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Parolin: “Prevenire gli antagonismi e le divisioni”

La lectio magistralis tenuta del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin all'aula magna dellā€™UniversitĆ  Cattolica del Sacro Cuore ha inaugurato l'anno accademico 2019-2020. Il primo collaboratore di Papa Francesco ha parlato a professori e studenti dellaĀ “diplomazia al lavoro della pace“.

La formazione dei giovani

L'ateneo fondato da padre Agostino Gemelli ĆØ “strumento nella formazione delle giovani generazioni, con una identitĆ  saldamente ancorata alla realtĆ  italiana, che non manca, perĆ², di aprirsi ad una dimensione globale”. E se questo ĆØ vero per il profilo della ricerca e della didattica nei diversi settori disciplinari, emerge secondo il porporato “anche nel fatto che lā€™UniversitĆ  Cattolica del Sacro Cuore resta custode dellā€™impegno della comunitĆ  ecclesiale italiana a collegare, attraverso lā€™attivitĆ  accademica, il messaggio cristiano alle differenti scienze e discipline”. La dottrina della Chiesa, “ben cosciente dellā€™autonomia delle realtĆ  temporali” chiama “il popolo di Dio attraverso tutte le possibili vie a favorire la necessaria interazione tra la scienza, con le sue teorie e le sue scoperte, e la visione cristiana affinchĆ© il senso religioso e la rettitudine morale procedano di pari passo con la conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnicaā€ .

Fede e ragione

La Chiesa, evidenzia Parolin, “pone grande attenzione agli sforzi che quotidianamente si compiono nellā€™ambito della conoscenza e del sapere, non mancando perĆ² di valutarne di volta in volta il senso e la portata”. E questo per “incoraggiare che soluzioni e vantaggi siano adottati per il bene della persona, delle sue aspettative, dei suoi diritti fondamentali, sapendo cosƬ di concorrere a quella coesione sociale oggi tanto necessaria e attesa”. Il futuro di un Paese, infatti, “si potrĆ  edificare solo attraverso lā€™impegno comune delle sue diverse componenti volto a favorire lo sviluppo, la crescita, la formazione, la competenza, ma senza sacrificare la stabilitĆ  delle istituzioni e il rispetto della loro azione, e mai dimenticando i valori che sono parte della identitĆ  di un popolo e di una nazione”. Questo consentirĆ  anche, secondo il segretario di Stato vaticano, di “fronteggiare e superare le avversitĆ  e le sfide che ogni ĆØra propone, evitando cosƬ che possano trasformarsi solo in veicoli di insicurezza o di rassegnazione”.

La lezione di Papa Francesco

Il cardinale cita la riflessione di Papa Francesco che chiama il mondo universitario ad operare in modo da incarnare la Parola di Dio per la Chiesa e per lā€™umanitĆ , arricchendo perĆ² tale mandato di un piĆ¹ ampio traguardo. Dice infatti il Pontefice: ā€œEā€™ importante che studenti e docenti si sentano pellegrini chiamati ad annunciare la Buona Novella a tutte le genti, non avendo paura di rischiare e di sognare la pace per tutte le persone e tutte le nazioniā€. Anche la pace, dunque, ĆØ obiettivo essenziale della vita universitaria e delle sue diverse componenti e funzioni. “Permettetemi, allora, in questo momento che ufficialmente apre un nuovo anno di studio, ricerca e attivitĆ , di soffermarmi e proporvi alcune riflessioni sul lavoro a favore della pace esercitato dalla Santa Sede e dalla sua diplomazia- afferma Parolin-. Non si tratta solo di narrare la natura dellā€™azione diplomatica che da sempre il vescovo di Roma per mezzo di suoi rappresentanti esercita, ma di sottolinearne la funzione e lā€™apporto rispetto alle situazioni contemporanee e alla capacitĆ  di incidere sui problemi concreti”. La pace infatti, se resta ā€œanelito profondo degli esseri umani di tutti i tempiā€ come la descrive San Giovanni XXIII nellaĀ Pacem in terris, “non si slega dai fatti, dai contrasti e dalle esigenze del vivere quotidiano di cui protagonisti o almeno spettatori sono le persone, compresi i diplomatici”.

