Per il “diritto a non emigrare” dei cristiani d'Oriente

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Libano, Siria, Iraq, Giordania, Egitto. La geografia dei cristiani d’Oriente ha spesso i confini della sofferenza, ma costituisce, nonostante tutto, un patrimonio culturale e spirituale dalle radici antiche e robuste. Radici che hanno bisogno di essere curate, fertilizzate con la trasmissione di un’eredità e innaffiate con l’acqua della solidarietà. Di quest’ultimo aspetto se ne occupano dal 2013 i volontari dell’associazione francese Sos Chrétiens d’Orient. Sono presenti in Medio Oriente per ricostruire edifici distrutti dalle bombe, insegnare ai bambini, fornire beni di prima necessità, aiutare le comunità di cristiani a rimanere nella loro patria.

Da oggi l’associazione ha anche un ramo italiano, Sos Cristiani d’Oriente, su iniziativa di Sebastiano Caputo, giovane e brillante giornalista che ha già alle spalle un ampio bagaglio d’esperienza come inviato in zone di conflitto. In Terris lo ha intervistato.

Esistono già realtà che dall’Italia aiutano i cristiani in Medio Oriente, da che nasce l’idea di costituirne un’altra?
“Sì, è vero, ne esistono molte ma nessuna riesce come Sos Chrétiens d'Orient a garantire la presenza costante di volontari europei nei Paesi dove l'associazione umanitaria è presente. Questo elemento non solo permette di seguire i progetti finanziati direttamente dai donatori, ma soprattutto offre a chi decide di partire la possibilità di vivere un'esperienza straordinaria in mezzo a queste popolazioni. Io li ho conosciuti per caso quando andai a Damasco per lavoro, li ho seguiti nel tempo, li ho visti crescere, così ho pensato: perché non aprire un ufficio di rappresentanza anche in Italia? Così i fondatori Charles De Meyer e Benjamin Blanchard hanno accolto la mia proposta. Ci stiamo strutturando, manderemo subito una decina di volontari italiani. Personalmente ritengo che abbiamo il dovere di ricostruire un'intera generazione occidentale attraverso il 'passaggio ad Oriente' dove la modernità non ha contaminato ogni campo dell'esistenza”. 

Sei stato spesso in Medio Oriente: che idea ti sei fatto delle comunità cristiane?
Il Vicino e Medio Oriente me lo sono girato, da giornalista, in questi ultimi anni. Non credo nell'espressione ‘cristiani perseguitati’, uno slogan che è stato inventato dalle charity occidentali per raccogliere fondi. Ogni Paese è diverso, ognuno con le sue complessità, e così anche la condizione dei cristiani. Per come ho potuto verificare con i miei occhi a grandi linee, la libertà religiosa viene rispettata quasi ovunque con qualche eccezione ovviamente (vedi per esempio l'Arabia Saudita). Le comunità cristiane, per quanto vengono viste come delle quinte colonne dell'Occidente dai gruppi terroristici, in realtà vengono considerate dalla maggioranza delle persone, nel loro immaginario collettivo, come una parte fondante della regione. Non c'è nessuna ghettizzazione dunque, i cristiani vivono pienamente la loro fede anche se sono una minoranza”.

Alla luce della tua esperienza in quei luoghi, la convivenza con l’Islam è un motivo di indebolimento o un’opportunità di crescita per i cristiani?
“Personalmente sono cresciuto leggendo Louis Massignon, Frithjof Schuon, Réné Guènon, Henry Corbin e ascoltando le musiche di Franco Battiato e Giovanni Lindo Ferretti. Ho sempre percepito i monoteismi, con le loro profonde differenze, nella loro dimensione più sacra. E la forza del Vicino e Medio Oriente è proprio questo mosaico etnico-culturale e religioso che convive senza scadere nel sincretismo o nella sopraffazione di una fede su un'altra. I cristiani giocano un ruolo fondamentale in questo equilibrio ed è per questo motivo che dobbiamo aiutarli a rimanere nella loro terra: perché quella è la loro terra. Non scordiamoci mai che il Cristianesimo nasce ad Oriente e non in Occidente!”. 

Credi vi sia un preciso progetto geopolitico, la cui mente è straniera, dietro l’emorragia dei cristiani in Medio Oriente?
“Negli ultimi decenni la politica estera occidentale in Medio Oriente ha messo in pericolo i cristiani e ha accelerato quell'emorragia di cui parli. Dopo l'attacco alle Torri Gemelli il presidente americano George W. Bush giurò vendetta alzando la Bibbia. Un gesto terrificante che ha reso i cristiani d'Oriente un bersaglio dei gruppi terroristici. Per non parlare di tutti quei Paesi più o meno laici, con forti presenze cristiane, che le cancellerie occidentali hanno destabilizzato direttamente o indirettamente. Se poi aggiungiamo questa cieca fedeltà all'Arabia Saudita, il maggiore sponsor del terrorismo regionale, allora forse potremmo chiederci se in effetti esiste un preciso progetto geopolitico”.

Il sostegno ai cristiani d’Oriente è anche un modo per saldare la nostra identità?
“Assolutamente. Per un europeo vivere in mezzo ai cristiani d'Oriente, senza imporre nessun modello, è l'opportunità di rispecchiarsi nell'altro e riscoprire un'identità e dei valori che potremmo definire pre-politici, che noi occidentali abbiamo perso completamente”.

Il 7 luglio a Bari Papa Francesco si riunirà con i capi delle Chiese del Medio Oriente per una “giornata di riflessione e preghiera”. Quanto sono importanti simili iniziative?
“Sono messaggi forti, che aiutano a sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dei ‘cristianesimi’ d'Oriente. A volte quando attendiamo dichiarazioni più nette da parte del Papa non dobbiamo dimenticarci del lavoro costante della diplomazia vaticana attraverso le nunziature. Un lavoro silenzioso quanto straordinario”. 

Sono già partiti progetti o sono in cantiere iniziative da parte del ramo italiano di Sos Cristiani d’Oriente?
“Come ho detto ci stiano strutturando. Il primo obiettivo è quello di costruire immediatamente una squadra di volontari italiani (per candidarsi si può scrivere a roma@soschretiensdorient.fr) dopodiché, in un secondo tempo, proporremo ai donatori dei progetti concreti. E poi parallelamente faremo un lavoro di sensibilizzazione sul tema attraverso conferenze e incontri privati con le autorità ecclesiastiche e politiche. Non c'è tempo da perdere. Dobbiamo fermare l'emorragia e lottare per quel ‘diritto a non emigrare’ di cui parlava Benedetto XVI”.

Federico Cenci: