La pace e lo sviluppo umano integrale sono infatti l’obiettivo principale della Santa Sede nell’ambito del suo impegno diplomatico”, afferma il Pontefice. Ad essa “sono orientati gli sforzi della Segreteria di Stato e dei dicasteri della Curia Romana, come pure quelli dei rappresentanti pontifici, che ringrazio per la dedizione con cui compiono la duplice missione loro affidata di rappresentare il Papa sia presso le Chiese locali sia presso i vostri governi”. In tale prospettiva “si collocano pure gli Accordi di carattere generale, firmati o ratificati nel corso dell’anno appena trascorso, con la Repubblica del Congo, la Repubblica Centroafricana, il Burkina Faso e l’Angola, come pure l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana per l’applicazione della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione Europea“. E “particolarmente preoccupanti sono i segnali che giungono dall’intera regione, in seguito all’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti e che rischiano anzitutto di mettere a dura prova il lento processo di ricostruzione dell’Iraq, nonché di creare le basi di un conflitto di più vasta scala che tutti vorremmo poter scongiurare”. Dunque il Pontefice rinnova il suo appello perché “tutte le parti interessate evitino un innalzamento dello scontro e mantengano accesa la fiamma del dialogo e dell’autocontrollo, nel pieno rispetto della legalità internazionale“.
Gli auguri per il nuovo anno
Questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, Francesco ha ricevuto in udienza i membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. Dopo le parole introduttive del decano del corpo diplomatico, George Poulides, ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato un approfondito e dettagliato discorso. “Un nuovo anno si apre dinanzi a noi e, come il vagito di un bimbo appena nato, ci invita alla gioia e ad assumere un atteggiamento di speranza– osserva il Pontefice-. Vorrei che questa parola (speranza ) che per i cristiani è una virtù fondamentale, animasse lo sguardo con cui ci addentriamo nel tempo che ci attende. Certo, sperare esige realismo”. E aggiuge: “Esige la consapevolezza delle numerose questioni che affliggono la nostra epoca e delle sfide all’orizzonte. Esige che si chiamino i problemi per nome e che si abbia il coraggio di affrontarli”. Esige di non dimenticare che la comunità umana porta i segni e le ferite delle guerre succedutesi nel tempo, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. “Purtroppo, il nuovo anno non sembra essere costellato da segni incoraggianti, quanto piuttosto da un inasprirsi di tensioni e violenze- evidenzia il Pontefice-. È proprio alla luce di queste circostanze che non possiamo smettere di sperare. E sperare esige coraggio. Esige la consapevolezza che il male, la sofferenza e la morte non prevarranno e che anche le questioni più complesse possono e devono essere affrontate e risolte“. La speranza è “la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili”.
Pontificato itinerante
“Anche i viaggi apostolici, oltre che essere una via privilegiata attraverso la quale il Successore dell’Apostolo Pietro conferma i fratelli nella fede, sono un’occasione per favorire il dialogo a livello politico e religioso- precisa il Pontefice-. Nel 2019 ho avuto l’opportunità di visitare diverse realtà significative. Vorrei ripercorrere con voi le tappe che ho compiuto, cogliendo l’opportunità per uno sguardo più ampio su alcune questioni problematiche del nostro tempo”. All’inizio dello scorso anno, in occasione della 34° Giornata Mondiale della Gioventù, il Papa ha incontrato a Panama “giovani provenienti dai cinque continenti, pieni di sogni e speranze, lì convenuti per pregare e ravvivare il desiderio e l’impegno di creare un mondo più umano“. Ed è “sempre una gioia e una grande opportunità poter incontrare i giovani: essi sono il futuro e la speranza delle nostre società“. Eppure, “come è tristemente noto, non pochi adulti, compresi diversi membri del clero, si sono resi responsabili di delitti gravissimi contro la dignità dei giovani, bambini e adolescenti, violandone l’innocenza e l’intimità. Si tratta di crimini che offendono Dio, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la vita di intere comunità”.