Il senso del viaggio in Giappone

Questa missione ĆØ stata spiegata da Papa Francesco la scorsa domenica, recandosi in due luoghi simbolo, Hiroshima e Nagasaki, dove per la prima volta si fece uso bellico di armamenti nucleari per porre fine a una guerra: ā€œLa pace e la stabilitĆ  internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da unā€™etica globale di solidarietĆ  e cooperazione al servizio di un futuro modellato dallā€™interdipendenza e dalla corresponsabilitĆ  nellā€™intera famiglia umana di oggi e di domaniā€. Una posizione, secondo il cardinale, “chiara e collocata nella scia di quegli elementi giĆ  sottolineati dallo stesso Pontefice riguardo alle doti e ai comportamenti personali di coloro che, come i diplomatici, sono chiamati ad essere operatori di pace”. A loro si domanda di “ispirare ogni comportamento allā€™umiltĆ , alla dolcezza e alla magnanimitĆ , perchĆ© non si puĆ² dare la pace senza lā€™umiltĆ . Dove cā€™ĆØ la superbia, cā€™ĆØ sempre la guerra, sempre la voglia di vincere sullā€™altro, di credersi superiore. Senza umiltĆ  non cā€™ĆØ pace e senza pace non cā€™ĆØ unitĆ ā€ .

Al servizio della pace

Dall'indicazione di papa Francesco si ricava “la diretta correlazione tra la pace e lā€™azione diplomatica nella quale ĆØ evidente che gli atteggiamenti personali sono essenziali veicoli di pace, anche quelli in apparenza di minor rilievo”. Lā€™esperienza, evidenzia Parolin, “ci mostra che in quanti si avvicinano allā€™azione diplomatica della Santa Sede ĆØ sempre presente un interrogativo: per quale fine agisceĀ  la diplomazia pontificia?” Per dare risposta “si possono qui richiamare ragioni e affermare che si tratta di unā€™azione proseguita in continuitĆ  nel corso dei secoli o magari la si puĆ² leggere seguendo il corso degli avvenimenti e delle decisioni adottate”. Spesso, perĆ², “si tralascia di indicare che siamo di fronte ad unā€™azione sviluppata seguendo le forme della diplomazia permanente che hanno visto e vedono la Santa Sede parte di quella rete di relazioni stabili tra le Nazioni che, con tutti i limiti possibili, rappresenta anche oggi uno strumento a servizio della umana convivenza e della sua aspirazione alla sicurezza, alla stabilitĆ , alla pace”.

La missione dei nunzi

“La diplomazia pontificia pur saldamente ancorata dalla sua natura a compiti anzitutto ecclesiali che la pongono a servizio della missione universale della Chiesa, resta proiettata nellā€™opera di garantire lā€™ordinata convivenza mondiale, quellā€™auspicata pace che, lungi dallā€™essere equilibrio, ĆØ in primo luogo sinonimo ed effetto della giustiziaĀ – precisa Parolin -. Certo, nel caso della diplomazia pontificia va sempre ricordato che essa costituisce strumento essenziale per la vita interna della Chiesa, e cioĆØ per la realtĆ  di una comunitĆ  di credenti con il suo assetto spirituale e societario tra di loro uniti da un vincolo inscindibile”. Con il suo servizio, infatti, “il rappresentante pontificio svolge una diretta collaborazione con la missione del Successore di Pietro, manifesta cioĆØ in modo visibile lā€™interesse e la sollecitudine che il Papa ha per le Chiese locali presenti nelle diverse regioni”. Attraverso il suo rappresentante, il vescovo di Roma “instaura un rapporto vitale e necessario che contribuisce a far emergere la vera immagine della Chiesa, quale realtĆ  di comunione tra il centro e la periferia”. Una comunione che, secondo Parolin, “oggi Papa Francesco vede come strumento per superare le diversitĆ  e prevenire gli antagonismi o le divisioni, indicando che la funzione del diplomatico impone di rimanere imparziale e obiettivo, affinchĆ© tutte le parti trovino in lui lā€™arbitro giusto che cerca sinceramente di difendere e tutelare solo la giustizia e la pace, senza lasciarsi mai coinvolgere negativamenteā€.

