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Processo per l'attico del card. Bertone: Enoc e Di Ruzza dovranno testimoniare

Avevano tentato di non presentarsi in Tribunale, la prima presentando una memoria scritta, il secondo adducendo, attraverso una lettera del presidente dell'Aif Brulhart, motivi di “intelligence”. Niente da fare: Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù, e Tommaso Di Ruzza, direttore dell'Autorità di informazione finanziaria, dovranno comparire come testimoni nel processo in Vaticano sulla vicenda dell'attico del cardinale Tarcisio Bertone, che vede l'ex presidente della Fondazione Bambino Gesù, Giuseppe Profiti, e l'ex tesoriere, Massimo Spina, imputati di peculato per la distrazione di 422.000 euro dalla Fondazione. I soldi sono stati utilizzati per i lavori di ristrutturazione dell'appartamento del segretario di Stato emerito cardinale Bertone a Palazzo San Carlo, proprio accanto alla residenza di S. Marta. I due testimoni saranno citati per l'udienza di venerdì 6 ottobre. Lo ha deciso il Tribunale vaticano al termine dell'udienza di oggi. Il collegio, considerate anche le richieste del promotore di Giustizia e dei difensori, ha deciso che le documentazioni presentate da Enoc e Di Ruzza non sono sufficienti.

Mai doppie fatturazioni

Nell'udienza odierna del processo è stato ascoltato l'imprenditore Gianantonio Bandera, titolare delle società che hanno effettuato i lavori di ristrutturazione. Quando gli è stato chiesto se ci siano state doppie fatturazioni, al Governatorato e alla Fondazione Bambino Gesù, per gli stessi lavori, l'imprenditore ha risposto di no: “Finché ho gestito io non ci sono state né doppie fatturazioni né doppi pagamenti”. Bandera ha più volte ripetuto che dall'aprile 2014 la sua società Castelli Re aveva avviato la procedura di concordato e che dunque lui non ne aveva più la gestione piena. Ha poi fatto riferimento a quattro fatture, dal giugno al dicembre 2014, pagate alla Castelli Re dal Governatorato, nel periodo però successivo alla sua gestione. Il promotore di giustizia ha anche chiesto all'imprenditore se fosse vero che nel giugno 2014 Giuseppe Profiti avesse sollecitato una donazione, cosa che, durante la sua deposizione, l'ex manager non ha escluso, perché era prassi diffusa avanzare richieste simili alle imprese che ottenevano commesse. Bandera ha risposto di aver ricevuto soltanto una richiesta di disponibilità, a cui non ha potuto dare seguito viste le condizioni finanziarie della ditta. Successivamente si è impegnato a valutare una donazione di 200.000 euro con un’altra delle sue società, la New Deal, ma anche in questo caso non se ne fece nulla.

I lavori di ristrutturazione

Quanto ai lavori di ristrutturazione, Bandera ha chiarito che “se ne occupavano il geometra Forini e un tecnico del Governatorato” e di aver visionato l’appartamento di 390 metri quadrati, all’interno del quale era prevista un’area di intrattenimento ospiti. Lo studio del cardinale, ha puntualizzato, era “un po’ più grande della media”.

I rapporti col card. Bertone

Nel corso del processo Bandera ha sostanzialmente confermato quanto già riferito dall'ex presidente del Bambino Gesù sui suoi rapporti con Profiti e Bertone: “Con il cardinale Bertone ci conoscevano dal 1991-1992 a Genova, con Profiti ci siamo incrociati a Genova ma non per rapporti professionali, poi l’ho risentito nel 2009 quando ho valutato il progetto per la realizzazione della Fondazione Bambin Gesù a San Paolo”. Infine, Bandera ha negato che per i lavori di ristrutturazione dell’appartamento del cardinale e delle parti comuni ci fosse stato un vero e proprio contratto d'appalto: “In realtà c’è stato uno scambio di mail. Dopo aver parlato col cardinale, questi mi ha detto di contattare Profiti per dare seguito a un contratto. I lavori sono poi stati subappaltati alle ditte Valsecchi e Astim “autorizzate dal Governatorato” pur “non essendo accreditate”.

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