Contro gli abusi
In seguito all’incontro con gli episcopati di tutto il mondo, che Jorge Mario Bergoglio ha convocato in Vaticano nel febbraio scorso, “la Santa Sede rinnova il suo impegno affinché si faccia luce sugli abusi compiuti e si assicuri la protezione dei minori, attraverso un ampio spettro di norme che consentano di affrontare detti casi nell’ambito del diritto canonico e attraverso la collaborazione con le autorità civili, a livello locale e internazionale”. Di fronte a così gravi ferite, “risulta tuttavia ancora più urgente che gli adulti non abdichino al compito educativo che compete loro, anzi si facciano carico di tale impegno con maggior zelo per condurre i giovani alla maturità spirituale, umana e sociale“. Per questa ragione “intendo promuovere, il 14 maggio prossimo, un evento mondiale che avrà per tema: ricostruire il patto educativo globale”. Si tratta di un incontro volto a “ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione. Mai come ora, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna”. E, prosegue Francesco, “ogni cambiamento, come quello epocale che stiamo attraversando, richiede un cammino educativo, la costituzione di un villaggio dell’educazione che generi una rete di relazioni umane e aperte. Tale villaggio deve mettere al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità”.
Diritto primario
“Occorre un concetto di educazione che abbracci l’ampia gamma di esperienze di vita e di processi di apprendimento e che consenta ai giovani, individualmente e collettivamente, di sviluppare le loro personalità- afferma Francesco-. L’educazione non si esaurisce nelle aule delle scuole o delle università, ma è assicurata principalmente rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare, e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere le famiglie e collaborare con esse nell’educazione dei figli“. Educare esige di “entrare in un dialogo leale con i giovani: sono anzitutto loro a richiamarci all’urgenza di quella solidarietà intergenerazionale, che purtroppo è venuta a mancare negli ultimi anni”. C’è, infatti, “una tendenza, in molte parti del mondo, a chiudersi in se stessi, a proteggere i diritti e i privilegi acquisiti, a concepire il mondo dentro un orizzonte limitato che tratta con indifferenza gli anziani e soprattutto non offre più spazio alla vita nascente”. L’invecchiamento generale di parte della popolazione mondiale, specialmente nell’Occidente, “ne è una triste ed emblematica rappresentazione. se da un lato non dobbiamo dimenticare che i giovani attendono la parola e l’esempio degli adulti, nello stesso tempo dobbiamo avere ben presente che essi hanno molto da offrire con il loro entusiasmo, con il loro impegno e con la loro sete di verità, attraverso la quale ci richiamano costantemente al fatto che la speranza non è un’utopia e la pace è un bene sempre possibile“. E “lo abbiamo visto nel modo con cui molti giovani si stanno impegnando per sensibilizzare i leader politici sulla questione dei cambiamenti climatici“.
La casa comune
“La cura della nostra casa comune dev’essere una preoccupazione di tutti e non oggetto di contrapposizione ideologica fra diverse visioni della realtà, né tantomeno fra le generazioni, poiché a contatto con la natura, come ricordava Benedetto XVI, la persona ritrova la sua giusta dimensione, si riscopre creatura, piccola ma al tempo stesso unica, capace di Dio perché interiormente aperta all’Infinito– spiega Jorge Mario Bergoglio-. La custodia del luogo che ci è stato donato dal Creatore per vivere non può dunque essere trascurata, né ridursi ad una problematica elitaria. I giovani ci dicono che non può essere così, poiché esiste una sfida urgente, a tutti i livelli, di proteggere la nostra casa comune e «di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”. Essi, quindi, “ci richiamano all’urgenza di una conversione ecologica, che va intesa in maniera integrale, come una trasformazione delle relazioni che intratteniamo con le nostre sorelle e i nostri fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato nella sua ricchissima varietà, con il Creatore che è origine di ogni vita”. Purtroppo, “l’urgenza di questa conversione ecologica sembra non essere acquisita dalla politica internazionale, la cui risposta alle problematiche poste da questioni globali come quella dei cambiamenti climatici è ancora molto debole e fonte di forte preoccupazione”.