Da sentimento a metodo

“Il collegamento alla pace ĆØ continuo e permette di leggere la cifra sulla quale la diplomazia pontificia, seguendo le norme e il linguaggio che della diplomazia sono propri, si struttura per trasformare la pace da solo sentimento a metodo: favorire una coesistenza internazionale fatta di amicizia, rispetto, attenzione reciproca. puntualizza il segretario di Stato-.Come ĆØ facile intuire, credo che per cogliere la relazione tra diplomazia pontifica e pace, bisogna anzitutto evidenziare questo metodo e non solo di ricordare episodi. Questi ultimi, infatti, non mancano e sono altresƬ noti, diversamente dai criteri, dalle riflessioni e dalle finalitĆ  ultime che li determinano o li ispirano”. Guardando alla struttura della diplomazia pontificia, dunque, “lā€™obiettivo della piena comunione tra il Romano Pontefice e le chiese locali non solo ĆØ essenziale per la vita e le attivitĆ  di queste ultime, ma ne ĆØ la caratteristica anche quando essa opera con i diversi Paesi e di conseguenza con i governi“.

Il ruolo del dialogo

“La comunione nella Chiesa e della Chiesa ĆØ essenziale ai modi di annuncio della Buona Novella a tutte le genti ed ĆØ la base di ogni dialogo – sostiene Parolin -. Ed ĆØ proprio il dialogo che, da sempre, anche nelle situazioni piĆ¹ difficili ĆØ voluto, si instaura e sviluppa anche in ragione della pace”. Per la Santa Sede “si tratta di un impegno strutturato, volto cioĆØ a conoscere i fatti e le situazioni interpretandole alla luce dei principi evangelici e delle regole internazionali, non tralasciando mai gli elementi che pur minimamente possono favorire la concordia e non la contrapposizione, la soluzione delle dispute e non il loro allargamento”. La Santa Sede con la sua azione diplomatica sarĆ  ā€œsempre disponibile a collaborare con quanti si impegnano per porre fine ai conflitti in corso e a dare sostegno e speranza alle popolazioni che soffronoā€ .

Pacem in terris

Il porporato fa riferimento alla “grande enciclica sulla pace di San Giovanni XXIII di cui sono noti i frangenti storici che ne motivarono la redazione: il pericolo di una nuova guerra mondiale dagli esiti imprevedibili, la corsa verso armamenti sofisticati e spettrali negli effetti, la crisi tra le due superpotenze del tempo”. Ma spesso “si dimentica quanto il diplomatico Angelo Roncalli si sia sempre adoperato per la pace nel suo servizio in Bulgaria, Turchia, Grecia, Francia”. Lo testimoniano, ricorda Parolin, “i contenuti nel suo Giornale dellā€™anima, lo scrigno letterario dove egli amava annotare fatti e circostanze che lo coinvolgevano nella sua missione di diplomatico pontificio”. Ebbene, “basta leggerne poche righe per aver chiaro quale peso avesse il suo desiderio di operare a favore della pace”. Il 26 novembre 1940, nel pieno della seconda guerra mondiale, il futuro Pontefice del Concilio Vaticano II scrive: ā€œLa legge della vita per le anime e per i popoli determina la giustizia e lā€™equilibrio universale, i limiti nellā€™uso delle ricchezze, dei godimenti, della potenza mondana. A misura che questa legge ĆØ violata, si applicano automaticamente le sanzioni che sono terribili ed inesorabili. Nessuno Stato vi sfugge. A ciascuno la sua ora. La guerra ĆØ una delle piĆ¹ tremende sanzioni. Essa ĆØ voluta non da Dio, ma dagli uomini,Ā Ā dalle nazioni, dagli Stati per mezzo di chi li rappresenta. La guerra ĆØ voluta dagli uomini, ad occhi aperti, a dispetto di tutte le leggi piĆ¹ sacre. Per questo ĆØ tanto piĆ¹ grave. Chi la determina, chi la fomenta ĆØ sempre il Ā«princeps huius mundi” che nulla ha a vedere con Cristo, il “principe della pace”. Unā€™indicazione, chiosa Parolin, che “ci porta alle radici piĆ¹ profonde della diplomazia pontificia e che permette di ritrovarne il metodo, valido ancora oggi pur di fronte alle molteplici realtĆ , anche dolorose, presenti nelle relazioni internazionali”.

