxia e Gansu.

La repressione degli Uiguri

La situazione più difficile è quella vissuta nella regione autonoma dello Xinjiang dagli Uiguri, un'etnia turcofona di fede islamica. Qui la repressione ha portato le autorità comuniste ad aprire dei veri e propri campi di rieducazione dove, secondo un rapporto di “Human Rights Watch”, sarebbero detenute oltre un milione di persone. L'obiettivo è quello di estirpare l'identità plasmata dalla religione islamica di una parte consistente della popolazione locale. Infatti, in queste terre sono forti le rivendicazioni indipendentiste da Pechino che spesso vanno di pari passo con la professione dell'Islam.

L'inviato

Nella regione non sono mancati attentati di estremisti contro i militari che hanno portato le autorità a reagire con un duro programma di repressione. La “normalizzazione” dell'area è stata affidata a Chen Quanguo, in precedenza segretario del partito comunista in Tibet e che dal 2017 ricopre la stessa carica nello Xinjiang. Una nomina che denota la volontà di Pechino di applicare il modello messo in pratica in Tibet contro gli indipendestisti anche in questa regione. Non a caso, la popolazione dei campi di rieducazione sembra essere aumentata proprio nell'ultimo anno.

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