Il fallimento della conferenza Onu
“La 25° sessione della Conferenza degli Stati Parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop25), svoltasi a Madrid lo scorso dicembre, rappresenta un grave campanello di allarme circa la volontà della Comunità internazionale di affrontare con saggezza ed efficacia il fenomeno del riscaldamento globale, che richiede una risposta collettiva, capace di far prevalere il bene comune sugli interessi particolari- osserva il Pontefice-. Queste considerazioni riportano la nostra attenzione all’America Latina, in particolare all’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione amazzonica, svoltasi in Vaticano lo scorso mese di ottobre. Il Sinodo è stato un evento essenzialmente ecclesiale, mosso dalla volontà di mettersi in ascolto delle speranze e delle sfide della Chiesa in Amazzonia e di aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo al Popolo di Dio, specialmente alle popolazioni indigene”. Tuttavia, “l’Assemblea sinodale non poteva esimersi dal toccare anche altre tematiche, a partire dall’ecologia integrale, che riguardano la vita stessa di quella regione, così vasta e importante per tutto il mondo, poiché la foresta amazzonica è un cuore biologico per la Terra, sempre più minacciata. Oltre alla situazione nella regione amazzonica, desta preoccupazione il moltiplicarsi di crisi politiche in un crescente numero di Paesi del continente americano, con tensioni e insolite forme di violenza che acuiscono i conflitti sociali e generano gravi conseguenze socio-economiche e umanitarie”, evidenzia il Papa.
Il bene comune
“Le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i veri e urgenti problemi dei cittadini, soprattutto dei più poveri e vulnerabili, né tantomeno può farlo la violenza, che per nessun motivo può essere adottata come strumento per affrontare le questioni politiche e sociali– afferma Francesco-. In questa sede desidero ricordare specialmente il Venezuela, affinché non venga meno l’impegno a cercare soluzioni. In generale, i conflitti della regione americana, pur avendo radici diverse, sono accomunati dalle profonde disuguaglianze, dalle ingiustizie e dalla corruzione endemica, nonché dalle varie forme di povertà che offendono la dignità delle persone”. Occorre, pertanto, che “i leader politici si sforzino di ristabilire con urgenza una cultura del dialogo per il bene comune e per rafforzare le istituzioni democratiche e promuovere il rispetto dello stato di diritto, al fine di prevenire derive antidemocratiche, populiste ed estremiste”. Nel mio secondo viaggio del 2019, “mi sono recato negli Emirati Arabi Uniti, prima visita di un Successore di Pietro nella Penisola arabica: ad Abu Dhabi ho firmato con il Grande Imam di AlAzhar Ahmad al-Tayyib il documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune”. Si tratta di “un testo importante, volto a favorire la mutua comprensione tra cristiani e musulmani e la convivenza in società sempre più multietniche e multiculturali, poiché nel condannare fermamente l’uso del nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione, richiama l’importanza del concetto di cittadinanza, che si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia”.
Città del pace
“Ciò esige il rispetto della libertà religiosa e che ci si adoperi per rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità e prepara il terreno alle ostilità e alla discordia, discriminando i cittadini in base all’appartenenza religiosa– sottolinea Francesco-. A tal fine è particolarmente importante formare le generazioni future al dialogo interreligioso, quale via maestra per la conoscenza, la comprensione e il sostegno reciproco fra appartenenti a diverse religioni. Pace e speranza sono stati anche al centro della mia visita in Marocco, dove con Sua Maestà il Re Mohammed VI ho sottoscritto un appello congiunto su Gerusalemme, riconoscendo l’unicità e la sacralità di Gerusalemme / Al Qods Acharif e avendo a cuore il suo significato spirituale e la sua peculiare vocazione di Città della Pace”. E da Gerusalemme, “città cara ai fedeli delle tre religioni monoteiste, chiamata ad essere luogo-simbolo di incontro e di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo, il mio pensiero non può che estendersi a tutta la Terra Santa per richiamare l’urgenza che l’intera Comunità internazionale, con coraggio e sincerità e nel rispetto del diritto internazionale, riconfermi il suo impegno a sostegno del processo di pace israelo-palestinese”, avverte il Pontefice.