La visione cristiana

“La guerra, la violazione dei principi e delle norme, la perdita delsenso di umanitĆ  sono realtĆ  che viviamo e alle qualisi accompagnano incertezze e prospettive buie – analizza il porporato -. Di fronte a tale quadro per la Santa Sede lā€™obiettivo ĆØ di rendere operante la visione cristiana e il magistero ecclesiale, coniugandolo sempre alla relazione tra il governo centrale della Chiesa e le realtĆ  locali con le loro esigenze e peculiaritĆ ”. Un compito che, quando si tratta di edificare la pace in concreto, “si esprime con una metodologia basata sulla conoscenza, la perseveranza e il discernimento, nel quale anche lā€™annuncio della Parola e la dimensione ecclesiale trovano spazio e tutela”. Anzitutto per “garantire alla Chiesa di poter proseguire nella sua missione di annuncio del Mistero della Salvezza”. Conoscenza, perseveranza e discernimento, avverte il cardinale, sono “essenziali in un ambito come quello diplomatico dove lā€™ansia di prevenire e risolvere controversie per instaurare una pacifica coesistenza convivono con lā€™affermazione di interessi di parte da cui consegue il mancato reciproco ascolto tra le parti e la volontĆ  di sottrarsi al dialogo”. E questo “anche se sono a tutti noti gli effetti positivi che dallā€™ascolto e dal dialogo discendono”.

Il quadro internazionale

“Lo scenario delle relazioni internazionali ĆØ in genere descritto come luogo dā€™incontro e di dialogo tra visioni politiche, economiche, culturali e finanche religiose diverse – osserva Parolin -. Ed ĆØ in questa diversitĆ  che continua a trovare ispirazione qualunque azione volta a garantire il futuro dei rapporti tre le nazioni, come pure la loro stabilitĆ , per favorire quello che il magistero della Chiesa identifica come ordine internazionale”. Si tratta di “quel complesso di valori e principi fondamentali, comuni ai diversi popoli e civiltĆ  che costituiscono lā€™asse portante del diritto internazionale, da cui discendono e si affiancano norme consuetudinarie o derivanti da trattati o convenzioni, quali espressioni del comportamento e della volontĆ  dei membri della comunitĆ  delle nazioni”. Per i diplomatici del Papa, secondo il porporato, “lā€™obiettivo della pace si scinde da una generica domanda di pace, e si concretizza anzitutto nel prevedere i presupposti e le modalitĆ  che possono favorirla”. E “forse ĆØ anche per questo che le parti in lite nel fare appello a una vera e propria riconciliazione per porre fine a conflitti, invocano un diretto coinvolgimento della Santa Sede”.

Come opera la diplomazia pontificia

“In questi casi essa opera favorendo un vero dialogo, anche quando il dialogo presuppone la presenza e lā€™apporto di chi ĆØ scomodo o di chi, secondo una visione tradizionale, non sembra avere la legittimitĆ  di attore in un negoziato – sostiene Parolin -. Il dovere di non escludere, ma includere la diplomazia pontificia lo si sperimenta e lo si vive attraverso lo sforzo di coniugare la buona volontĆ  delle tante parti in conflitto per avviare la pacificazione”. Il segretario di Stato pensa, tra i casi piĆ¹ recenti, al “processo di pace iniziato in Colombia dove la diplomazia pontificia non ha mancato di offrire un contributo o alla situazione in Nicaragua, che vede il rappresentante del Papa nel Paese partecipare come ā€œosservatoreā€ ai colloqui per la riappacificazione nazionale, come pure al ruolo che si svolge nelle cicliche crisi in Paesi dellā€™Africa, come nel caso del Mozambico oggetto di attenzione del Pontefice nel recente viaggio in quel Paese”.Ā Ā Questo orientamento ĆØ rilevabile sul piano multilaterale, “come dimostra il fattivo apporto fornito alla elaborazione dei Global Compact sulle migrazioni, lā€™asilo e il piĆ¹ vasto capitolo della mobilitĆ  umana o il perseverante sostegno aglisforzi per regolare il disarmo e lā€™uso di armamenti dagli effetti distruttivi e lesivi del tradizionale principio di umanitĆ  che ispira la regolazione dei conflitti”. Ebbene “questa azione, che volutamente sfugge alla notorietĆ , segue il criterio di collegare lā€™expertise in umanitĆ , come amava definirla Paolo VI, ad una cura, ad unā€™azione pedagogica svolta verso le parti che si combattono o contrappongono”. Il tutto, secondo il capo della diplomazia pontificia, perchĆ© “queste ispirino la loro condotta al riconoscimento dellā€™autoritĆ  del diritto internazionale ad iniziare dai suoi principi fondamentali dellā€™uguaglianza sovrana, dellā€™integritĆ  territoriale, del non uso della forza, come pure della cooperazione finalizzata ad uno sviluppo pensato in loco e perciĆ² preparato ad utilizzare al meglio gli apporti esterni”. Unā€™opera “certamente complessa, ma che inserisce lā€™azione della Santa Sede in quella diplomazia operativa che coinvolge gli Stati nei rapporti reciproci, come pure nella loro presenza ed azione nelle istituzioni multilaterali”. Operare secondo tali modalitĆ  “fornisce alla Santa Sede la piena coscienza di non esercitare un potere, nĆ© di cercare privilegi di sorta”. Del resto, secondo Parolin, “sarebbe un esercizio assai modesto visto lo specifico della sua natura e della sua missione, assai diverse da quelle degli Stati”. Essa agisce per “sentirsi parte della vita e dei bisogni essenziali della famiglia umana, come pure della societĆ  di un Paese, per essere vicina alle famiglie, ai gruppi di ogni ispirazione e credo, e non solo alle comunitĆ  di cattolici”.

L'impostazione del pontificato

Nel rivolgersi al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 7 gennaio 2019, Papa Francesco ha offerto ulteriore luce a tale impostazione: ā€œLā€™obbedienza alla missione spirituale, che sgorga dallā€™imperativo che il Signore GesĆ¹ ha rivolto allā€™apostolo Pietro (“Pasci i miei agnelli”) spinge il PapaĀ Ā e dunque la Santa SedeĀ Ā a preoccuparsi dellā€™intera famiglia umana e delle sue necessitĆ  anche dā€™ordine materiale e sociale”. Tuttavia “la Santa Sede non intende ingerire nella vita degli Stati, bensƬ ambisce ad essere un ascoltatore attento e sensibile alle problematiche che interessano lā€™umanitĆ , con il sincero e umile desiderio di porsi al servizio del bene di ogni essere umanoā€. La diplomazia pontificia, cioĆØ, “nellā€™affiancare lā€™esperienza della Chiesa agli strumenti messi a disposizione dal diritto internazionale, mostra quanto ha a cuore le sorti della pace nelle sue diverse declinazioni”. Per questo “sostiene gli sforzi volti a ricercare la soluzione pacifica delle controversie, lo sviluppo integrale e non la sola crescita economica, il rispetto dei diritti umani, la cura della casa comune”. Qualcuno potrebbe obiettare, ammette Parolin, che “si tratta di obiettivi teorici o comunque poco inclini ad essere perseguiti nella pratica internazionale fatta piuttosto di soluzioni pragmatiche, ma quanto puĆ² durare una pace imposta dalla forza delle armi?”. E “quale sviluppo possono raggiungere popoli e Paesi se sono solo destinatari di aiuti e assistenza legati alle urgenze? Non ĆØ difficile capire che lā€™antitesi al conflitto sta nella rimozione delle cause che lo scatenano e quindi nel rendere operativi mezzi necessari, in molti casi giĆ  noti e previsti; o che il sottosviluppo e la povertĆ  sono conseguenza di carenze strutturali, di formazione insufficiente o addirittura assente, e dellā€™indisponibilitĆ  di tecnologie adeguate”.