Accoglienza
E “un più assiduo ed efficace impegno da parte della Comunità internazionale è quanto mai urgente anche in altre parti dell’area mediterranea e del Medio Oriente: mi riferisco anzitutto alla coltre di silenzio che rischia di coprire la guerra che ha devastato la Siria nel corso di questo decennio”, puntualizza Jorge Mario Bergoglio: “È particolarmente urgente trovare soluzioni adeguate e lungimiranti che permettano al caro popolo siriano, stremato dalla guerra, di ritrovare la pace e avviare la ricostruzione del Paese“. Inoltre “la Santa Sede accoglie con favore ogni iniziativa volta a porre le basi per la risoluzione del conflitto ed esprime ancora una volta la propria gratitudine alla Giordania e al Libano per aver accolto ed essersi fatti carico, con non pochi sacrifici, di migliaia di profughi siriani“. Purtroppo, “oltre alle fatiche provocate dall’accoglienza, altri fattori di incertezza economica e politica, in Libano e in altri Stati, stanno provocando tensioni tra la popolazione, mettendo ulteriormente a rischio la fragile stabilità del Medio Oriente“. Il pensiero del Pontefice “va pure allo Yemen, che vive una delle più gravi crisi umanitarie della storia recente, in un clima di generale indifferenza della Comunità internazionale, e alla Libia, che da molti anni attraversa una situazione conflittuale, aggravata dalle incursioni di gruppi estremisti e da un ulteriore acuirsi di violenza nel corso degli ultimi giorni”. Tale contesto è “fertile terreno per la piaga dello sfruttamento e del traffico di essere umani, alimentato da persone senza scrupoli che sfruttano la povertà e la sofferenza di quanti fuggono da situazioni di conflitto o di povertà estrema”. Tra questi, “molti finiscono preda di vere e proprie mafie che li detengono in condizioni disumane e degradanti e ne fanno oggetto di torture, violenze sessuali, estorsioni“. In generale, occorre rilevare che “nel mondo vi sono diverse migliaia di persone, con legittime richieste di asilo e bisogni umanitari e di protezione verificabili, che non vengono adeguatamente identificati”.
Mediterraneo grande cimitero
“Molti rischiano la vita in viaggi pericolosi per terra e soprattutto per mare. È con dolore che si continua a constatare come il Mare Mediterraneo rimanga un grande cimitero– sostiene il Papa- È sempre più urgente, dunque, che tutti gli Stati si facciano carico della responsabilità di trovare soluzioni durature. Da parte sua, la Santa Sede guarda con grande speranza agli sforzi compiuti da numerosi Paesi per condividere il peso del reinsediamento e fornire agli sfollati, in particolare a causa di emergenze umanitarie, un posto sicuro in cui vivere, un’educazione, nonché la possibilità di lavorare e di ricongiungersi con le proprie famiglie”. Dunque “cari Ambasciatori, nei viaggi dello scorso anno ho avuto modo di toccare anche tre Paesi dell’Europa orientale, raggiungendo prima la Bulgaria e la Macedonia del Nord e, in un secondo momento, la Romania”. Si tratta di “tre Paesi diversi tra loro, accomunati tuttavia dal fatto di essere stati, nei secoli, ponti fra l’Oriente e l’Occidente e crocevia di culture, etnie e civiltà differenti”. Visitandoli, il Papa ha potuto sperimentare “ancora una volta quanto siano importanti il dialogo e la cultura dell’incontro per costruire società pacifiche, nelle quali ognuno possa liberamente esprimere la propria appartenenza etnica e religiosa“. Rimanendo nel contesto europeo, il Pontefice richiama “l’importanza di sostenere il dialogo e il rispetto della legalità internazionale per risolvere i “conflitti congelati” che persistono nel continente, alcuni dei quali ormai da decenni, e che esigono una soluzione, a cominciare dalle situazioni riguardanti i Balcani occidentali e il Caucaso meridionale, tra cui la Georgia”.
Mediazioni
Il Papa esprime “l’incoraggiamento della Santa Sede ai negoziati per la riunificazione di Cipro, che incrementerebbero la cooperazione regionale, favorendo la stabilità di tutta l’area mediterranea, nonché l’apprezzamento per i tentativi volti a risolvere il conflitto nella parte orientale dell’Ucraina e porre fine alla sofferenza della popolazione”. Infatti, “il dialogo ( e non le armi) è lo strumento essenziale per risolvere le contese”. A tale riguardo, Jorge Mario Bergoglio menziona “il contributo offerto, ad esempio, in Ucraina dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa(Osce), specialmente in quest’anno in cui ricorre il 45° anniversario dell’Atto finale di Helsinki, che concluse la Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa (Csce), iniziata nel 1973 per favorire la distensione e la collaborazione tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, quando il continente era ancora diviso dalla cortina di ferro“. Si è trattato di “una tappa importante di un processo iniziato sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e che ha visto nel consenso e nel dialogo uno strumento essenziale per risolvere le contese“. Già nel 1949, “nell’Europa occidentale, con la creazione del Consiglio d’Europa e la successiva adozione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, si gettarono le basi del processo d’integrazione europea, che videro nella Dichiarazione dell’allora Ministro degli Affari Esteri francese Robert Schuman, del 9 maggio 1950, un pilastro fondamentale”. Schuman afferma che “la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano“.