L'idea di sostenibilitĆ 

“La Santa Sede, e quindi la sua diplomazia, sono portatrici della convinzione che lā€™azione internazionale deve uscire dalla logica di agire solo di fronte alle emergenze, magari per tamponarle momentaneamente- spiega Parolin -. Lā€™idea di sostenibilitĆ  che oggi tanto si proclama, deve diventare reale non solo nel fronteggiare in continuitĆ  i problemi e le sfide, ma nel programmare le soluzioni necessarie. Si potrĆ  sostenere che il traguardo ĆØ ambizioso, ma non negare che ĆØ quanto il diritto internazionale richiede alla diplomazia”. Inoltre, “se guardiamo ai vantaggi che ne potrebbero derivare per la comunitĆ  dei popoli, un tale impegno diventa essenziale e ogni dubbio si dissolve”. Si tratta, dunque, di “fornire un sostegno ragionato ed effettivo, basato sulle regole e attento al loro rispetto, consapevole che la causa primaĀ  e la finalitĆ  ultima di ogni azione umana ĆØ la persona nella sua dimensione materiale e spirituale, individuale e comunitaria”. Il segretario di Stato sottolinea che “le analisi, i commenti e anche il convincimento di coloro che decretano la crisi della diplomazia (lo sentiamo quotidianamente risuonare nei media) non possono ignorare le necessitĆ  di uno strumento, forse lā€™unico, che consente un rapporto permanente tra sovranitĆ , ovvero tra chi rappresenta la sorte di popoli e nazioni”. Quanto emerge oggi nelle relazioni internazionali, secondo il porporato, “rende tutti consapevoli che lā€™attivitĆ  diplomatica puĆ² avere il suo peso e i suoi effetti solo quando riesce ad essere efficace strumento di servizio alla causa dellā€™uomo e non semplicemente allā€™interesse nazionale”. Questo comporta “lo sforzo quotidiano volto non solo a conoscere le situazioni, ma ad interpretarle e cosƬ fornire le soluzioni necessarie, anche quando tutto sembra oscuro e ogni intervento impossibile”.

Il mandato papale

Papa Francesco, di fronte alle difficoltĆ , affida alla diplomazia il compito di sviluppare idee originali e strategie innovative ā€œaffinchĆ©, con una maggiore audacia creativa, si ricerchino soluzioni nuove e sostenibiliā€. Secondo Parolin, “un'indicazione essenziale che pensa ad una diplomazia viva, che opera come strumento privilegiato per costruire la pace superando crisi e risolvendo contrasti, ma anche unendo idee divergenti, posizioni politiche contrapposte, e finanche visioni religiose distanti”. Parolin elenaca i diversi modi con cui la Santa Sede agisce attraverso gli strumenti e gli ambiti delle relazioni internazionali. Anzitutto lā€™azione profetica svolta dal Romano Pontefice attraverso indirizzi dottrinali, nei viaggi apostolici, nella relazione con capi di Stato e di governo, con autoritĆ  pubbliche, nelle visite alle sedi di organizzazioni internazionali. E qui i riferimenti alla pace sono tanti, come testimoniano le enciclicheĀ Pacem Dei munus pulcherrimumĀ di Benedetto XV del 1920 e laĀ Pacem in terrisĀ del 1963, come pure i discorsi allā€™Onu di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, tutti con sfumature e accenti diversi, accomunati perĆ² da un unico indicatore: ā€œSe si rispetta e si applica la Carta delle Nazioni Unite con trasparenza e sinceritĆ , senza secondi fini, come un punto di riferimento obbligatorio di giustizia e non come uno strumento per mascherare intenzioni ambigue, si ottengono risultati di paceā€. Poi lo stabilire relazioni diplomatiche con gli Stati, oggi ben 180 con tradizioni, visioni religiose e ideologiche diverse. “La Santa Sede sa bene che lā€™attuale configurazione della ComunitĆ  internazionale non ĆØ piĆ¹ quella dellaĀ ā€œCommunitas gentium christianarumā€Ā in cui si sviluppĆ² la moderna diplomazia e nella qualeĀ ā€œad Papam pertinet facere pacem inter principes christianosā€,Ā ma ĆØ una realtĆ  plurale nelle concezioni e nei modi di intendereĀ – avverte Parolin-. Questo le impone di ricercare i punti di contatto rispetto alla dottrina della Chiesa, quei semina Verbi, i ā€œraggi della Sua veritĆ ā€ come ebbe a definirli San Giovanni Paolo II . Non si tratta, dunque, di sostituirsi ad altre istanze che operano nel contesto internazionale, nĆ© di venir meno allā€™imperativo ā€œAndate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creaturaā€. Significa piuttosto che il rappresentante pontificio ĆØ chiamato, tra lā€™altro, a farsi interprete della ā€œsollecitudine del Romano Pontefice per il bene del Paese in cui esercita la sua missione; in particolare deve interessarsi con zelo dei problemi della pace, del progresso e della collaborazione dei popoli, in vista del bene spirituale, morale e materiale dell'intera famiglia umanaā€ . Non da ultimo va considerata la presenza nelle organizzazioni intergovernative universali, regionali o di gruppo, la cui competenza spazia nei diversi settori in cui si manifestano gli interessi dei Paesi e quelli piĆ¹ generali della famiglia umana. “La presenza nel multilaterale consente alla Santa Sede di perseguire il grande obiettivo della pace declinandolo nelle sue diverse sfumature: dal disarmo allo sviluppo, dallā€™educazione alla proprietĆ  intellettuale, dal commercio alle telecomunicazioni e si potrebbe continuare- afferma Parolin-. La Chiesa ne sostiene da sempre lā€™importanza e la funzione, come ha fatto di recente Papa Francesco che interrogato sul ruolo delle istituzioni internazionali ha sottolineato: ā€œQuando noi le riconosciamo e diamo ad esse la capacitĆ  di giudicare a livello internazionale (pensiamo al Tribunale Internazionale dellā€™Aja o alle Nazioni Unite), quando si pronunciano, se siamo unā€™unica umanitĆ , dobbiamo obbedire. Per questo sono state create le Nazioni Unite, sono stati creati i tribunali internazionali, perchĆ© quando cā€™ĆØ qualche conflitto interno o fra i Paesi si vada lƬ per risolverlo come fratelli, come Paesi civiliā€. Un sostegno oggi ancor piĆ¹ necessario di fronte allā€™empasse che spesso investe le istituzioni multilaterali e la diplomazia ad esse collegata”. Una crisi che “la diplomazia pontificia nota e studia, ma che non puĆ² condividere, tanto meno aggiungendosi al coro di quanti decretano lā€™inutilitĆ  del foro multilaterale, magari per avanzare la sopravvenienza di interessi particolari”.

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